Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
EUTANASIA

Dopo Eluana: idee confuse e dati strumentalizzati

Tre anni fa moriva Eluana. Cosa hanno imparato gli italiani? Favorevoli all'eutanasia sulla scia cronaca restano confusi sui termini e si lasciano strumentalizzare.

Attualità 09_02_2012
Eluana Englaro

Tre anni fa moriva di fame e di sete Eluana Englaro. Cosa ha imparato l’italiano medio sui temi di fine vita in questo lasso di tempo? Forse una risposta ci può venire dal Rapporto Italia 2012, stilato dall’Eurispes e presentato pochi giorni fa: un’indagine a tutto campo condotta su 1.090 cittadini intervistati tra fine dicembre 2011 e inizio gennaio 2012. Estrapoliamo i dati attinenti ai temi riguardanti la “dolce morte” e argomenti affini. Favorevoli al testamento biologico sono il 65,8% degli italiani. Contrari: il 30,9%. L’eutanasia – che il rapporto chiama “interruzione volontaria della vita” mimando così l’espressione della 194 “interruzione volontaria della gravidanza” in merito all’aborto – registra un 50% di favorevoli e un 46,6% di contrari. Dicono sì al suicidio assistito il 25,3% e dicono no invece ben il 71,6% degli intervistati.

Nota a margine: favorevoli alla pillola abortiva RU486 sono il 58% e al divorzio l’82,2%; contrari alla vivisezione l’86,3% e alla caccia il 76,4%. “Voi valete molto più di molti passeri” ci rassicurava Gesù. Pare che gli italiani la pensino in modo diverso.

Ma torniamo al tema del fine vita e proviamo fare alcune considerazioni sui dati forniti dall’Eurispes.


Sarà politicamente scorrettissimo dirlo ma è proprio vero che il popolo è bue. Detto in altri termini laddove tira il vento dell’attenzione massmediatica lì ci sarà anche il favore dell’italiano medio. Infatti quando si è registrato il picco massimo di giudizi favorevoli sul testamento biologico? Esattamente tre anni fa, quando Eluana Englaro morì: 81,4% era la percentuale di italiani che consideravano Dat, testamento biologico e documenti simili come strumenti molto utili. Già dall’anno seguente la percentuale era in declino, perché parallelamente scivolava verso il basso anche la pressione massmediatica a senso unico su questo tema. Oggi siamo appunto al 65%, solo un anno fa eravamo al 77,25%.

Stessa cosa dicasi per l’eutanasia: al momento attuale solo la metà del popolo italico parrebbe benedire la dolce morte, ma nel 2006 quando il caso Welby era rovente il giudizio favorevole era espresso ben dal 74% delle persone intervistate. Per poi di nuovo sprofondare un anno prima, quando solo quattro italiani su dieci approvavano l’eutanasia. Seconda nota a margine: in genere l’Eurispes, come un cronografo svizzero, svolge la sua indagine a cavallo tra dicembre e gennaio. Ma guarda caso nel 2006 l’anticipò tra il mese di novembre e dicembre, periodo in cui l’agonia di Piergiorgio Welby si acuì e periodo in cui i giornali e le televisioni non facevano altro che parlare di questo caso.

Detto ciò, appare evidente che l’uomo della strada è assai influenzato non tanto dagli avvenimenti di cronaca – che ci paiono di cronaca nera
– ma dalle modalità attraverso cui si raccontano questi avvenimenti. Il giudizio è quindi ondivago e segue l’impronta decisa dai media, il più delle volte un’impronta di carattere emozionale e non razionale. Passata l’emozione si rasserena anche il giudizio che diventa più freddo e dunque più ragionevole.

Seconda considerazione: la confusione terminologica è al potere. Già su questi temi regna comprensibilmente una grande imprecisione, essendo queste materie non proprio semplicissime da far proprie, però quel che è grave sta nel fatto che l’Eurispes ci mette del suo per complicare il quadro. Tentiamo di fare chiarezza: per eutanasia si intende un’azione o un’omissione attraverso la quale un soggetto aiuta un altro a morire. Dunque è eutanasia sia l’omicidio del consenziente (ma già in alcuni paesi l’atto eutanasico è perpetrato anche sul non consenziente): con il tuo consenso io medico, familiare etc. ti procuro la morte attraverso un’iniezione letale oppure non fornendoti quelle cure o quei mezzi di sostentamento indispensabili per vivere. Ma è eutanasia anche il cosiddetto suicidio assistito: io medico, familiare etc. ti fornisco quei mezzi che tu stesso utilizzerai per toglierti la vita. Esempio: ti do un kit per la “buona morte” e poi sarai tu stesso ad ucciderti.

Insomma quasi nessuna differenza dal punto di vista morale tra eutanasia come omicidio ed eutanasia intesa come aiuto al suicidio: cambia solo il soggetto che procura la morte. L’eutanasia sta al suicidio assistito come il genere sta alla specie.

L’Eurispes furbescamente invece separa i due concetti come se fossero due cose completamente diverse. Infatti erroneamente l’Eurispes fornisce questa definizione di suicidio assistito: “Il suicidio assistito […] si differenzia dall’eutanasia per il ricorso all’ausilio di pratiche mediche non di ‘fine vita’, ma in totale assenza di malattie, per una scelta volontaria e lucida di porre fine alla propria esistenza per ragioni estranee allo stato di salute”.

Dunque l’aspetto caratterizzante del suicidio sarebbe non tanto la persona che compie il gesto occisivo, bensì la condizione in cui questa versa: se è moribondo l’atto occisivo – compiuto dallo stesso moribondo o da altri poco importa – sarebbe eutanasia, se invece si è in perfetta salute fisica e si decide di farla finita è suicidio. Anche nel caso che per ipotesi l’iniezione letale sia fatta da altri. A parte il fatto che, a detta di tutti, chi è depresso e sceglie di morire dà prova di non essere in perfetta salute psico-fisica, il giochino dell’Eurispes è davvero iniquo.

Associando infatti al termine “eutanasia” scenari di sofferenza e dolore orienta il favore dell’intervistato verso questa pratica
, così come appare evidente dall’indagine. Eutanasia sarebbe unicamente una pratica estrema per una situazione estrema di disagio. Quindi per Welby e Eluana si accende semaforo verde, per Lucio Magri semaforo rosso: i primi erano giustificati nel loro gesto perché fisiologicamente devastati dalla malattia (senza poi tener in conto il fatto che Eluana mai diede il proprio assenso a morire), il secondo era sofferente solo psicologicamente. Inutile dire che basterà aspettare un po’ e le motivazioni di Magri da egoistiche parranno ai più eroiche e sagge. E’ solo questione di tempo e di come l’Eurispes porrà le domande.

Inoltre verrebbe da chiedere a coloro che sono favorevoli all’eutanasia
e contrari al suicidio cosa avrebbero pensato di un Welby che, potendo, si fosse tolto la vita senza l’aiuto di nessuno? Non sarebbe stato suicidio?

Ultima considerazione: non solo la confusione regna sovrana, ma ha come suo vassallo la semplificazione estrema
. C’è infatti da interrogarsi, al di là delle manovre suggestive dell’Eurispes, su cosa realmente intenda l’intervistato per “eutanasia”, “suicidio assistito” e “testamento biologico”. Viene chiesto di esprimersi su termini che con buona probabilità cambiano di significato anche profondamente da soggetto a soggetto, ma che nel report conclusivo finiscono tutti nello stesso calderone delle due categorie di “favorevoli” e “contrari”.

Con altrettanta probabilità il significato attribuito dal singolo ai termini sarà il frutto di un’estrema banalizzazione degli stessi e delle situazioni soggiacenti.
Chi dice sì all’eutanasia semplicemente non vuole far la fine di Eluana Englaro o di Welby, mettendo nel paniere situazioni tra loro diversissime che vanno dallo stato vegetativo alla vigilanza piena e cosciente. Chi approva il testamento biologico pensa che quel pezzo di carta esprimerà le sue volontà quando sarà in coma. Chi dice no al suicidio si immagina Tizio che si butta dal balcone di casa perché non ha più lavoro. E allora infine viene da chiedersi: quanto sono probanti queste ricerche? Quale Italia fotografano? Quella attenta ed informata o quella qualunquista e che risolve questioni sottili e spinose all’ingrosso?