Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
i venerdì della bussola

Elezioni e tensioni, un clima che danneggia il Paese

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Scioperi, tenaglie mediatico-giudiziarie e l'immancabile accusa di "fascismo": un meccanismo a orologeria con effetti devastanti sulla tenuta sociale prima che sul governo. Dall'incontro di ieri con Ruben Razzante e Luca Volontè.

Politica 16_11_2024

Tra scioperi, tensioni, sentenze e attacchi mediatici, la vita politica italiana è dominata da una dialettica dello scontro che sembra raggiungere il picco in concomitanza delle tornate elettorali. Un clima incandescente in vista del voto regionale in Umbria ed Emilia-Romagna, ma che finisce per danneggiare il Paese prima ancora che l’attuale maggioranza di governo. È quanto emerso nella trasmissione di ieri de “I venerdì della Bussola” sul tema La politica tra elezioni e tensioni, con Ruben Razzante e Luca Volontè, intervistati da Stefano Magni, che in apertura ha menzionato il rischio di «destabilizzazione politica», registrando che queste «elezioni partono all’insegna di una grande tensione».

Facendo il punto della situazione, Razzante osserva che se in Emilia-Romagna il quadro è storicamente «sbilanciato» a favore del candidato di centrosinistra, anche per il radicamento delle coop rosse, «in Umbria la situazione è molto più incerta», dal momento che entrambe le candidate (la governatrice uscente, Donatella Tesei della Lega e la sfidante di centrosinistra Stefania Proietti) sono radicate nel mondo cattolico e pertanto «il voto moderato si distribuirà». È incerto quanto possa incidere l’inchiesta sulla Tesei per presunti favoritismi verso suoi familiari – «ingigantita» e priva di seguito giudiziario, non essendo più presente il reato di abuso d’ufficio, ma con tutte le apparenze di una «inchiesta ad orologeria».

«Le variabili sono soprattutto due», spiega Razzante, ovvero «la percentuale dei votanti e l’effettiva compattezza del centrodestra», più incline a rivalità interne, specie tra Lega e FdI, mentre attorno alla candidata di centrosinistra si è realizzato il «campo largo».
Difficile invece che incida la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia (sonora bocciatura secondo la sinistra, richiesta di miglioramenti secondo i media di centrodestra). «Non credo», afferma Razzante, «che umbri ed emiliano-romagnoli guardino a questa sentenza, che comunque è solo interlocutoria». Insomma, l’arma del referendum in mano agli oppositori è divenuta «un’arma spuntata». Né dovrebbe avere grande impatto l’altra sentenza, che impone di riportare in Italia gli immigrati trasferiti in Albania.

«La gente ha capito che c’è una battaglia in corso» e «non è come in gran parte delle democrazie occidentali tra maggioranza e opposizione, ma è uno scontro tra poteri», condotto in particolare dai «settori più politicizzati» del potere giudiziario. Una minoranza rispetto alla «stragrande maggioranza di magistrati che sono impeccabili servitori della legge», ma una minoranza che «combatte una battaglia politica» e non danneggia tanto il governo («ancora solido nel gradimento dell’opinione pubblica») ma il Paese, «con effetti devastanti sulla tenuta sociale».
Anche questa estrema minoranza si prefigge di «interpretare il ruolo di servitori della legge», ma a modo suo: trasformandosi in «giustizieri», novelli Saint-Just, dice Volontè, convinti di agire «per il bene del popolo al di là di quello che il popolo ha votato. Un vizio non solo irrituale, ma da sanzionare».

Altro vizietto ricorrente è quello di agitare le piazze: si veda l’invito di Maurizio Landini alla «rivolta sociale», di fatto contro il governo. Il segretario della Cgil ha poi aggiustato il tiro («mai accennato alla violenza»), ma resta indicativo del clima. Atteggiamento che Razzante attribuisce a una «profonda crisi di legittimazione» dei sindacati: «perdono iscritti, ma occorre mantenere l’apparato», di qui la necessità di «ricompattare la base sindacale» e «alzare la temperatura dello scontro». «Il governo aveva proposto una rivalutazione del 6% degli stipendi e il sindacato ne chiede più del doppio», peraltro ignorando che «non ci sono solo i dipendenti ma anche gli autonomi che continuano ad avere una contrazione di fatturato e a pagare più tasse di prima». Peccato che bloccando il Paese a suon di scioperi (il 29 novembre sarà l’ennesima volta) «la produttività scende e ci sono sempre meno risorse per garantire proprio quello che chiede Landini». Un danno pagato non da lui ma dalle «nuove generazioni, che saranno zavorrate da un debito pubblico ancora maggiore».
Certamente nell’immediato questa strategia si ripercuote anche sull’esecutivo, poiché «quando i treni si bloccano, quando la gente fa più fatica a lavorare, produrre, guadagnare, il capro espiatorio è sempre il governo». Una strategia a tenaglia («sindacale» e «mediatico-giudiziaria») da cui probabilmente la sinistra spera di «lucrare un vantaggio elettorale».

Una strategia «preoccupante» per Volontè che evoca il clima rovente in cui maturarono gli omicidi di Massimo D’Antona (nel 1999) e Marco Biagi (2002). Attenzione, quindi all’uso delle parole, perché – tornando ai nostri giorni – «c’è sempre qualcuno che si sente in diritto di sparare contro chi ritiene responsabile degli “attacchi fascisti”». Proprio ieri, ha ricordato Volontè, sul Ministero dell’Istruzione è comparsa la scritta «Ministero della Guerra» accompagnata da urla violente contro Israele (pro Palestina) o contro gli uomini (in riferimento al delitto Cecchettin). La manifestazione denominata “No Meloni Day” è tutto un programma a partire dai manifesti con i volti di Giorgia Meloni e di Anna Maria Bernini coperti da mani insanguinate.
Così a Bologna, dove il sindaco Lepore ha accusato il governo di aver inviato le «camicie nere» a reprimere i recenti disordini. «Gli slogan sono sempre gli stessi, da parte di un socialismo europeo che quando non sa cosa dire dà tutte le colpe al nemico», che non è semplicemente un avversario politico, ma viene caricato di «colpe irreali a 80 anni dalla fine del fascismo». Quello che sopravvive oggi, semmai, è «fascismo rosso».

Quali scenari in un voto caratterizzato da questo clima? Senza fare pronostici, Volontè conclude con la speranza «anche guardando agli Usa, che questo tentativo ideologico di accusare di fascismo i propri avversari» venga respinto dagli elettori. E che questi ultimi vadano alle urne «guardando al futuro e non al passato».



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