Draghi deve restare premier. Il "mondo" lo vuole
I segnali sono tanti ed evidenti: una dichiarazione di Biden, un articolo sul prestigioso Financial Times... sembra ripetersi il copione del 2011, quando Monti venne imposto dall'estero, quasi come un commissariamento. Ora tutti questi poteri internazionali vogliono che Draghi resti premier e non diventi presidente della Repubblica.
Le indebite intrusioni dei poteri forti internazionali nelle vicende politiche italiane sono una costante. Nel nostro Paese, le trame tra i partiti e per la formazione dei governi risultano sempre viziate da condizionamenti internazionali, che all’inizio si percepiscono in modo soft, sotto forma di commenti o dichiarazioni allusive, per poi tradursi in campagne mediatiche globali, saccheggio del patrimonio industriale nazionale e selezione eterodiretta della classe dirigente.
Alla fine del 2011 la lobby franco-tedesca, con alcune operazioni finanziarie, creò le premesse per la caduta dell’ultimo governo Berlusconi e l’avvento del governo Monti, il tutto mascherato da salvataggio dell’Italia dal default. Ora la storia sembra ripetersi. Non è un mistero che l’amministrazione Usa a guida Biden sia entusiasta di Mario Draghi e lo consideri la migliore e forse l’unica guida del nostro Paese per i prossimi anni. In una Repubblica parlamentare come la nostra, Super Mario non avrebbe dal Quirinale i margini di manovra attuali e difficilmente potrebbe incidere per sette anni sulle scelte politiche dei partiti. Questo pensano gli addetti ai lavori. Infatti, tra di loro prevale il punto di vista di chi vorrebbe lasciare il banchiere a Palazzo Chigi.
Nei giorni scorsi anche il Financial Times, che non si esprime mai a caso, ha profetizzato che il trasloco di Draghi sul Colle potrebbe essere il preludio a una fase di prolungata instabilità politica nel nostro Paese. Messaggio in codice ai grandi elettori italiani: non provate a nominarlo successore di Mattarella, altrimenti la fiducia nell’Italia verrebbe meno e la tenuta del sistema potrebbe risultare pregiudicata. Una sorta di “commissariamento” dell’Italia, che vede ancora una volta la sua sovranità nazionale azzoppata dalle alchimie della politica internazionale. I poteri forti internazionali, dei quali anche il Financial Times è espressione, temono che al posto di Draghi arrivi qualcuno (di centrodestra?) considerato meno affidabile e allineato, con inevitabili ripercussioni sulle scelte del Pnrr e sui progetti per la ripartenza.
In verità anche il centrodestra e il centrosinistra italiani sembrano tiepidi sull'ipotesi di mandare Draghi al Quirinale. Forse perché temono la sua presenza ingombrante per sette anni o perché hanno paura del caos che si creerebbe subito dopo, con probabile ricorso alle elezioni anticipate. Chi al posto suo a Palazzo Chigi? Questo il dubbio atroce di centinaia di parlamentari che, pur di non perdere la pensione, auspicano il prosieguo della legislatura almeno fino alla fatidica scadenza di settembre (quattro anni, sei mesi e un giorno).
Il Pd ha sperato fino all’ultimo in un ripensamento di Sergio Mattarella, che però non ha cambiato idea. La sua riconferma, anche solo fino alla fine della pandemia, avrebbe consentito di congelare gli attuali assetti e avrebbe dato tempo a Enrico Letta di consolidare la sua leadership nel mondo dem. Ora il Pd rischia di perdere il Quirinale perché il centrosinistra è spaccatissimo e difficilmente riuscirebbe a trovare un candidato unitario. Dall’altra parte, invece, si punta su Silvio Berlusconi, o almeno così sembrerebbe, anche se i 672 voti necessari nelle prime tre votazioni sono irraggiungibili per il Cav. E dunque le sue chance potrebbe giocarsele dalla quarta votazione in poi.
Indubbiamente, nella complessa partita per il Colle, solo Mario Draghi potrebbe compattare un fronte trasversale molto ampio. Ma è altrettanto innegabile che se l’attuale premier non dovesse passare nelle prime tre votazioni, anzi già alla prima, le carte si rimescolerebbero e potrebbe succedere di tutto. Inoltre, le valutazioni da fare sono diverse. Draghi pare interessato al Quirinale. Ove i partiti gli preferissero un altro candidato, resterebbe a Palazzo Chigi con il rischio di farsi impallinare nell’anno che precede le elezioni politiche? Ben difficilmente, infatti, i partiti appoggerebbero tutti insieme lo stesso governo per poi marcare le differenze in campagna elettorale. Dovrebbero iniziare a litigare e a contrapporsi molto prima del voto, il che renderebbe più fragile la coalizione che sostiene l’attuale esecutivo. Peraltro l’elezione di un Capo dello Stato “divisivo”, cioè espressione di una parte politica, farebbe venir meno le ragioni che attualmente spingono sinistra e destra a governare insieme.
Viceversa, se Draghi dovesse diventare Presidente della Repubblica con una maggioranza ampia e trasversale, tra gli schieramenti potrebbe instaurarsi una sorta di “pace armata”, con l’attuale Ministro dell’Economia, Daniele Franco, a Palazzo Chigi ancora per qualche mese, giusto il tempo di scavallare l’estate e organizzare il voto politico. I parlamentari salverebbero la pensione ma potrebbero avviare le ostilità pre-elettorali senza ostacolare la ripartenza post-Covid del nostro Paese.
A quanto pare, però, quest’ipotesi ai poteri forti internazionali non piace. È quindi assai improbabile che si verifichi. Loro vogliono Draghi a Palazzo Chigi, magari anche nella prossima legislatura. A prescindere dal risultato del voto. Che potrebbe svolgersi con un sistema elettorale proporzionale che non fa vincere nessuno e impone ammucchiate gestite da un leader super partes come lui. Ecco perché, nel rebus Quirinale, il caos appare lo scenario al momento più realistico.