Eritrea, il vescovo Hagos arrestato senza un perché
Eritrea, il vescovo di Segheneity, monsignor Abune Fikremariam Hagos, è stato arrestato al suo ritorno nel Paese, senza alcuna spiegazione da parte delle autorità. Altri due sacerdoti erano stati arrestati la settimana scorsa. Il Paese, governato col pugno di ferro da Isaias Afewerki, è uno dei peggiori persecutori dei cristiani.
Il governo eritreo ancora non ha dato spiegazioni per l’arresto di monsignor Abune Fikremariam Hagos avvenuto la mattina del 15 ottobre all’aeroporto internazionale di Asmara. Il vescovo, appena rientrato dall’Europa, è stato prelevato dagli agenti della sicurezza e trasferito in una località sconosciuta. Alla Chiesa Cattolica, che ha domandato dove si trovi monsignor Hagos e perché sia stato fermato, le autorità eritree finora si sono limitate a rispondere confermando che il prelato è nelle loro mani senza fornire ulteriori informazioni.
Monsignor Hagos è stato ordinato nel 2012 vescovo di Segheneity, il primo della città situata nel sud del Paese, a circa 60 chilometri dalla capitale Asmara. Proprio a Segheneity, l’11 ottobre, è stato arrestato anche padre Mihretab Stefanos, parroco della chiesa di San Michele. Contemporaneamente un altro sacerdote, padre Abraham, è stato arrestato a Teseney, una città vicina al confine con il Sudan. Anche nel loro caso le autorità non hanno fornito spiegazioni.
È possibile, perché non sarebbe la prima volta, che i tre sacerdoti cattolici siano incorsi nelle ire del governo eritreo per averne criticato l’operato. Da quando l’Eritrea si è proclamata indipendente dall’Etiopia nel 1991, Isaias Afewerki, il leader che ha portato il paese alla vittoria dopo una guerra durata 30 anni, governa senza aver mai indetto elezioni politiche e amministrative e lo fa con estrema durezza, secondo quanto spesso denunciato da dissidenti e associazioni pro diritti umani. La Chiesa Cattolica si è unita più volte alle critiche chiedendo democrazia e giustizia e per questo da molti anni i suoi rapporti con il governo sono tesi. Un punto di rottura è stato raggiunto nel 2019 quando i vescovi cattolici hanno pubblicato una lettera pastorale nella quale chiedevano “un processo di riconciliazione nazionale che garantisca giustizia sociale” per tutta la popolazione ed esortavano alla realizzazione di riforme politiche. La risposta del presidente Afewerki è arrivata poche settimane dopo con l’ordine di sequestro di tutti centri sanitari e, successivamente, delle scuole di proprietà della Chiesa in applicazione di una norma risalente al 1995 secondo la quale tutti i servizi sociali, inclusi scuole e ospedali, devono essere gestiti dallo Stato, senza eccezioni. La norma inoltre limita le attività di sviluppo delle istituzioni religiose, dalla direzione di una scuola, appunto, allo scavo di un pozzo. Le istituzioni religiose, aveva spiegato il governo eritreo per giustificare la propria decisione, “non hanno il permesso di svolgere attività di sviluppo a loro discrezione perché questo comporta discriminazioni nei confronti di chi non fa parte delle istituzioni in questione”.
L’esecuzione dell’ordine di sequestro delle strutture scolastiche di proprietà di enti cattolici procede da allora. Lo scorso agosto è stata sottratta ai Fratelli delle scuole cristiane la Hagaz Agro-Technical School, attiva da 23 anni, che, oltre a fornire agli studenti addestramento in campo agricolo, produce una bevanda alcolica e prodotti caseari. A settembre è toccato alla Don Bosco Technical School di Dekemhare, la seconda città del paese, che offre avviamento al lavoro in diversi settori, dalle costruzioni alla falegnameria all’elettronica e che ogni anno diploma circa 160 studenti.
Quale che ne sia la ragione, gli arresti dei tre religiosi si verificano in un momento particolarmente difficile per l’Eritrea e per tutto il Corno d’Africa. Alluvioni e siccità stanno mettendo a rischio in tutta la regione la vita di decine di milioni di persone che hanno perso gran parte e in certi casi tutto il bestiame e i raccolti. L’Eritrea inoltre è coinvolta nella guerra che si sta combattendo in Etiopia dal 2020, da quando cioè l’etnia tigrina si è rivoltata contro il governo e con le armi ha tentato di riprendere il controllo dello Stato, perso nel 2018 dopo averlo detenuto per quasi 30 anni. Il Tigrè confina con l’Eritrea. Fin dall’inizio dei combattimenti truppe di Asmara sostengono l’esercito governativo etiope. Nelle ultime settimane il governo eritreo ha richiamato in servizio i riservisti fino all’età di 55 anni e ha trasferito al fronte migliaia di uomini in età di leva. Questo ha creato scontento e allarme tra la popolazione.
In Eritrea i cristiani sono poco meno della metà degli abitanti e i cattolici rappresentano solo il 4% circa della popolazione, ma la Chiesa Cattolica è una delle quattro religioni riconosciute dal governo, insieme alla Chiesa ortodossa eritrea, alla Chiesa evangelica luterana e all’islam sunnita. Tutte le altre confessioni religiose sono bandite perché ritenute strumenti di governi stranieri. Tuttavia, malgrado i riconoscimenti ufficiali, l’Eritrea è considerato uno dei Paesi che più perseguitano i cristiani. L’elenco dei 50 Stati del mondo in cui la religione cristiana è più perseguitata, redatto e aggiornato annualmente dall’organizzazione non governativa Open Doors, colloca sempre l’Eritrea ai primi posti, tra gli Stati in cui la persecuzione è considerata estrema. Nell’ultimo rapporto Open Doors, figura in sesta posizione, dopo lo Yemen e prima della Nigeria. Al controllo esercitato a livello governativo si aggiunge, nel rendere difficile l’esistenza ai cristiani, l’intolleranza della popolazione islamica nelle regioni pianeggianti occidentali e orientali del paese dove vivono la maggior parte dei musulmani.