Draghi ipoteca anche i governi futuri
Ottenuta la fiducia con un'ampia maggioranza al Senato, il governo Draghi (è scontato) la otterrà oggi anche alla Camera e potrà iniziare a lavorare. I suoi obiettivi più importanti, riforma del fisco e della giustizia, richiedono anni di tempo. Ma il suo governo è necessariamente di breve periodo. Pensa già di guidare l'Italia dal Quirinale?
Stanotte il governo Draghi ha ottenuto a larga maggioranza la fiducia al Senato e oggi la otterrà alla Camera. Non c’erano dubbi su questo, mentre c’era tanta attesa sui contenuti del discorso del premier, che ieri a Palazzo Madama ha parlato per circa 50 minuti ed è risultato convincente agli occhi di tantissimi osservatori e, soprattutto, delle principali forze politiche.
Scuola, innovazione, ambiente e fisco i pilastri del programma del nuovo esecutivo, che potrà godere di una maggioranza molto ampia. Draghi ha paragonato la situazione attuale a quella del secondo dopoguerra, sottolineando le esigenze di ricostruzione e riaffermando le scelte atlantista, europeista e ambientalista. Esplicita la sottolineatura dell’irreversibilità dell’euro, anche in risposta a Matteo Salvini, che due giorni fa aveva messo in discussione la moneta unica.
Alcuni obiettivi espressi da Draghi possono essere condivisibili. Come si fa a non condividere l’esigenza di far ripartire l’economia con una politica fiscale più equa e meno contraddittoria? Il premier ha detto che il sistema fiscale sta in piedi solo come corpo unico, all’interno del quale ogni balzello si lega ad un altro. In altre parole, niente più tassazione improvvisata per accontentare singole categorie, ma disegno complessivo di redistribuzione del carico fiscale. La domanda, però, sorge spontanea: quanto tempo ci vuole per fare una riforma del sistema tributario e per percepirne i benefici in termini di abbassamento delle tasse, tanto più che la flat tax proposta dal centrodestra in campagna elettorale non è stata in alcun modo menzionata nel discorso fatto ieri da Draghi al Senato?
E per riformare la giustizia civile, vera palla al piede del sistema Italia, che finisce per disincentivare la delocalizzazione nel nostro Paese di attività produttive dall’estero e per frenare la competitività della nostra economia? In entrambi i casi la risposta c’è e non è rassicurante: ci vogliono anni. Tanto più che il funzionamento della macchina statale è zavorrata da un debito pubblico elefantiaco, che impedisce massicce iniezioni di spesa pubblica per finanziare interventi di potenziamento del sistema, e da una burocrazia opprimente e altamente frenante. E quanto ci vuole per invertire la rotta anche su questo? Anni, tanti anni anche qui.
E invece per cambiare le strategie di contrasto al virus basterebbe poco: rimuovere il supercommissario Domenico Arcuri, che a quanto pare verrà solo ridimensionato, riformare il Comitato tecnico scientifico, inserire nella cabina di regia per la gestione della pandemia meno virologi e più rappresentanti del mondo produttivo e delle categorie, in grado di cogliere gli effetti generali delle misure restrittive, non solo quelli, peraltro discutibili e tutti da dimostrare, sulla salute dei cittadini.
E allora vien da pensare che l’orizzonte disegnato da Draghi non potrà essere realizzato da Draghi, ma da chi verrà dopo di lui e che probabilmente l’ex Presidente della Banca centrale europea, con le sue innegabili capacità e il suo prestigio internazionale, potrà solo garantire che i soldi europei arrivino davvero e che vengano utilizzati bene per avviare progetti pluriennali di ampio respiro.
Ma per risolvere le emergenze odierne, le povertà crescenti, le incertezze di milioni di italiani ci vuole una terapia d’urto che nelle parole di Draghi non si è percepita. Disegnare un futuro migliore e con idee molto chiare è opportuno e anche prezioso, ma il cambio di rotta rispetto alla gestione Conte non può aspettare anni. Ed è per questo che suonano come sibilline le parole pronunciate ieri dal nuovo premier: "La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, non contano i giorni. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo".
Significa che Draghi punta a salire al Quirinale fra un anno per guidare da li’, per sette anni, le trasformazioni del nostro Paese? Vuol dire che la gestione dell’emergenza sanitaria continuerà a fondarsi su lockdown e restrizioni come quelle vissute finora? Tutto questo non è chiaro. La gente, però, intende saperlo oggi. Intende sapere quando potrà riportare stabilmente i figli a scuola, quando potrà ritornare in ufficio a lavorare, quando riuscirà a riassaporare almeno una parvenza di normalità fatta anche di sport, svago, divertimento, viaggi, cinema, teatri, ristoranti alla sera, musei e tanto altro. E su questo ancora non ci sono certezze, se non un impegno ad accelerare i tempi della vaccinazione di massa. Un po’ pochino per un premier accolto come un Messia.