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il convegno

Diritto canonico, il principio supremo è la verità

L’evento annuale del Patriarcato di Gerusalemme ha analizzato l’incidenza di edonismo e transessualismo nel matrimonio e nella vita religiosa e ribadito che la risposta non sta nel pastoralismo ma nella formazione.

Ecclesia 23_08_2024

Sono arrivati sulla sponda giordana del Mar Morto per l'annuale convegno di diritto canonico, svoltosi dal 21 al 28 luglio. Sono giudici e avvocati dei tribunali ecclesiastici, ma anche psicologi e assistenti sociali, parroci e semplici sacerdoti, rappresentanti del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, la cui competenza territoriale interessa quattro Stati: Israele, Cisgiordania, Giordania e Cipro. Ma non solo, sono giunti anche dall’Egitto, dalla Siria e dall’Iraq. Una delegazione dal Libano comprendeva l’abate Antoine Rajeh e delegati dell’università al-Hikma di Beirut. All’incontro, erano presenti anche il patriarca Pierbattista Pizzaballa, l’arcivescovo Alejandro Arellano Cedillo, decano della Rota Romana e mons. Francesco Viscome. Per l’occasione si è anche svolto un seminario dedicato a psicologi e assistenti sociali, nuove figure per il supporto di assistenza e orientamento in campo matrimoniale.

Nel suo intervento, mons. Viscome ha espresso gratitudine nei confronti di papa Francesco per aver avviato la riforma della giustizia, che tra le varie innovazioni prevede l’istituzione del cosiddetto processus brevior, con al centro dell’iter giuridico la figura del vescovo diocesano. Ma per sgomberare il campo da ogni possibile fraintendimento, in merito al processo breve, Viscome ha dichiarato, sin da subito, che la semplicità procedurale del nuovo iter non implica un minus o un plus di preparazione e competenza; infatti, esso non è stato concepito per risolvere in maniera sommaria ed affrettata le cause di nullità matrimoniale, quanto piuttosto per assicurare una giustizia sollecita e affidabile nei casi in cui la nullità del matrimonio poggi su argomenti particolarmente evidenti.

Gli esperti, arrivati da Roma, hanno affrontato questioni riguardanti le nuove sfide della modernità, sfide che interessano, in primis, la decadente società occidentale, ma che si stanno diffondendo anche nei Paesi del Medio Oriente. Durante l’incontro, si è parlato di transessualismo, un argomento di particolare attualità. L’ha fatto il decano della Rota, mons. Arellano Cedillo, a dimostrazione che la Chiesa sa affrontare qualsiasi sfida, anche la più scabrosa. Arellano Cedillo ha spiegato che è necessario distinguere il transessualismo da altri comportamenti, come l’omosessualità e da quel fenomeno per cui la persona si identifica con entrambi i sessi o in nessuno dei due. Sono nate così le cosiddette teorie del “genere”, costruite su un’idea che pretende di distinguere l’identità sessuale dal dato biologico, creando una dicotomia tra il corpo e il sentire psicologico. Da qui quella che viene chiamata antropologia dualistica. Naturalmente, di fronte a queste idee disancorate dalla legge naturale, non si è potuto che riaffermare che il matrimonio, per il diritto canonico, consiste nell’unione tra un uomo e una donna, e che tale unione è eterosessuale e monogama. Evidenti ovvietà di buon senso, ma non per questo pensiero oggi diffuso.

L’unione coniugale non è altro che un’attrazione fisica e spirituale tra persone di sesso diverso, che porta alla mutua complementarità aperta alla paternità e alla maternità. Si è fatto riferimento ad un testo di Francesco Vardè su L’incidenza del transessualismo nel matrimonio canonico dove si afferma che il nostro sesso nasce prima di noi: è un dato che antecede la nostra libertà umana, che non può non riconoscerlo e l’assume come compito di fedeltà al proprio essere uomo o essere donna. Nell’ambito di queste nuove teorie non si rinvia più alla differenza di sesso, quanto piuttosto a quella di genere, che rimanda a dimensioni sociali, culturali e filosofiche conferite al sesso, che diventa, perciò stesso, un dato mutevole e plasmabile. Da questi presupposti sorgono dei problemi giuridici; la legge, infatti, dovrebbe rincorrere questa flessibilità, rinunciando a stabilire dei principi stabili e saldi.

Che fare allora nei casi in cui a richiedere l’ammissione al matrimonio, all’ordine sacro e alla vita consacrata sono persone che vivono una condizione transessuale? La Chiesa, pur comprendendo queste situazioni dolorose, nel caso in cui negasse il matrimonio, l’ordine e la vita consacrata a questi individui non negherebbe alcun diritto, perché queste scelte di vita prevedono requisiti in assenza dei quali l’intenzione della persona che le chiede, non corrisponderebbe a ciò che la Chiesa ha da offrire.

Sempre Alejandro Arellano Cedillo, in un altro suo intervento, ha affrontato la questione della giurisprudenza e dei pericoli nei quali il giudice ecclesiastico può incappare. Spesso accade che data la difficoltà di accertare la verità, nella richiesta di nullità del matrimonio, il giudice si lasci prendere la mano dalle emozioni, dalle pressioni della mentalità odierna e da un falso concetto di pastoralità, dimenticando che il principio supremo al quale bisogna riferirsi è la ricerca della verità. L’autorità della giurisprudenza, che guida ad una retta interpretazione della legge, non è soltanto di tipo morale, ma è anche un’autorità veramente giuridica. La giurisprudenza, insomma, dà il suo contributo a stabilizzare una certa uniformità nell’interpretazione e nella pratica applicazione della legge.

Già papa Wojtyła, nel 1997, aveva denunciato i pericoli di piegare la legge canonica al capriccio o all’inventiva interpretativa, in nome di un principio umanitario ambiguo e indefinito col risultato di mortificare la norma e la dignità della persona umana. Il pontefice era anche preoccupato di salvaguardare la dignità del matrimonio secondo il progetto divino, messa in pericolo da tendenze giurisprudenziali emerse nei tribunali locali. Lo scopo dell’intervento di Giovanni Paolo II era di evitare di violare il principio dell’indissolubilità del matrimonio cristiano e di mettere in pericolo il bene delle anime per una malintesa pastoralità.  Arellano Cedillo ha poi messo in evidenza la presenza di una sempre più diffusa mentalità divorzistica, per la quale il patto coniugale perde di significato, e questo trova una spiegazione per la facilità con cui è garantito il divorzio negli ordinamenti statali e per la diffusione di una visione relativistica ed edonistica della vita. Tra gli stessi cristiani vi è spesso ignoranza in merito al significato e all’essenza sacramentale del matrimonio e questo può rappresentare un rischio per il giudice ecclesiastico, quello di fondare la nullità su questa diffusa ignoranza. Occorre, invece, reagire con un’azione pastorale più incisiva di formazione e preparazione al matrimonio cristiano.



INTERVISTA / DON CITO

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Solo 17 canoni su 89 non sono stati toccati dalla riforma del Libro VI del Codice di Diritto Canonico che entrerà in vigore l'8 dicembre. Molti i temi, dalla trasparenza nella gestione dei beni ecclesiastici alla tutela dei minori, alle pene specifiche in materia di dissenso verso il Magistero. La Bussola intervista don Davide Cito, professore straordinario di Diritto penale canonico.

MEETING DI RIMINI

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