Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico

LA LETTERA

«È il Risorto la risposta alla sofferenza e alla vita»

«Ogni persona soffre, ma Gesù ci ha redenti e noi possiamo redimere la nostra sofferenza unendola alla sua e offrendola a Dio». «Troppo spesso l’irreligioso vuole eliminare la causa della sofferenza, attraverso l’aborto, l’eutanasia, o escluderla dalla vista… I cristiani vedono Cristo in tutti coloro che soffrono - vittime, malati, anziani - e sono obbligati ad aiutare. Questo fa parte del messaggio pasquale di Cristo risorto». Dalla lettera del cardinale Pell pubblicata sul The Australian.

Ecclesia 14_04_2020

Ogni persona soffre. Nessuno scappa sempre. Tutti si confrontano con un paio di domande. Cosa dovrei fare in questa situazione? Perché c’è così tanto male e sofferenza? E perché mi è successo? Perché la pandemia di coronavirus?

Gli antichi Greci e Romani pensavano che gli dei fossero capricciosi, capaci di punire senza motivo. Si sostiene che quando impacchettiamo i nostri regali di Natale stiamo seguendo l’antica pratica di coloro che offrivano un sacrificio a un dio particolare che li avrebbe coperti in modo tale che gli altri dei non fossero gelosi.

Gli atei oggi credono che l’universo, noi inclusi, sia il prodotto del cieco caso, che non esista alcuna Intelligenza trascendente per spiegare la nostra sequenza di DNA, i 10.000 nervi collegati a un occhio, il genio di Shakespeare, Michelangelo, Beethoven e Albert Einstein.

Un’altra opzione è un agnosticismo radicale. Non lo sappiamo e forse non vogliamo saperlo. In questo caso gli agnostici possono combattere contro il destino con una dignità stoica o diventare furiosi, viaggiare nella notte “infuriandosi contro la luce”.

La Pasqua fornisce la risposta cristiana alla sofferenza e alla vita. I cristiani sono monoteisti che si sono sviluppati a partire dalla rivelazione ebraica; anche loro seguono il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Credono che quasi 2000 anni fa un giovane ebreo sia stato crocifisso su una collina a Gerusalemme, un venerdì pomeriggio, disprezzato e respinto. Tutti lo videro morire, mentre un numero limitato, quelli con fede, lo videro dopo una miracolosa resurrezione corporea la domenica successiva. L’affermazione non è che l’anima di Gesù continui a vivere: fu un ritorno di tutta la sua persona dalla morte, infrangendo le regole della salute e della fisica, poiché i cristiani credono che questo giovane fosse l’unico Figlio di Dio, divino, il Messia. I resti di Gesù non saranno mai trovati. Con sgomento di molti questo era un Messia, che non era un grande monarca come David o Salomone, ma il servitore sofferente di Isaia, che ci redime.

“Ecco il legno della croce al quale fu appeso il Salvatore del mondo”.

La mia generazione e quelle più giovani stanno attraversando un momento unico. Non è senza precedenti. Non eravamo vivi nella pandemia di influenza spagnola dopo la Prima Guerra Mondiale, qualcosa di simile a oggi, e abbiamo sentito parlare della terribile “morte nera” nel XIV secolo, dove in alcuni luoghi morì un terzo della popolazione. La novità sta nella nostra capacità di combattere la malattia in modo intelligente, di mitigarne la diffusione.

La crisi degli abusi sessuali ha danneggiato migliaia di vittime. Da molti punti di vista la crisi fa male anche alla Chiesa cattolica, ma abbiamo dolorosamente eliminato un cancro morale e questo è positivo. Così, inoltre, alcuni vedrebbero il Covid-19 come un brutto momento per coloro che affermano di credere in un Dio buono e razionale, l’Amore Supremo e l’Intelligenza, il Creatore dell’universo. Ed è un mistero; tutta la sofferenza, ma soprattutto l’enorme numero di morti per pestilenze e guerre. Ma i cristiani possono affrontare la sofferenza meglio di quanto gli atei possano spiegare la bellezza e la felicità della vita.

E molti, la maggior parte, comprendono la direzione che stiamo seguendo quando viene sottolineato che l’unico Figlio di Dio non ha avuto un tragitto facile e ha sofferto più della sua parte. Gesù ci ha redenti e noi possiamo redimere la nostra sofferenza unendola alla sua e offrendola a Dio.

Ho appena trascorso 13 mesi in prigione per un crimine che non ho commesso, una delusione dopo l’altra. Sapevo che Dio era con me, ma non sapevo cosa stesse facendo, anche se mi sono reso conto che ci ha lasciato tutti liberi. Ma ad ogni colpo era consolante sapere che potevo offrirlo a Dio per qualche buon fine come trasformare l’ammasso di sofferenza in forza spirituale.

Le radici dei nostri servizi sanitari sono profondamente radicate nella tradizione cristiana del servizio, nel loro continuo lavoro di lunghe ore e con un forte pericolo di infezione. Non era così nella Roma pagana in cui i cristiani erano unici perché stavano con i loro malati e li curavano in tempi di pestilenza. Anche Galeno, il medico più noto dell’antichità, fuggì nella sua tenuta di campagna durante la peste.

Kiko Arguello, co-fondatore del Cammino Neocatecumenale, afferma che una differenza fondamentale tra i timorati di Dio e i secolaristi si trova oggi nell’approccio alla sofferenza. Troppo spesso l’irreligioso vuole eliminare la causa della sofferenza, attraverso l’aborto, l’eutanasia, o escluderla dalla vista, lasciando i nostri cari non visitati nelle case di cura. I cristiani vedono Cristo in tutti coloro che soffrono - vittime, malati, anziani - e sono obbligati ad aiutare.

Questo fa parte del messaggio pasquale di Cristo risorto.

(traduzione a cura di Nico Spuntoni)