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ELEZIONI USA

Diritto ai brogli e all'odio professato da Saviano & Co.

Dalle elezioni in Usa a Saviano fino alla Aspesi vengono dichiarazioni che giustificano le frodi, l'odio e la violenza: questi gli ipocriti di sinistra per cui il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo. Davanti a questo attacco la risposta sono i ponti che ci vedono accettare regole che valgono solo per noi.

Editoriali 11_11_2020

Sembra (ripeto: sembra) che Biden abbia vinto le elezioni. Dopo qualche ora leggo un twitt che recita (perdonate l’italiano traballante): «Sono stati fatti giustamente dei brogli perché se il popolo non è capace a votare e sceglie di pancia un fascista come Donald Trump è giusto usare anche metodi illegali per il bene degli USA e del MONDO». Ma come: non ci sono delle regole (ad esempio, competere onestamente durante le elezioni) per garantire la convivenza civile?

Questa cosa mi fa venire in mente una recente intervista a Roberto Saviano nella quale lo scrittore dice testualmente: «[…] non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione. Basta con le prediche contro l’odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo. Devo disciplinarmi per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. […] Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano. Li odio profondamente, personalmente. Devo lavorare per andare oltre, perché questo odio mi delegittima, corrompe le mie parole e il mio impegno, corrode me stesso. Ma non credo la strada da seguire sia la gentilezza. È ora dire basta: basta con il mondo mediatico che ospita il peggio, con giornali che hanno fatto cose ignobili, dossieraggio e istigazione al razzismo, che hanno perso qualsiasi autorevolezza ma vengono tenuti al tavolo perché deve esserci tutto, anche la quota della m***a». Ma come: non era giusto sentire anche l’altra campana, in modo da formarsi un’opinione obiettiva e critica? Ma come: i «discorsi d’odio» (vabbeh, l’italiano lo rispetteremo in un altro articolo) non sfociavano necessariamente nella deprecabile violenza?

A proposito della deprecabile violenza, ecco la giornalista Natalia Aspesi: «Anziché spararmi a causa loro [Salvini e Di Maio], pian piano, ho maturato la fantasia di sparare a loro. Devo dire che la legge sulla legittima difesa mi è venuta incontro. Nessuno può più negarmi di imbracciare un kalashnikov. Sono vecchia. Sono sola. Sono gravemente turbata dalla condizione disperata degli italiani. Ho tutto il diritto di fare una strage». Ma come!?

Massì, ormai non ci stupiamo più. Abbiamo perfettamente capito che i nemici del Logos fanno le regole solo per gli avversari ma, in realtà, non hanno alcuna intenzione di rispettarle quando sono a loro svantaggio. Il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo, anche violento. La Costituzione non si tocca se le modifiche non le propongono loro; altrimenti (vedi pareggio di bilancio, vedi riduzione del numero di parlamentari) qualsiasi stravolgimento è sacrosanto. Le sentenze giudiziarie non si commentano; ma, se danneggiano una certa fazione (come in Polonia) si scateni l’inferno.

La censura e la violenza? Fasciste, se usate contro di loro; altrimenti va tutto bene. Questa, lo abbiamo detto, non è incoerenza. È ipocrisia. L’incoerenza è di chi professa certi princìpi che non sempre riesce a mettere in atto. L’incoerenza non è una brutta cosa: è la distanza tra ciò che siamo e ciò che possiamo, vogliamo e dobbiamo essere, tra noi e la santità. L’unica persona coerente è colei che ha rinunciato ad ogni ascesi e si accontenta di ciò che è. Molti rivoluzionari sono tali perché hanno accettato come inemendabili i loro errori. L’ultima, splendida frase del romanzo di Paul Bourget intitolato Il demone meridiano, acutamente osserva: «Bisogna vivere come si pensa, altrimenti, presto o tardi, si finirà per pensare a come si è vissuto».

L’ipocrisia è altro. L’ipocrisia è di chi mente, finendo di credere in princìpi nei quali, in realtà, non crede. Ed è una cosa molto brutta. Nel Vangelo, Gesù usa la parola «ipocrisia» e i suoi derivati una ventina di volte; e, ogni volta, lo fa in una accezione spaventosa. Non credo sia un caso. Credo che l’ipocrisia (come quella espressa negli esempi qui sopra) sia la cifra dei nemici del Logos incarnato.

Eppure, gli crediamo. Dimentichiamo l’avvertimento evangelico: «Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10, 16). Abbattiamo muri e costruiamo ponti a chi non vede l’ora di invadere e distruggere la nostra cittadella.

Poi ci lamentiamo perché «c’è confusione». Confusione è un eufemismo; fa chiaramente capire che non abbiamo capito cosa sta accadendo, che non sappiamo leggere «i segni dei tempi» (Mt 16, 3). Ci lasciamo ingannare dai lupi che si travestono da pecore (Mt 7, 15), crediamo che il mondo sia neutrale nei confronti del Vangelo e ci dimentichiamo che chi non è con il Logos è contro di Lui (Mt 12, 30); abbiamo scordato chi sia il principe di questo mondo (GV 12, 31). Non vogliamo accettare che la storia sia la cronaca della guerra del principe del mondo contro Cristo.

Così tendiamo la mano, facciamo accordi, accettiamo regole che, lo scopriamo poi, valgono solo per noi. In fondo, diciamo, non cambia la sostanza; è solo per casi eccezionali, per situazioni limite. Concediamo 10, non perché sia un gradino per arrivare a 100; ma per accontentare gli avversari, tenerli buoni perché non chiedano di più. Cosa che, invece, avviene puntualmente ogni volta. Come si può pensare di scendere a patti con un simile avversario, resta per me un mistero.