Disposti a perdere tutto ma non l'Eucarestia
Giuseppe d'Arimatea che chiede a Pilato ciò che ha di più caro: il corpo del Salvatore. E le donne, le uniche a tenere davanti al disfacimento totale. Nell'ora del sepolcro, come nell’ora del parto sono le donne a resistere. Così, preghiamo per le donne di questo secolo, che devono vincere la battaglia contro il disfacimento della loro dignità.
- APPELLO AI SACERDOTI PER ALFIE
- LA PASSIONE DI ALFIE COME QUELLA DI GESÙ, di Benedetta Frigerio
Quadrittico di Charles Stein (68 miniature radunate in quattro pannelli) attribuite a Simon Bening e soci, ca. 1525-1530 Walters Conservation Department Baltimora USA.
Il Venerdì Santo termina così: in silenzio. Un corpo avvolto in un lenzuolo con il volto già livido. Questa miniatura - non meno del Cristo di Holbain che ha fatto gridare al Principe Puskin: quale bellezza salverà il mondo? -, ci lascia con la stessa angosciosa domanda. Sì, chi ci salverà se Colui che credevamo essere il Messia ci consegna alla solitudine di un mondo che, a tratti, conserva ancora i segni di una non redenzione, di una ribellione al bene e al vero pertinace, testarda e quasi tronfia nelle sue sicurezze?
Appare così, ai più, la Chiesa oggi: sparuta, come questi pochi rimasti al sepolcro. In quest’ora di dolore, delle folle in attesa durante la moltiplicazione dei pani, nemmeno l’ombra; così pure nemmeno l’ombra dei settantadue, dei dodici, di quei cugini che un giorno avevano rivendicato la parentela. Il nostro artista ha voluto mettere Pietro, a capo chino, avvilito dal tradimento appena consumato. Non ha più neppure l’aureola, l’ha perduta nella mischia demoniaca che infuriava sopra la collina del Golgota.
A ben vedere agli occhi dei discepoli doveva apparire come il disfacimento totale. Se non ci fosse stata la Madre a tenere, dentro quel silenzio, la Madre e le altre Marie: Maria di Magdala, Maria di Cleofe, Salome. Nell’ora del sepolcro, come nell’ora del parto sono le donne a resistere.
Così in questo sabato santo mi sembra di dover pregare per loro, per le donne di questo secolo, per quelle che devono vincere la battaglia contro il disfacimento della loro dignità, contro la mercificazione del loro corpo, contro una cultura che fa del loro utero di vita un luogo di morte.
Se le donne non staranno salde in quest’ora che ne sarà di questa umanità desolata, stanca. È bella la miniatura del Quadrittico di Stein che mostra Maria mentre perde il velo blu, le cade. Il blu è il Mistero, dunque può senz’altro significare la desolazione della Madre di fronte alla divinità di Cristo oltraggiata, ma il blu è anche il colore della notte di un cielo che si è fatto cupo e non può vedere Dio. Sul suo capo brilla già l’alba di Pasqua, ella confida nel Signore. Si aggrappa a quel corpo come a un’ancora di salvezza.
Il sepolcro è lì dietro, con le sue fauci spalancate, mentre all’orizzonte svetta la croce con la scala della deposizione, tutto rimanda all’ora del dolore, ma la Madre bacia il Figlio come se fosse appena uscito dal suo grembo con la vivacità e la vita di un neonato.
Colgo lo sguardo, stupito per quel gesto materno, di Giuseppe d’Arimatea. Anche lui regge e trattiene, quasi, il corpo del Salvatore. Una lettura della V settimana di Quaresima, di Gregorio Nazianzeno, chiede di immedesimarsi in uno dei personaggi in scena nel corso della passione. Mi piace come presenta Giuseppe d’Arimatea: uno che chiede a Pilato il Corpo di Gesù, uno che osa. Uno che va dal potente di turno e non si lascia intimidire. Va e chiede ciò che la Chiesa ha di più caro: il Corpo del Salvatore.
Così dovremmo essere noi: gente disposta a perdere tutto ma non l’Eucaristia. Dovremmo consumare il gradino della porta dei potenti di turno e farci dare il Corpo di Gesù, la possibilità di celebrare, di adorare, di portare questo corpo in giro tra le strade e le piazze della città.
Sì, prego per le donne mie contemporanee, ma anche per gli uomini, per quelli che, come Giuseppe d’Arimatea, osano e per quelli che, come Nicodemo, non osano. Questo Corpo li ritrova uniti, fratelli.
Questo Corpo ha un’attrattiva senza precedenti. A lui ci dobbiamo aggrappare. L’Eucaristia è un perenne silenzio gravido di vita, nella storia dell’umanità. Un sabato santo senza fine che solca le tempeste della storia. Mi sovviene l’esempio di Satiro, fratello del grande Ambrogio. Ancora catecumeno si salvò da un terribile naufragio tenendo il Santissimo al collo, lui che non sapeva nuotare, per salvare se stesso salvò prima il Sacramento.
Ecco: che nelle tempeste della storia, nel sabato santo della fede, ci si possa aggrappare all’Eucaristia certi di essere salvati.