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Diritti del concepito, un Ddl ok (tranne un inciampo)

Il Ddl sulla modifica dell'articolo 1 del Codice civile per il "riconoscimento della soggettività giuridica di ogni essere umano fin dal concepimento" presentato nei giorni scorsi in Senato è sicuramente da appoggiare perché il solo parlarne e dibattere orienta a marciare nella direzione giusta: l’abrogazione della legge 194 e della legge 40. Ma contiene un inciampo scritto dagli stessi autori per evitare di essere accusati di minare la legge 194. Ma proprio qui "casca l'asino". 

Editoriali 22_11_2021

Il 19 novembre scorso, per iniziativa dei senatori Paola Binetti, Maria Alessandra Gallone, Maurizio Gasparri, Lucio Malan ed Erica Rivolta, è stata presentata in Senato una proposta/disegno di legge dal titolo “Modifica all'articolo 1 del Codice Civile, in materia di riconoscimento della soggettività giuridica di ogni essere umano fin dal concepimento”.

L’attuale Ddl riproduce fedelmente, anche nell’introduzione, il contenuto di un altro Ddl del 2018 proposto, in questo caso, dal senatore Gasparri il quale a sua volta è la riproposizione di un Ddl voluto dal Movimento per la Vita del 1995. In breve, siamo alla terza, meritoria, riproposizione dello stesso Ddl.

Il Ddl vuole modificare l’attuale art. 1 cc che così recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita”. Il testo del Ddl è invece il seguente: “L’articolo 1 del codice civile è sostituito dal seguente: ‘Art. 1 (Capacità giuridica). 1. Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. 2. I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita".

Come spiegano i proponentila capacità giuridica è l’attitudine alla titolarità dei diritti”, ossia a diventare soggetto di diritto, cioè una persona agli occhi del diritto, un “qualcuno” per lo Stato. Quando, per il nostro diritto, l’essere umano diventa soggetto di diritto? L’ordinamento giuridico su questo punto presenta un quadro antinomico, ossia contraddittorio. Tralasciando norme di diritto internazionale e sentenze giurisprudenziali, da una parte abbiamo una serie di norme che riconoscono la soggettività giuridica già al nascituro e quindi al concepito (perché anche il concepito è nascituro). Ricordiamo a tal proposito: l’art. 254 cc (possibilità che il figlio naturale sia riconosciuto prima della nascita); l’art. 320 cc (rappresentanza giuridica del nascituro da parte dei genitori); l’art. 687 cc. (revoca delle disposizioni a favore del nascituro); l’art. 462 cc (successione del nascituro); l’art. 784 cc (donazioni in favore del concepito); l’art. 1 della l. 40/2004 il quale qualifica il concepito come soggetto di diritto. Vi sono poi altre due norme che offrono una certa tutela al nascituro però non riconoscono in capo allo stesso alcun diritto e la tutela, in ipotesi, potrebbe essere prestata anche alle cose. Si tratta della l. 860/1950 che disciplina anche la tutela del nascituro di madre lavoratrice e della l. 405/1975 relativa ai consultori i quali devono tutelare la salute del “prodotto del concepimento”.

Su altro fronte abbiamo il già ricordato art. 1 cc che espressamente riconosce soggettività giuridica solo al nato, non al nascituro. Questi potrà diventare titolare dei diritti a lui spettanti in base alla legge solo al momento della nascita. Questa formulazione è assai problematica, anzi contraddittoria con le altre norme prima ricordate e infatti fiumi di inchiostro si sono sprecati per venirne a capo.

Il problema è questo: per alcuni autori i diritti prima elencati (successione, donazione etc.) non sarebbero riconosciuti al concepito, ma al concepito solo se nascerà. Quindi non al nascituro, ma al nato. Risposta: ma non è quello che dicono gli articoli del Codice civile prima indicati che invece riconoscono dei diritti in capo al nascituro e non al nato (tra l’altro la possibilità di essere già riconosciuto figlio prima della nascita). E se riconosco anche un solo diritto al nascituro vuol dire che è soggetto di diritto, che ha capacità giuridica. L’art. 1 invece, contraddittoriamente e volendo usare un esempio analogico, vorrebbe affermare quanto segue: se dico che il 14enne ha diritto al voto posto che raggiunga la maggiore età, sto allora dicendo che è il maggiorenne ad avere il diritto al voto e non il 14enne. Invece il Codice civile, in casi particolari, assegna già dei diritti al nascituro, riconoscendogli implicitamente e necessariamente soggettività giuridica, senza che tale titolarità sia sottoposta ad alcuna condizione. Se gli estensori del Codice insieme a quelli della legge 40, relativamente agli articoli prima menzionati, avessero voluto subordinare la titolarità di quei diritti all’evento nascita, non avrebbe scritto quegli articoli, proprio perché quegli articoli servono per introdurre alcune eccezioni rispetto al quadro giuridico ordinario, cioè che per succedere, essere riconosciuto come figlio, etc. devi essere nato. In breve, se avessero voluto condizionare la titolarità di quei diritti all’evento nascita, non avrebbero scritto quegli articoli e avrebbero lasciato tutto così com’era.

In conclusione, è indubbio che il Codice civile riconosca al nascituro, senza bisogno che venga alla luce, alcuni diritti e quindi, come appuntano i proponenti del Ddl, “come si può escludere la ‘capacità’ del concepito, se gli si riconoscono dei diritti?”. In modo ancor più incisivo rispetto a quanto disciplinato dal codice, c’è poi il già ricordato art. 1 della legge 40 che non riconosce solo alcuni diritti al concepito, ma addirittura lo qualifica espressamente come soggetto di diritto.

Visto però che l’art. 1 cc schiaccia in sede interpretativa, anche giurisprudenziale, differenti interpretazioni a favore del concepito e visto che l’eloquente art. 1 ex  l. 40 è stato sempre ignorato dai giudici, i proponenti del Ddl affermano giustamente “che un chiarimento legislativo è opportuno”. Ed ecco quindi proporre in Senato il presente Ddl il quale, prudentemente, da una parte dichiara che il concepito è già soggetto di diritto e su altro versante specifica che limitatamente ai diritti patrimoniali occorre che il nascituro giunga al parto perché ne sia titolare. Ma ciò che rileva è il fatto che il concepito è già soggetto di diritto, quindi titolare già, senza bisogno che arrivi alla nascita, di tutti i diritti fondamentali, tra cui quello della vita.

E qui sta lo scandalo. Perché, se mutasse in tal modo l’art. 1 cc, sia la legge sull’aborto che quella sulla fecondazione artificiale potrebbero cadere (ovviamente nel mondo di Fantàsia). Infatti, se il concepito ha il diritto alla vita non lo puoi più abortire né esporlo ad altissimo rischio di morte con la fecondazione artificiale. Se il concepito è già soggetto di diritto vuol dire che ha piena dignità umana e quindi non solo non puoi ucciderlo o attentare alla sua vita, ma non puoi nemmeno reificarlo producendolo in provetta. Questi ultimi due risultati in realtà, in punta di diritto, si potevano già ottenere con la semplice lettura dell’art. 1 della legge 40 che qualifica il concepito come soggetto di diritto.

Ma veniamo ad un grosso inciampo contenuto nell’introduzione di questo Ddl. I proponenti sanno benissimo che questa legge mina alle fondamenta la legge 194 (in merito alla legge 40 non si fa cenno alcuno) e quindi temono, giustamente, che tutti coloro che difendono la legge sull’aborto contrasteranno questo Ddl. Allora, volendo tranquillizzare gli animi di coloro che gridano che “la 194 non si tocca!”, entrano loro stessi in quella contraddizione che prima segnalavano, ossia da una parte affermano che il concepito è soggetto di diritto e su altro fronte affermano che lo si può uccidere con l’aborto. Vogliono quindi tenere insieme il riconoscimento del concepito come persona per il diritto e la facoltà di ucciderlo tramite la legge 194. E come tentano di farlo? Affermando che “la posizione di taluni sostenitori della legge 194 suppone la compatibilità del riconoscimento della soggettività dell’embrione con una politica di depenalizzazione dell’aborto”.

I proponenti, in questo passaggio e in altri successivi, stanno dicendo due cose. La prima: la 194 non assegna alla donna il diritto di abortire, ma semplicemente depenalizza l’aborto, lo rende una mera facoltà di fatto oppure un reato non punibile (non si comprende bene quale, tra le due opzioni, sia la posizione dei proponenti su questo punto). La seconda: attualmente, al fine di far nascere più bambini possibili, non è bene considerare l’aborto come reato. I due punti non reggono. In merito al primo punto, per la legge 194 l’aborto è un diritto. Infatti, i medici, se non si avvalgono dell’obiezione di coscienza, sono obbligati a praticarlo e, laddove c’è un obbligo, da qualche parte in capo a qualcuno c’è un corrispettivo diritto. Inoltre, non si contano più le cause di risarcimento civile per aborto mancato: e si risarcisce solo la lesione di un diritto.

In merito all’opportunità di non punire la donna e il medico che procura l’aborto, al fine di salvare il maggior numero possibile di bambini, articoliamo qualche brevissima riflessione.

La sanzione penale deve scattare in relazione alla lesione o tentata lesione di beni di altissimo pregio (e la vita è uno di questi) e laddove esista una responsabilità di un certo rilievo (dolo/colpa), responsabilità il più delle volte presente nella donna e nel medico. Dato che la pena serve per tutelare e accrescere il bene comune, a volte il legislatore giustamente non punisce condotte lesive del bene comune perché la pena arrecherebbe più danni che benefici al bene comune stesso. È per questo che, ad esempio, correttamente non si mette dietro le sbarre il tentato suicida.

Ora, però, esistono delle condotte così gravi - come l’omicidio, il furto, il sequestro di persona, lo stupro, etc.- che devono essere sempre punite perché la sanzione penale è sempre efficace, ossia, promette sempre più benefici che danni. E dunque, volete diminuire il numero di aborti? Sanzionate l’aborto, di certo non permettetelo.

Queste condotte, dunque, non possono mai venire tollerate dall’ordinamento giuridico, ossia non si può decidere di non punirle, di depenalizzarle oppure di considerarle sì reati ma non punibili. Tra queste c’è sicuramente l’assassinio. Ergo, se il concepito è soggetto di diritto, ha diritto alla vita e chi lo uccide con l’aborto merita di essere punito. Il riconoscimento della soggettività giuridica del concepito comporta la sua tutela penale.

Altrimenti il principio di uguaglianza posto a fondamento di questo Ddl (“Il fondamento teorico della proposta sta nel principio di eguaglianza”) verrebbe meno. Mettiamo in carcere chi assassina un già nato e non chi assassina un nascituro? Il non nato vale meno del nato? Inoltre, lo stesso Ddl sarebbe inutile: proclamiamo la soggettività giuridica del concepito e poi non tuteliamo la sua vita, non lo tuteliamo contro l’aborto? Sarebbe contraddittorio e quel Ddl finirebbe per essere un mero enunciato di principio.

Ciò detto, al netto di questa notevole sbandata voluta per calcoli comprensibilmente di natura politica e quindi strategica, il presente Ddl è sicuramente da appoggiare anche se finirà, come i suoi due predecessori, nel cestino. Da appoggiare perché il solo parlarne e dibattere orienta a marciare nella direzione giusta: l’abrogazione della legge 194 e della legge 40.