Dio merita «non una musica qualunque, ma una musica santa»
Parlando alle scholae cantorum, papa Francesco ha ricordato l’importanza della musica sacra nella liturgia «perché a Dio si deve dare il meglio» e perché essa aiuta ad avvicinarsi al trascendente. Oltre al primato del gregoriano come via musicale di evangelizzazione, importante la sottolineatura di Bergoglio sul fatto che la musica sacra ha il compito di «saldare insieme la storia cristiana».
Il 28 settembre, papa Francesco ha rivolto un discorso, nell’Aula Paolo VI, alle scholae cantorum dell’Associazione Italiana Santa Cecilia. Nel discorso ci sono dei punti molti interessanti.
All’inizio il Pontefice così afferma:
«Voi fate parte della benemerita Associazione Italiana Santa Cecilia, antica per fondazione – 140 anni – e tuttora viva e operante e desiderosa di servire la Chiesa. Sono noti l’affetto e la stima dei Papi per questa Associazione, in particolare di San Pio X, che diede al popolo di Dio organiche disposizioni sulla musica sacra (cfr Motu Proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903). San Paolo VI vi volle rinnovati e attivi per una musica che si integra con la liturgia e che da essa ricava le caratteristiche fondamentali. Non una musica qualunque, ma una musica santa, perché santi sono i riti; dotata della nobiltà dell’arte, perché a Dio si deve dare il meglio; universale, perché tutti possano comprendere e celebrare. Soprattutto, ben distinta e diversa da quella usata per altri scopi. E vi raccomandò di coltivare il sensus ecclesiae, il discernimento della musica nella liturgia. Diceva: “Non tutto è valido, non tutto è lecito, non tutto è buono. Qui il sacro deve congiungersi con il bello in una armoniosa e devota sintesi” (Discorso alle religiose addette al canto liturgico, 15 aprile 1971). Benedetto XVI vi ha esortato a non dimenticare il patrimonio musicale del passato, a rinnovarlo e incrementarlo con nuove composizioni».
In questo discorso, il Pontefice richiama con forza le caratteristiche della musica sacra già prefigurate dal suo santo predecessore Pio X. Per quello che riguarda la caratteristica dell’universalità, volendo integrare quanto detto da Francesco, si può aggiungere che essa si riferisce al fatto che la musica deve possedere caratteristiche liturgiche che sono al di là della cultura, quindi una composizione di un autore africano deve suonare liturgica in qualunque posto essa venga eseguita, pur potendo possedere alcune inflessioni linguistiche tipiche della propria cultura.
Il cardinale Robert Sarah, in un suo discorso alla conferenza “Sacra Liturgia” (2016), ben descrive il rapporto di un cattolico con la propria cultura:
«Vorrei sottolineare un fatto molto importante qui: Dio, non l’uomo, è al centro della liturgia cattolica. Veniamo per adorarlo. La liturgia non riguarda me e te; non è dove celebriamo la nostra identità o le nostre conquiste o esaltiamo o promuoviamo la nostra cultura e costumi religiosi locali. La liturgia riguarda innanzitutto Dio e ciò che ha fatto per noi. Nella sua divina provvidenza Dio Onnipotente ha fondato la Chiesa e istituito la Sacra Liturgia per mezzo della quale siamo in grado di offrirgli la vera adorazione secondo la Nuova Alleanza stabilita da Cristo. Nel fare questo, entrando nelle esigenze dei riti sacri sviluppati nella tradizione della Chiesa, ci viene data la nostra vera identità e significato come figli e figlie del Padre».
Papa Francesco, nel discorso di cui sopra, enfatizza che non dobbiamo avere una musica qualunque, ma una musica santa, perché santi sono i riti che si celebrano. E aggiunge:
«Insieme potete meglio impegnarvi nel canto come parte integrante della Liturgia, ispirandovi al modello primo, il canto gregoriano. Insieme vi prendete cura della preparazione artistica e liturgica, e promuovete la presenza della schola cantorum in ogni comunità parrocchiale. Il coro infatti guida l’assemblea e – con i suoi repertori specifici – è voce qualificata di spiritualità, di comunione, di tradizione e di cultura liturgica. Vi raccomando di aiutare a cantare tutto il popolo di Dio, con partecipazione consapevole e attiva alla Liturgia. Questo è importante: la vicinanza al popolo di Dio».
Molto importante l’aver affermato con forza che il canto gregoriano è modello imprescindibile di musica liturgica, un’ispirazione per tutti i repertori destinati alla liturgia. E per questo il Papa ha anche riaffermato il ruolo delle scholae cantorum, non solo come guida dell’assemblea, ma anche come “voce qualificata” della stessa che aiuta a pregare con “repertori specifici”, come quelli della polifonia antica e moderna.
In realtà, come afferma il Pontefice, le possibilità di apostolato sarebbero enormi:
«Vari sono i campi del vostro apostolato: la composizione di nuove melodie; promuovere il canto nei Seminari e nelle Case di formazione religiosa; sostenere i cori parrocchiali, gli organisti, le scuole di musica sacra, i giovani. Cantare, suonare, comporre, dirigere, fare musica nella Chiesa sono tra le cose più belle a gloria di Dio. È un privilegio, un dono di Dio esprimere l’arte musicale e aiutare la partecipazione ai divini misteri. Una bella e buona musica è strumento privilegiato per l’avvicinamento al trascendente, e spesso aiuta a capire un messaggio anche chi è distratto. So che la vostra preparazione comporta sacrifici legati alla disponibilità del tempo da dedicare alle prove, al coinvolgimento delle persone, alle esecuzioni nei giorni di festa, quando forse gli amici vi invitano ad andare “a spasso”. Tante volte! Ma la vostra dedizione alla liturgia e alla sua musica rappresenta una via di evangelizzazione a tutti i livelli, dai bambini agli adulti. La Liturgia infatti è la prima “maestra” di catechismo. Non dimenticatevi questo: la Liturgia è la prima “maestra” di catechismo».
Ci sarebbe tanto da dire qui, ma va enfatizzato il fatto che il Pontefice chiama la musica per la liturgia “bella e buona”. Pochi giorni prima, parlando a una delegazione di giornalisti, li aveva esortati a parlare in “bontà, verità e bellezza”. Rispetto alle due qualifiche usate poi per la musica liturgica aveva parlato anche di “verità”. Ebbene, è proprio importante che questa qualità risuoni anche per la musica liturgica: che essa sia vera, perché deve essere degna dell’alto scopo a cui è chiamata, cioè essere via di evangelizzazione.
Così continua papa Francesco:
«La musica sacra svolge anche un altro compito, quello di saldare insieme la storia cristiana: nella Liturgia risuonano il canto gregoriano, la polifonia, la musica popolare e quella contemporanea. È come se in quel momento a lodare Dio ci fossero tutte le generazioni passate e presenti, ognuna con la propria sensibilità. Non solo, ma la musica sacra – e la musica in genere – crea ponti, avvicina le persone, anche le più lontane; non conosce barriere di nazionalità, di etnia, di colore della pelle, ma coinvolge tutti in un linguaggio superiore, e riesce sempre a mettere in sintonia persone e gruppi di provenienze anche molto differenti. La musica sacra riduce le distanze anche con quei fratelli che a volte sentiamo non vicini. Per questo in ogni parrocchia il gruppo di canto è un gruppo dove si respira disponibilità e aiuto reciproco. Per tutto questo, cari fratelli, vi ringrazio e vi incoraggio. Il Signore vi aiuti ad essere costanti nel vostro impegno. La Chiesa stima il servizio che prestate nelle comunità: voi le aiutate a sentire l’attrazione del bello, che disintossica dalla mediocrità, eleva verso l’alto, verso Dio, e unisce i cuori nella lode e nella tenerezza».
Certamente, non è un breve discorso il terreno per fare precisazioni di musicologia liturgica, pur importanti, come la necessaria distinzione fra canto liturgico e canto popolare, ma mi sembra importante nelle parole del Papa questa idea della musica sacra che salda insieme la storia cristiana. Essa è un linguaggio sovratemporale e sovraculturale, proprio perché linguaggio altro rispetto al mondo. Anche quando il Papa parla di “musica contemporanea”, se lo si legge nel contesto di quanto ha detto in precedenza, penso intenda dire la musica composta nell’oggi, ma che sempre tiene presenti quelle caratteristiche senza tempo che ne garantiscono la pertinenza per l’uso appropriato nella liturgia.