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test psicoattitudinali

Ddl Nordio: serve una mente sana per una giustizia sana

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Sconcerto dell'Anm all'idea di screening psicologici sui futuri togati. Come se non sapessero che un giudizio equo richiede equilibrio. E magari anche virtù, ma valutare anche la psiche è un primo passo per superare una concezione tecnicistica.

Politica 28_03_2024
IMAGOECONOMICA - SARA MINELLI

Tutti noi vorremmo che la mano del chirurgo fosse ferma nel momento in cui ci operasse. In modo analogo vorremmo che anche la psiche del giudice fosse altrettanto stabile allorché ci giudicasse. Ecco allora finire nel Ddl Nordio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario un test psicoattitudinale per i candidati alla magistratura da espletarsi dopo la prova orale.

Si chiama Minnesota multiphasic personality inventory e dovrebbe permettere, così assicurano gli esperti, di scoprire patologie psichiche, nevrosi, dipendenze, psicosi, stati depressivi, personalità narcisiste et alia tramite la somministrazione di 600 domande a risposta vincolata. È già usato per il personale delle forze dell’ordine, per i militari, per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, per i piloti di aereo e anche nei processi per gli imputati. Test simili per i giudici sono ormai prassi in Austria, Olanda, Portogallo, Ungheria, Germania, Belgio. C’erano anche in Francia, ma Macron li soppresse.

In una lunga nota l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) ha affermato che «il ministro della Giustizia ha frustrato ogni aspettativa di rispetto della cornice costituzionale. […] Lo sconcerto è grande». Commento: ma non ci tiene l’Anm in primis ad avere giudici psicologicamente equilibrati? La reazione stizzita è la prova ulteriore che la magistratura viene intesa da molti suoi membri non come un potere indipendente, ma come una casta intoccabile.

Ben vengano invece i test per chi decide non solo sui danni da vacanza rovinata, ma soprattutto su omicidi e truffe avendo il potere di modificare per sempre il corso dell’esistenza di una persona, ad esempio mandandola in galera a vita o per molti anni. E sappiamo come la mania di protagonismo e di grandezza che anima spesso molti uomini in toga non abbia sempre offerto un gran servizio alla giustizia (la partigianeria politica invece non crediamo che potrà essere individuata con un semplice test). Il problema sarà semmai la tipologia di domande e l’orientamento antropologico degli psicologi e psichiatri chiamati a valutare le risposte. Se, come è probabile, l’impronta sarà quella freudiana o junghiana o comunque quella della psicologia analitica si rischia di veder mandati a casa candidati equilibrati (andate a dire allo psicologo che per voi la castità è un valore e questo vi classificherà come persona disturbata) e ammessi quelli problematici (affermare oggi che non esiste il sesso ha perso ormai qualsiasi connotazione psicotica). Ma, come si dice, un problema alla volta.

Ammesso e non concesso che test ed esaminatori siano inappuntabili, avremo risolto il problema della possibile ingiustizia di alcuni giudici? Certo che no. Sarebbe risibile solo pensarlo. I test psicologici sono un passo verso la giusta direzione, ma naturalmente non risolvono tutto. Sono un passo importante perché è frutto del positivismo giuridico più estremo credere che basti la preparazione tecnica per giudicare secondo giustizia, rectius secondo la legge. È il formalismo giuridico che ci fa credere che il giudice sia solo una persona che, conosciuto un fatto, lo inquadra nella norma relativa e poi sforna una sentenza come norma comanda. Un sillogismo giuridico che è pura astrazione. Il giudizio non può essere ridotto a questo processo così meccanico, ma investe la preparazione pregressa del giudice, la sua formazione umana, il suo credo religioso o il suo ateismo, il suo temperamento, i valori umani e i disvalori, l’orientamento politico, la sua forma mentis e anche, per rimanere in tema, la sua psicologia. Tutto confluisce nel giudizio volenti o nolenti. Uno screening quindi anche sulla tenuta psicologica del candidato è soluzione che di suo è da accogliere positivamente perché si smarca dalla interpretazione meramente tecnicistica del lavoro del magistrato.

Ma ciò, come accennato, non basta. Pare certamente moralistico ricordarlo, ma per giudicare bene occorre essere un uomo virtuoso, occorre dunque possedere le virtù, in primis naturalmente quella della giustizia. Possiamo formare al meglio i magistrati dal punto di vista tecnico e costoro possono anche avere – apparentemente – una psiche solida, ma senza virtù il giudice fallirà il suo compito. Questo perché il lavoro del magistrato, al pari di altri, investe il giudizio morale sulla condotta dei cittadini. E solo l’uomo giusto, prudente, forte e temperante potrà giudicare secondo verità l’agire di un suo simile. Una persona può essere un eccellente matematico, anche se uomo meschino. Ma una persona non potrà mai essere un eccellente giudice e un uomo meschino al tempo stesso. Difficile, molto difficile giudicare con equità se questa stessa equità – insieme a molte altre virtù – non intesse la vita del giudice. Non basta quindi neppure una chiarezza intellettuale sulle virtù, è necessario essere giusto e buono per giudicare con giustizia e bontà.

E, tra parentesi, dato che non siamo fatti a compartimenti stagni, una vita inclinata non alla ricerca della virtù, del bene, ma del vizio, del male, non può che distorcere la stessa psiche, perché una mente sana è propria solo di chi compie il bene.



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