Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Dialogo di pace a Doha, guerra di nervi fra Israele e Iran

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A Doha si cerca l'accordo fra Hamas e Israele, per lo scambio ostaggi in cambio di tregua. Mentre continua la guerra di nervi dell'Iran che annuncia, ma rimanda, l'attacco a Israele.

Esteri 16_08_2024
Osama Hamdan, il negoziatore di Hamas (La Presse)

Un incontro molto atteso, ma che non ha ancora prodotto l’esito desiderato. Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza degli Stati Uniti, John Kirby, l’ha comunque definito «un inizio promettente». A dieci mesi dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, le delegazioni di Stati Uniti, Egitto e Qatar hanno incontrato, ieri a Doha, gli emissari del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il gruppo di Hamas non era presente, in quanto riteneva valido l'accordo proposto a luglio da Joe Biden, ma veniva informato, quasi in tempo reale, sull'andamento dei lavori, tramite i suoi rappresentanti presenti nel paese del Golfo. I colloqui sono, comunque, proseguiti: «Oggi ci concentriamo sui dettagli - ha dichiarato John Kirby -. Non prevediamo di arrivare ad un accordo, ma presumiamo che i colloqui proseguiranno anche domani» (oggi per chi legge).

Tra Israele e Hamas si gioca una partita di ping-pong. Il portavoce di Hamas, Osama Hamdan, ha dichiarato ieri che il gruppo non è interessato ad ulteriori negoziati. Il premier Netanyahu nega di aver avanzato nuove richieste, ma ha anche ripetutamente sollevato dubbi sulla durata del cessate il fuoco, asserendo che il suo paese rimane impegnato per una “vittoria totale” contro Hamas e per il rilascio di tutti gli ostaggi. Nel frattempo, Israele avrebbe compilato una lista con i nomi di 33 ostaggi ancora in vita e che dovrebbero essere rilasciati nella prima fase dell'accordo.

Intanto, l'ex ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, uscito dal Gabinetto di guerra nei mesi scorsi, ed ora all'opposizione, ha attaccato Netanyahu, accusandolo di non avere coraggio in relazione ai colloqui di Doha: «All'inizio temevi di prendere la decisione di entrare a Gaza, poi hai avuto paura di spostare le truppe verso il nord e per mesi hai esitato nel perseguire una soluzione per la liberazione degli ostaggi, sempre preoccupato del destino della coalizione. Ora per una volta, abbi coraggio e fai l'accordo».

A sorpresa il presidente dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen, ha annunciato, in una sessione straordinaria del parlamento turco, che si recherà a Gaza. «Ho deciso di andare a Gaza con altri fratelli della leadership palestinese», ha detto in un discorso ad Ankara applaudito dai parlamentari turchi.

Era il 31 luglio scorso, quando Ismail Haniyeh, leader di Hamas, veniva ucciso dallo scoppio di una bomba nascosta nell’edificio in cui soggiornava a Teheran. Per due settimane si sono susseguite voci e smentite su un "imminente attacco punitivo" da parte della Repubblica islamica dell’Iran nei confronti d’Israele. Un'attesa snervante sia per la popolazione, che per l'esercito israeliano. Ma l’attesa della ritorsione dell’Asse della Resistenza (Iran, Hezbollah, Houthi e milizie irachene) è diventata insostenibile per Israele, al punto che il governo, in una recente riunione, avrebbe preso in considerazione anche l'idea di lanciare un attacco preventivo contro gli iraniani. «L'attesa è una risposta per il nemico - ha detto uno dei massimi responsabili dei Guardiani della Rivoluzione -. Israele sta subendo una forte pressione, noi siamo tranquilli - ha aggiunto - e aspettiamo solo l'ordine della Guida Suprema. Bisogna usare ancora pazienza e perseveranza, ma la rappresaglia ci sarà. La “lunga attesa” fa parte di una strategia basata sulla guerra di nervi».

La diplomazia, si è visto anche ieri, naviga a vista. Si susseguono gli appelli alla Guida Suprema per un passo indietro. «Abbiamo diritto ad una risposta appropriata e dissuasiva contro Israele - ha detto il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, al collega cinese, Wang Yi -. Scoraggiare Israele - ha concluso - è necessario per garantire la stabilità regionale». Anche la Santa Sede, con il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, ha espresso la seria preoccupazione per quanto sta accadendo in Medio Oriente, ribadendo la necessità di evitare che il conflitto si allarghi e si favorisca, invece, il negoziato e la pace.

Ma se risposta ci sarà, probabilmente sarà misurata, con l’obiettivo di non scatenare eventuali reazioni sproporzionate di Israele e degli Stati Uniti, ma il governo di Netanyahu è diviso. Non tutti sono favorevoli ad aprire un nuovo fronte, dopo quello di Gaza, che comporterebbe complicazioni, sia interne che internazionali. Gli attori mediorientali stanno facendo di tutto per salvare la faccia ed evitare un conflitto dagli esiti imprevedibili. L'Iran sa, però, che la mancata reazione rappresenterebbe un indebolimento della sua leadership, ma è anche consapevole che una risposta violenta alimenterebbe un rischio troppo alto, tenuto conto che una consistente forza navale americana è schierata davanti alle coste iraniane. «Non prenderemo parte ai negoziati per il cessate il fuoco tra Hamas e il regime ebraico, con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti, e non abbiamo alcuna intenzione di essere coinvolti in tali negoziati», ha dichiarato il rappresentante dell'Iran all'Onu.

Teheran sta, comunque, cercando una via d’uscita, e pur mantenendo una posizione inflessibile, e dopo giorni trascorsi a far trapelare voci di un attacco imminente, ha riaperto improvvisamente i giochi: solo il cessate il fuoco a Gaza fermerà la risposta per l’uccisione di Haniyeh. Se il l’incontro fallirà o se l’Iran avvertirà il tentativo israeliano di farlo deragliare ancora una volta, la Repubblica islamica ed Hezbollah non potranno non avviare una reazione.

Dietro a questo ammorbidimento sembrerebbe che ci siano gli emissari americani che avrebbero convinto la guida suprema Ali Khamenei. Secondo una fonte kuwaitiana, la delegazione, giunta in Iran attraverso la Turchia, con la mediazione dell'Oman, avrebbe ammesso che l'Amministrazione Biden-Harris era stata tenuta all'oscuro, dal primo ministro israeliano Netanyahu, in merito agli assassinii di Ismail Haniyeh e di Fuad Shukr leader degli Hezbollah. Israele, infatti, si è assunto la responsabilità dell'assassinio di Shukr, ma non ha ancora rilasciato dichiarazioni in merito alla morte di Haniyeh. È trapelato inoltre, ma è d’obbligo il condizionale, che la delegazione americana abbia consegnato una lista di nomi di alcuni agenti del Mossad operativi in Iran, e questo in risposta agli attacchi d’Israele, condotti senza il coordinamento americano. 

A Gaza, nel frattempo, si continua a morire, per le azioni di terra e per i bombardamenti dell'aviazione israeliana. Da nord a sud è un inferno. Secondo i dati a disposizione dell’Onu, a febbraio si contavano già 17mila bambini rimasti soli. Altri 21mila sono i minori dispersi; quasi 16.500 quelli uccisi; si tratta del 40% delle quasi 40000 vittime accertate dal 7 ottobre.

Orribile e disumana l'uccisione di due neonati, Isal e Ayser, ammazzati insieme alla madre da un colpo di artiglieria israeliano nella loro casa a Deir al-Balah, poco dopo che il padre aveva ottenuto i loro certificati di nascita. Vittime innocenti, “effetti collaterali” di questa guerra brutale e disumana.

Ma anche a Gerusalemme c’è molta tensione. Le provocazioni ormai sono quotidiane. Duemila coloni, guidati dal ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, in occasione della festività di Tisha B'Av, giornata di lutto e digiuno, in cui si ricorda la distruzione del primo e secondo tempio di Gerusalemme, ad opera dei babilonesi e dei romani, hanno invaso la Spianata delle moschee.