Doppia lezione dal voto pro-vita di Verona
La mozione approvata al Comune di Verona a sostegno delle donne che scelgono la vita rinunciando all'aborto, conferma che - malgrado le difficoltà - pochi cattolici determinati e intelligenti possono ottenere validi risultati. E che per i cattolici nel PD non c'è posto.
La delibera del Consiglio comunale di Verona che ha impegnato la giunta ad attuare alcune misure a sostegno delle donne affinché procedano nella gravidanza senza ricorrere all’aborto è molto istruttiva da più punti di vista.
È stata approvata l’altro ieri sera con 21 voti contro 6. Sarebbero stati anche 22 se un consigliere che si trovava fuori dall’aula al momento della votazione avesse sentito il campanellino del sindaco. Attenzione però: questo non vuol dire che tutto sia filato liscio. La sera stessa della votazione – chissà perché! – la questione era all’ultimo punto all’ordine del giorno, nella speranza forse che potesse slittare. È stato il consigliere della Lega Alberto Zelger a chiedere la modifica dell’ordine del giorno ponendo al primo punto la mozione aborto. Gazzarra della sinistra, votazione, la richiesta passa.
Questo per dire che alcuni bastoncini tra le ruote sono stati posti anche dall’interno della maggioranza di centro-destra e, senza ombra di dubbio, anche dall’interno della Lega veronese. Da quando nel luglio scorso lo stesso Zelger aveva iniziato a raccogliere le firme all’interno del gruppo della Lega per presentare la mozione, ottenendo infine anche quella del sindaco Sboarina, il quale ricordava onestamente che la questione faceva parte del programma elettorale, a quando si è finalmente giunti al voto in aula, gli ostacoli da scavalcare sono stati tanti e soprattutto interni.
Nella Lega veronese c’è un buon gruppo dirigente, sanamente convinto e capace, c’è poi una massa non molto preparata e qualche singolo individuo che fa la fronda, anche sui temi etici. Alla fine però la linea Zelger ha avuto successo ed è la prova che un gruppo di politici cattolici anche non numeroso ma con le idee chiare, determinato e che trovi alleanze anche in singoli consiglieri esterni al suo partito, può farcela a guidare le danze.
Un secondo insegnamento deriva dal voto della capogruppo del Partito Democratico Carla Padovani. Cattolica, focolarina, già consigliere comunale in passate legislature, si era sempre dimostrata a disagio con se stessa sui temi etici. Stavolta il rifiuto della propria coscienza è stato più forte che in passato e ha detto di no, pur essendo colei che, come capogruppo, doveva guidare la schiera dei no. Il motivo da essa addotto – essere cioè a favore della vita sempre, per il nascituro e per l’immigrato - è valido per metà. Essere a favore della vita sempre va bene. Ma non va bene mettere sullo stesso piano il nascituro e l’immigrato. Tuttavia la scelta operativa finale è stata giusta e apprezzabile.
A questo punto la lezione poteva essere la seguente: vedete? Si può essere cattolici e sentirsi a casa propria anche nel Partito Democratico. Si può seguire la propria coscienza e militare nel partito della Cirinnà, di Scalfarotto, della Fedeli e della Boschi. Sarebbe stato un messaggio dirompente, che avrebbe messo alle corde i cattolici che la pensano all’opposto. Un messaggio che avrebbe riavvicinato al Partito Democratico gente che se ne è allontanata – e tutti sappiamo quanti siano ormai - compresi molti cattolici che votano Lega perché nel Partito Democratico la libertà di coscienza sul diritto alla vita o sulla famiglia naturale non viene rispettata, perché nel Partito democratico si vuole abolire lo stesso diritto all’obiezione di coscienza dei medici e del personale sanitario statale, perché l’ideologia di sinistra è diventata una cappa di piombo e così via. La Padovani, col suo gesto, avrebbe in fondo arrecato un beneficio al partito, togliendolo dalle secche ideologiche – borghesi, individualistiche, elitarie, che vestono Prada - in cui si è ormai da tempo chiuso. Se io fossi stato Martina avrei detto: viva la Padovani.
Ma Martina non ha detto viva la Padovani, l’ha irrimediabilmente crocifissa, come il TG1 della sera stessa della mozione, come i guru dell’intelligenza nazionale di sinistra che in un attimo hanno dirottato l’assoluzione del sindaco di Riace con la condanna della Padovani. Martina e gli esponenti del Partito Democratico, partiti ed intellettuali che siano, hanno riproposto il volto truce di un partito-inquisizione, di un partito-tribunale, di un partito ghigliottinaro che considera i propri militanti come dei soldati di regime. Privi di coscienza.
Ma la cultura liberale, radicale e di sinistra di cui il Partito Democratico si intende come l’erede primogenito non aveva sempre proposto l’intoccabilità della coscienza? Non solo quella delle donne che vogliono abortire, ma anche quella del sindaco di Riace che secondo Saviano e don Ciotti avrebbe evaso la legge per rispondere al richiamo alla solidarietà espresso dalla propria coscienza? Per la Padovani, però, l’unica libertà di coscienza ammessa è quella riconosciuta dal partito. È buono ciò che il partito giudica buono. E chi si oppone finisce davanti al tribunale speciale.
La mozione veronese è stata quindi molto importante. Ha confermato che pochi cattolici determinati e intelligenti possono ottenere validi risultati. Ha confermato che un cattolico non può stare nel Partito Democratico, a meno di delegare al partito il giudizio sul bene e sul male: quanto è valido a Riace non è più valido a Verona. La Padovani poteva sdoganare la partecipazione dei cattolici al partito Democratico. Martina ha ribadito questa impossibilità. Grazie Martina.