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Elkann snobba il Parlamento, dai sindacati solo barricate

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Critiche unanimi da maggioranza e opposizione per lo schiaffo alle istituzioni del presidente di Stellantis. E invece di difendere i lavoratori Cgil e Uil proclamano l'ennesimo sciopero contro il governo.

Editoriali 01_11_2024
Foto Alberto Gandolfo/LaPresse

Appare alquanto difficile immaginare che il nostro Paese possa risollevarsi sul piano socio-economico guardando alle anomalie delle ultime settimane. La vicenda Stellantis è assai eloquente dello scollamento tra il mondo produttivo e i decisori istituzionali mentre le continue agitazioni promosse dai sindacati, che hanno addirittura indetto uno sciopero nazionale per il prossimo 29 novembre, confermano l’incapacità delle organizzazioni di tutela dei lavoratori di dialogare efficacemente con il governo e di uscire dalle consuete gabbie ideologiche.

John Elkann, presidente di Stellantis, è riuscito in un miracolo: unificare l’intero arco costituzionale nelle critiche alla sua azienda per le condotte giudicate all’unanimità irriguardose nei confronti del Parlamento. Infatti Elkann era stato convocato in audizione davanti alle Commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato su Stellantis e la crisi del mercato dell’auto, segnato dal crollo vendite e dalla concorrenza cinese sull’elettrico, ma ha rifiutato.
Elkann ha declinato l'invito, anche se poi, nelle ultime ore, ha avuto dei contatti telefonici con il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, al quale ha ribadito «l’apertura al dialogo con tutte le istituzioni». Peraltro il prossimo 14 novembre dovrebbe presentarsi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy per alcuni importanti incontri. È stato infatti convocato il tavolo Stellantis, a cui dovrebbero partecipare i rappresentanti dell'azienda, delle Regioni sede di stabilimenti produttivi, delle organizzazioni sindacali e dell’Anfia (Associazione nazionale filiera italiana automotive).

Tuttavia Giorgia Meloni ha attaccato Elkann («Ha mancato di rispetto al Parlamento. Gli sfuggono dei fondamentali, le Camere sono diverse dal governo») e anche le opposizioni si sono dette indignate per questo gesto ritenuto inopportuno, vista la delicatezza della situazione. La situazione è paradossale, se si pensa che per decenni la Fiat ha goduto di innegabili aiuti pubblici, ha socializzato le perdite e privatizzato i profitti e ha preteso di orientare le vicende politiche. Il gruppo Stellantis, che prosegue anche la storia della storica compagnia automobilistica italiana, ha goduto del costante sostegno dei nostri governi e dunque non può ora far finta di nulla e continuare a perseguire pervicacemente i suoi obiettivi aziendali senza tener conto del contesto in cui il suo business si è sviluppato.
«Poi noi dei tavoli con Stellantis li abbiamo fatti», ha rincarato Meloni, «ma proponevamo accordi di sviluppo, cioè davamo dei fondi per aumentare la produzione, e invece la produzione veniva diminuita. Ma così non funziona, sono soldi degli italiani. I soldi degli italiani si investono quando vanno a beneficio degli italiani».

Il presidente di Stellantis, rispondendo all'invito del presidente della commissione Attività produttive della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli, aveva detto di non avere «nulla da aggiungere rispetto a quanto illustrato dall'amministratore delegato Carlos Tavares» in Parlamento l'11 ottobre, dopo il forte calo di vendite per Stellantis che si era registrato a settembre, e dopo la comunicazione della proroga della sospensione della produzione della 500 elettrica a Mirafiori, che è rimasta ferma per tutto il mese di ottobre.

Stellantis è comunque in forte crisi, avendo registrato, nel terzo trimestre del 2024, un calo dei ricavi del 27% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E ora vorrebbe battere nuovamente cassa, chiedendo al governo di rivedere i tagli al fondo automotive (4,6 miliardi), presenti nella bozza di manovra finanziaria in discussione. Si vedrà.

Nel frattempo il quadro socio-economico generale si incupisce perché i sindacati si preparano alle barricate contro il governo perché non condividono i contenuti di quella manovra. In particolare Cgil e Uil hanno proclamato per il 29 novembre uno sciopero generale che però vede contraria la Cisl.
La decisione crea dunque un’ulteriore frattura sul fronte sindacale e inasprisce il braccio di ferro tra Cgil, Uil e governo. Meloni parla di «pregiudizi», visto che la notizia della protesta arriva prima della convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi prevista per martedì 5 novembre. Più caustica la Lega, che definisce ridicoli i sindacati, perché «scioperano contro l’aumento dei redditi», vale a dire l’aumento dello stipendio per 14 milioni di dipendenti fino a 40.000 euro di reddito.

Se si va a ritroso si scopre che i sindacati hanno fatto lo stesso sciopero nel dicembre 2021, quando c’era il governo Draghi, e negli ultimi due anni, contro il governo Meloni. La protesta contro la manovra di bilancio è diventata per Cgil e Uil quasi uno spot per mascherare la grave crisi della rappresentanza sindacale. Cisl l’ha intuito e ha preferito difendere la manovra sostenendo che «gran parte dei 30 miliardi della manovra è concentrata su interventi coerenti con le nostre richieste».

Se, dunque, un’impresa come Stellantis rifiuta di fare l’impresa, boicottando il dialogo con le istituzioni e invocando solo altro assistenzialismo oltre quello di cui ha già beneficiato per decenni. Se i sindacati, anziché difendere i lavoratori, che da tempo li hanno abbandonati per manifesta incapacità, puntano solo alla propria sopravvivenza puntando sull’odio preconcetto verso tutti i governi. Se, infine, i partiti di opposizione, anziché manifestare il loro dissenso in Parlamento, fomentano i media, i magistrati e le piazze in funzione antigovernativa, ce n’è abbastanza per essere pessimisti sulla possibilità che in Italia si possano ricreare quegli equilibri istituzionali che per decenni hanno garantito al Paese una crescita solida e stabile.



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