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Povera scuola

Educazione al rispetto, l’ultimo fardello imposto dal mainstream

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Il ministro Valditara, con la collaborazione della Fondazione Cecchettin, lancia l’“educazione al rispetto”. Un nuovo fardello per le scuole, dove è sempre più difficile insegnare davvero. Il rispetto non si può apprendere come una disciplina scolastica, tanto più in una scuola ostaggio del mainstream.

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Giuseppe Valditara e Gino Cecchettin, 4 dic 2024 (LaPresse)

Et voilà: dopo l’educazione alla salute, l’educazione civica, l’educazione all’affettività, quella finanziaria e alimentare (per elencarne solo alcune fra le tante) è in arrivo un nuovo obiettivo di apprendimento per gli studenti italiani: l’”educazione al rispetto”. Ci mancava proprio! La luminosa idea, a quanto pare, è nata dall’incontro del ministro Giuseppe Valditara con Gino Cecchettin, considerato «figura simbolica nella lotta contro la violenza di genere». Tema centrale della conversazione è stato proprio l’impegno del Ministero dell’Istruzione nella lotta contro la violenza sulle donne, con un approccio educativo e innovativo nelle scuole.

«Non ci sarà un libro di testo dedicato – ha dichiarato Valditara – ma lezioni che coinvolgeranno gli studenti in modo attivo, attraverso il peer tutoring, il dialogo e la condivisione di esperienze». È prevista la stesura di un vero e proprio protocollo d’intesa tra il Ministero e la fondazione di Cecchettin, che sarà ufficializzato a gennaio. «L’obiettivo comune è lottare contro la violenza sulle donne, un impegno doveroso verso le tante vittime di abusi e discriminazioni», ha detto ancora il ministro.

L’educazione al rispetto sarà collocata all’interno del corso di educazione civica. Per la prima volta, così, questo tema diventerà un vero e proprio obiettivo di apprendimento, al pari di altre competenze scolastiche. Ma non basta: questa nuova disciplina non sarà confinata a un’unica materia, ma «dovrà contaminare tutti i curricula, integrandosi in materie come italiano e storia per formare una coscienza civica più consapevole».

Grazie alla collaborazione con la Fondazione Cecchettin, sarà anche possibile diffondere buone pratiche e monitorare i risultati ottenuti. E per garantire che il messaggio educativo sia trasmesso in modo efficace, saranno messe in campo – ciliegina sulla torta – azioni specifiche di formazione dei docenti. Ormai, davvero, i docenti sono diventati la discarica sociale di tutte le parole d’ordine inventate dal mainstream. «Già il fatto che se ne parli nelle scuole aumenta la consapevolezza», ha concluso Valditara, al quale probabilmente non hanno riferito il grado di esasperazione e malcontento che aleggia nelle scuole, a causa della continua imposizione di nuovi fardelli che nulla hanno a che fare con le materie di insegnamento e che finiscono solo per sottrarre tempo, energia e motivazione al corpo docente, nonché possibilità di apprendimento per gli studenti.

Lasciando perdere ogni possibile (e legittima) perplessità sulla pesante strumentalizzazione ideologica della vicenda Cecchettin, contro il cosiddetto “patriarcato”, risulta sorprendente come una persona di alto spessore culturale, qual è il ministro, non si renda conto che queste fantomatiche “educazioni” non solo non raggiungono l’obiettivo, ma addirittura rischiano di aggravare il male che si intende curare. Una pseudo-educazione fatta tutta di discorsi, pistolotti moraleggianti e richiami, in un contesto come quello scolastico già di suo poco amato dagli studenti, quali possibilità può avere di favorire la crescita integrale della persona? Non rischia, invece, di aumentare il disagio, il malessere e, in definitiva, le potenziali esplosioni di violenza?

Rispetto è una parola che deriva da respectus, participio perfetto del verbo latino respicere, composto dal prefisso re, seguito da spicere, traducibile letteralmente con “guardare di nuovo, guardare indietro e considerare”, ma anche con l’espressione “avere ri-guardo per qualcuno”. Il rispetto non si può apprendere come una disciplina scolastica. È un atteggiamento da assimilare sin dall’infanzia, che riguarda innanzitutto sé stessi, la coscienza della propria dignità che va oltre ogni apparenza e giudizio esteriore, fondandosi su qualcosa che “va oltre”, che “sta dietro”. Il rispetto, come ci ha insegnato il cristianesimo, nasce dalla considerazione del valore infinito della persona, della sua trascendenza, e si dovrebbe acquisire in primis in famiglia, e poi in una società che si fonda su profondi valori spirituali. Diversamente, diventa tutta una questione di convenzioni, di regole, di astratti equilibri decisi “a tavolino”: esattamente quello che sta accadendo oggi.

Come può insegnare il rispetto una società che sta, ad ogni piè sospinto, facendo di tutto per distruggere la famiglia e discreditare la figura paterna, tradizionalmente primo e fondamentale cardine del rispetto umano e sociale? Di più: come può insegnare il rispetto una società che, nello stesso tempo, propone ai giovani la pillola abortiva, l’eutanasia, il sesso libero e incondizionato, il gender, la pedofilia, la pornografia, il valore della persona fondato sulla pura esteriorità e che fa dell’essere umano un semplice ingranaggio funzionale all’incremento del Pil o, peggio ancora, al soddisfacimento delle pulsioni carnali? Come può insegnare il rispetto, in ultimo, una scuola che sempre di più si vuole trasformare in cassa di risonanza di questo tipo di cultura?

La proposta dell’educazione al rispetto, ci sia consentito, appare come l’ennesima dimostrazione di una sindrome dissociativa sociale che non può portare niente di buono ai nostri giovani.



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