Dall'Ue una guida all'autocensura linguisticamente corretta
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Badi a come parla, anzi, citando Totò "parli come badi". Il manuale per autori e traduttori della Commissione europea indica cosa dire e soprattutto non dire, in ossequio ai nuovi dogmi così inclusivi da vietare tutto.

Parli come badi. Potremmo usare questa chiave ermeneutica di Totò per capire il fine ultimo della Guida per lo stile inglese. Un manuale per autori e traduttori della Commissione europea pubblicato lo scorso 14 febbraio dalla Commissione europea. Questa guida consiste in un manuale linguistico che, in modo molto dettagliato, indica i termini e le espressioni corrette, anzi: politicamente corrette, da usarsi nei documenti ufficiali da parte del personale della Commissione. Centotrenta pagine fitte fitte di divieti, suggerimenti, inviti grammaticali e sintattici perché la libertà di parola ha confini molto precisi e stretti, tracciati con scrupolo da chi sta a Bruxelles.
Forse il paragrafo più interessante è il n. 15: «Linguaggio inclusivo». Spigoliamo qua e là nel folto dei suggerimenti pedagogici. Ad esempio occorre evitare il termine “chairman” perché quel “man” non è inclusivo verso chi è “woman”. E vien da pensare che anche “woman” sia discriminatorio dato che reca in sé quell’odiato sostantivo “man”, tanto da far pensare che non si possa dire “donna” senza dire “uomo”. Il problema nella lingua inglese si ripresenta innumerevoli volte dato che il suffisso “man” si annida malevolo in molti termini. Ma niente paura, meglio: niente fobia. Basta sostituire certi termini con altri: “firefighters” al posto “firemen” (pompieri); “fishers” al posto di “fishermen” (pescatori); “agente di polizia” a posto di “poliziotto” o “poliziotta”; “ore di lavoro” al posto di “ore uomo”.
Abolito l’“uomo”, veniamo ai pronomi. Per la persona non binaria, cioè persona che ritiene di essere maschio e femmina nello stesso tempo e con gradi di appartenenza ai due sessi anche differenti, c’è il pronome non binario: “essi”, quasi fosse abitata costui o costei da più persone o, meglio, da più personalità. Purtroppo, poi, in inglese dar del “loro” non è espressivo di rispetto. Se non il rispetto dell’ideologia LGBT. La Guida del gambero arcobaleno edita dall’UE tiene inoltre a precisare, con tanto di “nota bene”, che l’“essi” usato per il non binario, ha un significato diverso rispetto all’ “essi” usato per colui il quale o la quale non sa a che sesso appartiene o sa che non appartiene a nessun sesso.
Un modo per trarsi d’impiccio da questa lingua sessualmente esplicita sta nell’usare l’imperativo o il plurale, almeno nei regolamenti ed istruzioni. Meglio dire «Per prima cosa accendi il Pc» piuttosto che «Per prima cosa l’utente accenda il suo [“his” o “her”] PC». Si preferisca «I ricercatori devono essere obiettivi riguardo alle loro scoperte» al sessista «Il ricercatore deve essere obiettivo riguardo alle sue [“his” o “her”] scoperte». Oppure tagliamo la testa al toro del buon senso e non usiamo nessun pronome: «Il presidente ha espresso dissenso», invece di «Il presidente ha espresso il suo [“his” o “her”] dissenso». Proprio vero che il diavolo si nasconde nei dettagli.
Lo slalom tra i paletti dei pronomi conduce poi alle sabbie mobili delle categorie di persone cosiddette “socialmente fragili”. Ecco alcuni esempi: «utilizzare “Persona con una condizione di salute mentale” [sic] anziché “Persona che soffre di un disturbo mentale” e [usare] “Utilizzatore di sedia a rotelle” anziché “Persona costretta su una sedia a rotelle”».
Poi via “marito” e “moglie” soppiantati da “coniugi” e “partners” perché in tal modo includiamo anche gli omosessuali. Anzi, pardon, non “omosessuali” ma “comunità Lgbtqi+”. Va da sé, poi, che riferirsi alle persone transessuali «con il nome che hanno ricevuto alla nascita, anziché con il nome che usano attualmente, è irrispettoso e deve essere evitato». In modo analogo occorre «evitare un linguaggio che suggerisca che essere anziani sia uno stato indesiderabile». Ma se lo è cosa possiamo farci? Tacerlo e solo pensarlo? Trattarli da ventenni?
Infine non si deve adoperare l’espressione “nome di battesimo”, che in inglese è ancor più fortemente connotato nelle sue ascendenze religiose perché si usa l’espressione “Christian name”, ma occorre dire “first name” che potremmo tradurre semplicemente con “nome”. Si sbianchetta così il sesso, l’età, gli handicap, la razza ed ovviamente la religione. Una bella imbiancatura sui diversi colori della vita. È la realtà ad essere arcobaleno, non il mondo LGBT.
Torniamo a Totò e al suo “parli come badi”. La UE vuole per i propri dipendenti – e tra questi ci siamo anche tutti noi perché volenti e nolenti dipendiamo da lei – che questi ultimi parlino secondo gli interessi a cui la stessa UE sta badando. È cosa nota: si vuole creare un uomo nuovo, che non è né uomo né donna, e un mondo nuovo, popolato solo da felci, panda e ghiacciai. Per un mondo nuovo servono parole nuove. Per cancellare poi il mondo vecchio, anzi: anziano, è molto utile, in parallelo, cancellare quelle parole che potrebbero rievocarlo. Neologismi versus paleologismi.
È un mondo questo, targato UE, artefatto, perché inesistente nella realtà. E le parole servono per descrivere la realtà oppure per occultarla ed inventarla diventando così parolacce. Un mondo dove detta legge e regole grammaticali la maggioranza delle minoranze, dove “inclusività terminologica” sta in realtà per “pelosa ipocrisia linguistica” e “diversità” per “omologazione”. Un mondo poi al tramonto perché se proprio i burocrati europei vogliono guardare al mondo nuovo dovrebbero guardare al Nuovo Mondo. Agli Usa.