Djokovic, quando la libertà (vera) vince sull’ideologia
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Con la vittoria al Roland Garros, il tennista serbo stacca Nadal come record di Slam. Un testa a testa in cui ha interferito la politica, bloccando per due volte Djokovic perché non vaccinato contro il Covid. Ma Novak ha mantenuto un approccio di buonsenso, che stimola una presa di coscienza.
E siamo a 23. Domenica 11 giugno, con la vittoria in finale sulla terra rossa di Parigi, Novak Djokovic è diventato, in solitaria, il tennista più vincente di sempre a livello di Slam in campo singolare maschile, conquistando il suo terzo Roland Garros, che si aggiunge ai 10 trionfi agli Australian Open, ai 7 a Wimbledon e ai 3 agli US Open. Totale: 23, appunto. Nole stacca così il grande rivale Rafa Nadal, fermo a quota 22 - anche a causa di problemi fisici - da un anno esatto, quando aveva acquisito un vantaggio di due Slam sullo stesso campione serbo. Un testa a testa, quello tra i due fuoriclasse, che rimarrà, comunque vada a finire, nella storia del tennis. E in cui pure, a danno della sana competizione sportiva, hanno giocato un ruolo le interferenze della politica, che nel 2022 hanno costretto Djokovic a saltare due Slam su quattro (quello australiano a gennaio e lo US Open in agosto-settembre) perché il serbo non ha voluto sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid.
Si ricorderà il clamore internazionale che aveva suscitato in particolare l’esclusione dagli Australian Open, con Djokovic maltrattato dagli agenti di frontiera, poi detenuto in un hotel-prigione per richiedenti asilo, infine espulso dalle autorità australiane (vedi qui e qui). Il tutto sulla base di motivazioni risibili e in nome di una presunta emergenza smentita dagli stessi dati ufficiali, che restituivano il quadro di un’Australia con numeri assolutamente contenuti di morti totali per Covid (circa 2.400 nei primi due anni, per un Paese di 26 milioni di abitanti) e di ospedalizzati nel periodo del torneo, che in quell’emisfero coincide con l’estate. A Nole erano arrivati attacchi da tutto il mainstream della politica, dei media, della virologia, eccetera. Attacchi anche provenienti dall’Italia, dove soprattutto nella prima metà del 2022 c’è stato chi (da Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe a Roberto Burioni) è arrivato a twittare sul declino fisico (causa “Long Covid”) e sulla carriera di Novak, rovinata dalle sue stesse scelte in ambito sanitario. Poi, nel giro di un anno, il serbo ha vinto tre Slam e lo spartito delle critiche è dovuto inevitabilmente cambiare (tramutandosi, nel caso di Burioni, nel mero insulto, con tanti saluti alle motivazioni “scientifiche”).
In tutto questo, Djokovic ha mantenuto la sua linea iniziale, ossia la consapevole scelta di non vaccinarsi contro il Covid dopo aver valutato il rapporto benefici-rischi di un’eventuale vaccinazione, che per un atleta classe 1987 pende decisamente dal lato dei rischi. E ciò a ragione sia delle caratteristiche del Covid (che ha una letalità estremamente bassa all’abbassarsi dell’età e di determinati fattori di rischio personali), sia della possibilità di curarsi in caso di contagio, con farmaci già esistenti e ben conosciuti dai medici più preparati. Del resto, anche l’aumento - riscontrato già nel 2021 - dei casi di miocardite giovanile e negli atleti, dovrebbe indurre a una pausa di riflessione sul fatto di aver spinto a tutti i costi i vaccini anti-Covid anche nelle fasce più giovani della popolazione.
All’idea del vaccino senza se e senza ma, Nole ha semplicemente opposto - come hanno fatto anche tante persone comuni - un approccio che si fonda sul buonsenso. Ad esempio, nel febbraio 2022, quando buona parte del mondo era succube della logica “o ti vaccini o non giochi” (come anche “o ti vaccini o non lavori, non entri in ospedale, non prendi i mezzi pubblici” e via dicendo), il tennista slavo spiegava alla Bbc di non essere mai stato contro i vaccini in generale, ma di aver sempre sostenuto «la libertà di scegliere cosa introdurre nel proprio corpo». E aggiungeva che i princìpi che guidano le sue decisioni in merito, «sono più importanti di qualsiasi titolo o altro ancora», inclusa la caccia al record di Slam.
Un approccio ben diverso, sul piano sostanziale, da quello apparentemente simile - almeno a parole - veicolato dallo slogan «il corpo [o l’utero] è mio e lo gestisco io». Uno slogan urlato per rivendicare la legalizzazione dell’aborto e promosso non a caso dalle stesse élite che hanno imposto il vaccino anti-Covid contro ogni ragionevole obiezione e a danno delle libertà più basilari. Più che contraddirsi, le suddette élite diffondono un’identica logica perversa, che sta nel compiere una violenza contro il corpo di un’altra persona: il bambino nel grembo materno, nel caso dell’aborto; la vaccinazione obbligatoria, che è ammissibile solo se strettamente necessaria, dunque in mancanza di alternative e in presenza di vaccini etici, estremamente sicuri (per il singolo) ed efficaci: condizioni che non ricorrevano per il Covid-19, per i motivi già qui accennati e su cui la Bussola ha ripetutamente scritto.
In entrambi i casi c’è quindi un attacco al diritto naturale, presupposto per ogni discorso autentico su libertà e rispetto del corpo; e insieme c’è la pretesa di controllare l’uomo, che è «unità di anima e di corpo» (Gaudium et Spes, 14), come insegna la Chiesa.
La vicenda Djokovic è in breve paradigmatica della manipolazione che si è messa in atto in tre anni abbondanti di Covid e due di relativa vaccinazione. Lungi dal divenire motivo di ulteriori divisioni sociali, che un certo potere ha alimentato, dovrebbe essere un’occasione, tra le altre, per una presa di coscienza innanzitutto da parte delle persone comuni. Nel senso, cioè, di sviluppare gli anticorpi rispetto a propagande e approcci calati dall’alto che assumono forme sempre più totalitarie, brandiscono come un’arma il pericolo di nuove “pandemie” ma senza avere a cuore - al di là di certi artifici comunicativi - la salute e il bene dell’uomo.
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