Dove è andato l'Isis dopo la sconfitta del Califfato
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La matrice jihadista dell’attentato di Mosca era subito apparsa quasi certa per le modalità con cui era stato eseguito. La conferma è arrivata poche ore dopo. L'Isis è vivo, ecco dove si trova adesso
La matrice jihadista dell’attentato di Mosca era subito apparsa quasi certa per le modalità con cui era stato eseguito. La conferma è arrivata poche ore dopo quando l’Isis, lo Stato Islamico, l’ha rivendicato, come fa quasi sempre per vantarsene, dimostrare la propria potenza, crescere nella stima dei musulmani, attirare consensi e nuovi combattenti e, non ultimo, per assicurarsi che non vengano attribuiti al suo avversario, al Qaeda.
È curioso che molti mass media italiani, dopo la rivendicazione, abbiano parlato insistentemente di “ritorno dell’Isis”, “ritorno del jihad”, “ritorno del Califfato”, “nuovo Daesh” (l’acronimo arabo), come se, dopo la sconfitta nel 2019 del Califfato proclamato da Abu Bakr al Baghdadi nei territori siriani e irakeni, l’Isis fosse stato ridotto all’impotenza. Meno di tre mesi fa, invece, aveva messo a segno un altro attentato clamoroso. Il 3 gennaio, in Iran, due jihadisti suicidi hanno fatto esplodere delle bombe tra la fitta folla diretta al cimitero di Kerman per commemorare il generale Qassem Soleimani nel quarto anniversario della sua morte. In quel caso il bilancio è stato di 89 morti e 284 feriti.
Sia a Mosca che a Kerman ad agire è stato l’ISKP, la Provincia Korasan dello Stato Islamico, noto anche come Isis-K. La “provincia” ha le sue basi nell’Afghanistan nord orientale. Il gruppo era stato fondato nel 2015 e, per niente indebolito, ha continuato a colpire anche dopo il 2019. Nel 2020 ne ha assunto la guida l’afghano Sanaullah Ghafari, meglio noto con il nome di battaglia Shahab al-Muhajir, che ne ha fatto uno dei più temibili gruppi armati jihadisti del mondo per numero di attentati e per la vastità del suo raggio d’azione che include, oltre all’Afghanistan, il Tagikistan, il Turkmenistan, l’Iran e l’Uzbeksitan.
Ma, ancor più dell’ISKP, sono le “province” africane dell’Isis a dimostrarne la vitalità, la potenza e la letalità, autori come sono di attentati e attacchi quasi quotidiani contro civili, istituzioni e basi militari. Insieme e in competizione con i gruppi jihadisti rivali affiliati ad al Qaeda minacciano ormai una ventina di Stati in tutto il continente. Sono responsabili di migliaia di morti, di milioni di profughi, sfollati e rifugiati, di danni economici incalcolabili, dell’insicurezza dei territori su cui i governi hanno perso il controllo e dove interagiscono con bande armate e organizzazioni criminali dedite al traffico di armi e droga, al bracconaggio, all’organizzazione dell’emigrazione illegale.
L’Iswap, Provincia dell’Africa occidentale dello Stato Islamico, e l’Iscap, Provincia dell’Africa centrale dello Stato Islamico, sono le province africane dell’Isis più temute. L’Iswap è nato in Nigeria nel 2016 dalla secessione di molti combattenti di Boko Haram, il gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda che dal 2006 terrorizza gli abitanti degli stati nigeriani nord orientali a maggioranza islamica e dei paesi vicini. Nel bacino del lago Chad l’Iswap ha creato una vasta enclave sulla quale governa, una vera e propria zona di “jihad governance” nella quale impone l’osservanza della legge coranica e riscuote tributi in cambio dei quali garantisce alla popolazione qualche parvenza di ordine e sicurezza e persino alcuni servizi essenziali. Mette a segno i suoi attentati all’esterno della enclave, in Nigeria, Niger, Ciad, Camerun, Burkina Faso, Mali e nel nord del Benin. Uno dei suoi ultimi attacchi risale al 20 marzo, un agguato a un convoglio dell’esercito in Niger costato la morte a 30 militari.
L’Iscap comprende due principali gruppi jihadisti, Adf e Ansar Al-Sunna Wa Jamma. L’Adf (Allied Democratic Forces) si è formato in Uganda negli anni 90 del secolo scorso, ma da oltre 20 anni ha le sue basi nell’est della Repubblica democratica del Congo. Ha giurato fedeltà all’Isis nel 2016 e dal 2019 fa parte dell’Iscap. Da allora ha compiuto attacchi contro comunità e istituzioni cristiane nell’est del Congo e, per la prima volta dopo decenni, in Uganda. Ansar Al-Sunna Wa Jamma si è costituito nel 2015 nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado. È il primo gruppo jihadista in Africa australe. Dal 2021, cresciuto in numero e armamenti, è diventato una minaccia per l’intera regione, al punto da attaccare e occupare grandi centri urbani come Mocimboa da Praia, una città portuale di oltre 70mila abitanti, liberata dopo essere stata nella morsa dei jihadisti per mesi.
Tra le altre affiliate africane dell’Isis c’è la Provincia del Sinai dello Stato Islamico, IS-Sinai, alla quale nel 2014 ha aderito uno dei tanti gruppi islamisti della regione, Ansar Beit al-Maqdis. IS-Sinai prende di mira soprattutto l’esercito egiziano, ma ha colpito anche rappresentanze straniere, tra le quali il consolato italiano al Cairo nel 2015 con una autobomba. Esiste inoltre una Provincia Somala dello Stato Islamico che però deve difendersi da due potenti nemici: le truppe militari internazionali che difendono le istituzioni somale e, ancora più agguerrito, al Shabaab, il gruppo jihadista nato nel 2006, affiliato ad al Qaeda, che controlla estesi territori nel sud della Somalia ed è in grado di compiere attentati anche nel cuore della capitale Mogadiscio. Nel 2017 ha messo a segno uno dei più gravi attentati a livello mondiale quando è riuscito a far esplodere una autobomba nel centro cittadino uccidendo almeno 587 persone e ferendone 316.