Dalla pandemia al clima, fine emergenza mai
Da Draghi al Vaticano la nuova parola d'ordine è "L'emergenza climatica è come la pandemia". In realtà le due cose sono strettamente legate, perché una dopo l'altra servono a mantenere uno stato d'emergenza che porta alla fine della democrazia e dei diritti personali.
«È vero che stiamo ancora lottando contro la pandemia, ma questa è un'emergenza di uguale entità e non dobbiamo assolutamente ridurre la nostra determinazione ad affrontare i cambiamenti climatici». Così il presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto l’altro giorno al vertice sul Clima che ha inaugurato l’Assemblea generale dell’ONU. E, non sorprendentemente, l’Osservatore Romano, nell’edizione del 21 settembre, si è fatto megafono dell’allarmismo facendo proprio il messaggio con un titolo a caratteri cubitali in prima pagina: L’emergenza climatica è come la pandemia.
Nel discorso di Draghi segue la solita litania di provvedimenti urgenti da prendere prima che sia troppo tardi, e che riguardano essenzialmente la “transizione energetica”, ovvero il passaggio dall’uso dei combustibili fossili a qualsiasi forma di fonte rinnovabile. Non ci dilunghiamo sulle conseguenze di queste scelte economiche “verdi”, di cui stiamo già assaggiando il sapore amaro (vedi impennata dei costi della bolletta per l’energia elettrica).
In questa sede vorremmo invece far notare questo connubio ideologico tra clima e pandemia, che non è affatto accidentale. Il punto è che tutto serve a mantenere lo stato di emergenza, a cui peraltro ci siamo già drammaticamente abituati. Sono vent’anni almeno che ci viene propagandata l’emergenza climatica, e anche se le popolazioni in buona parte fanno fatica a credere veramente al catastrofismo imperante – che rimanda sempre a disastri prossimi venturi – cionondimeno questa ha già condizionato profondamente le politiche dei governi occidentali. E soprattutto ha portato i cittadini ad accettare misure che hanno pesantemente inciso sulle proprie tasche e sulla propria libertà. Pensiamo al forzato rinnovo del parco auto per poter circolare liberamente con i vari, ultimi, Euro con cui vengono classificati i motori “puliti”; o alla svalutazione delle abitazioni datate grazie alla obbligatoria certificazione energetica.
In questa prospettiva la pandemia è stata un’occasione per rendere ancora più concreto e stringente lo stato d’emergenza, con tanto di sospensione delle libertà individuali e delle garanzie democratiche. Questo a sua volta faciliterà il perpetuare le misure costrittive anche per la presunta emergenza climatica. Probabilmente non è un caso che il lasciapassare di cui tanto si parla di questi tempi sia stato chiamato Green Pass, lasciapassare verde. Cosa c’entra il verde con la pandemia? Nulla, ma richiama molto l’ecologia.
E allora, una volta accettata l’idea del Green Pass, non è molto lontano il momento in cui sarà allargato ai comportamenti ecologici: il lasciapassare verde sarà rilasciato a chi ha l’auto elettrica, a chi ha la propria casa in classe energetica A, a chi usa i mezzi pubblici o la bicicletta per muoversi in città, e così via. Il tutto secondo uno schema - forse sorprenderà qualcuno - che è già stato teorizzato e anche realizzato. Già nel 2006 il politico laburista britannico David Miliband auspicava una Carbon Credit Card, una carta di credito che funziona come una “prepagata”, dall’ammontare fisso, che va a scalare a seconda delle scelte che vengono fatte per gli acquisti di cibo, energia, viaggi. Più si è “verdi” più si ha libertà di acquistare e di muoversi. E tuttora c’è chi porta avanti questo progetto, anzi lo sta realizzando.
Non a caso l’esperto americano Marc Morano, nel suo recente libro Green Fraud (La truffa verde) definisce i lockdown anti-Covid come «la prova generale per l’emergenza climatica». E nota come le misure tanto invocate dagli ecologisti, grazie alla pandemia sono state realizzate dalla sera alla mattina dai governi di tutto il mondo: dallo stop ai viaggi aerei al blocco delle attività economiche (non per niente tutti hanno sottolineato con favore che nel 2020 sono diminuite le emissioni di CO2); dalla drastica riduzione degli spostamenti alla chiusura delle attività ricreative (dai ristoranti ai cinema e teatri, considerati consumi non necessari). Il protrarsi dello stato di emergenza, dalla pandemia al clima, porterà tutto ciò a diventare il “nuovo normale”.
Il perenne stato d’emergenza inoltre genera almeno due conseguenze che vale la pena mettere in evidenza. La prima è la fine della democrazia. Non si tratta di un effetto collaterale, ma di un obiettivo esplicitamente voluto. In un rapporto del Club di Roma, addirittura del 1991, intitolato The First Global Revolution (La Prima rivoluzione globale), leggiamo: «La democrazia non è una panacea. (…) per quanto possa suonare sacrilego, la democrazia non è più appropriata per gli obiettivi che abbiamo davanti. La complessità e la natura tecnica di molti dei problemi di oggi non sempre permettono a rappresentanti eletti di prendere decisioni corrette al momento giusto». La direzione è quella di una governance mondiale tecnocratica capace di affrontare “scientificamente” le emergenze globali (o che vengono presentate come tali). Guardando a come i media ci presentano la pandemia e i cambiamenti climatici non ci sono dubbi al riguardo.
La seconda conseguenza è la crescente invadenza dello Stato in ogni ambito della vita. La sussidiarietà, l’iniziativa personale sono bandite, tutto dipende dalle decisioni del governo. Riprendere il discorso di Mario Draghi al Senato del 17 febbraio 2021 (presentazione del governo alle Camere) è istruttivo in tal senso: l’economia è stata massacrata dalla pandemia, diceva in sostanza (ma sarebbe meglio dire dalla gestione della pandemia), ora il governo aiuterà a ripartire, ma decidendo chi far ripartire e in che modo. E intanto anche le attività bloccate dai lockdown (ristoratori in testa) sono state costrette a dipendere dalle elemosine del governo. E ancora in questi giorni, a seguito dell’annuncio del clamoroso aumento delle bollette di elettricità e gas, il governo ha assicurato che aiuterà i più poveri. Sempre più persone e famiglie vengono spinte ai margini dell’economia, costrette alla povertà, per poi trovarsi a dipendere dalla magnanimità dello Stato.
Chi pensa che il 31 dicembre segnerà davvero la fine dello stato di emergenza è un illuso.