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Dalla lettera di Zuppi ai musulmani: la Quaresima-Ramadan

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L'arcivescovo di Bologna e presidente della CEI scrive un ampio messaggio ai «fratelli e sorelle credenti nell'Islam», intessendo un irenico parallelismo tra il digiuno islamico e quello quaresimale. Basta dimenticare che a fare la differenza è Cristo.

Editoriali 12_03_2024 English Español
IMAGOECONOMICA - GIULIANO DEL GATTO

Il problema non è augurare un buon Ramadan ad un amico musulmano; e nemmeno che un'autorità religiosa o civile porga questi auguri in modo informale all'imam della comunità islamica vicina. Il problema è che un arcivescovo cattolico, a nome della sua diocesi, scriva una specie di “lettera pastorale” ai «fratelli e sorelle credenti nell'islam». Ossia, fare quello che ha fatto l'arcivescovo di Bologna nonché presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Matteo Maria Zuppi. Il quale, sentendo avvicinarsi il prossimo conclave, vuole rassicurare i sostenitori di papa Francesco che sul mercato dei papabili c'è un degno successore.

E così, punta al filotto: nel giro di pochi giorni, dapprima manda il velato messaggio che il problema dei divorziati risposati può essere “pastoralmente risolto” con un più generoso ricorso ai Tribunali competenti (vedi qui); poi si accredita il mondo gay, girandosi appositamente dall'altra parte allorché il suo vicario, don Davide Baraldi, decide di andare a introdurre la conferenza di don Simone Bruno, che ci spiega che esistono tante forme di famiglia e che le relazioni adultere e omo non sono peccaminose (qui); infine, piazza il colpo sul terreno del dialogo interreligioso, scrivendo un lungo messaggio pubblico appunto ai «fratelli e sorelle credenti nell'Islam» (che, se si fosse rivolto ai cattolici, avrebbe seguito il politically correct di anteporre le femminucce ai maschietti).

Dunque, cosa succede quando un arcivescovo, anziché fare una semplice telefonata all'imam, si mette a scrivere una simil-lettera pastorale ai musulmani? Può accadere una cosa sola: che scelga la strada dell'approccio più irenico possibile, che si traduce nel più meschino indifferentismo religioso. E infatti Zuppi intavola un parallelo tra Quaresima e Ramadan che inizia con un «il Ramadan, così come la Quaresima», e finisce con l'equazione «Ramadan-Quaresima». Un'equazione che richiede ovviamente un piccolo sacrificio: quello di Gesù Cristo. Perché è solo a questo prezzo che il digiuno, la preghiera e l'elemosina dei fedeli delle due religioni, su cui il cardinale basa il suo messaggio, finiscono per uguagliarsi.

Ed infatti il messaggio diviene banale, che più banale non si può. Pronti? «La lettura più intensa dei Testi sacri, per noi la Bibbia e per voi il Corano, sorregga la vita spirituale e la spinga ad atti di misericordia»: noi la Bibbia, voi il Corano, giusto per non dimenticare che facciamo parte, tutti insieme appassionatamente, delle religioni “del libro”... Poco oltre: «Ramadan-Quaresima come il mese che apre alla gioia: per noi è la festa di Pasqua, nella quale celebriamo il trionfo di Gesù sulla morte e il male, a favore di tutti gli uomini e donne, di ogni tempo e ogni luogo; per voi è la festa della Rottura del digiuno, un’onda straordinaria di gioia comunitaria». Già, noi così, voi cosà: al di là dei dettagli, una grande unione...

D'altra parte, continua l'arcivescovo di Bologna, «nella nostra come nella vostra celebrazione leggo la verità profonda della Gioia, che per essere veramente tale, non deve avere confini». La gioia, veramente tale e persino maiuscola, senza Gesù Cristo; il quale però pare abbia detto qualcosa sul fatto che la gioia piena dipende dal fatto che la sua gioia sia in noi, e che questa sua gioia è possibile se rimaniamo nel suo amore, e che questo permanere dipende dall'osservare i suoi comandamenti (cf. Gv 15, 10-11). Così, giusto sfogliando il nostro Testo Sacro.

Anche a Bergamo non scherzano. Il direttore dell’Ufficio Dialogo Interreligioso della Diocesi di Bergamo, don Massimo Rizzi, il 4 marzo scorso ha inviato una lettera a tutti i sacerdoti della diocesi (vedi qui), con lo scopo di esortare i parroci ad invitare i fedeli a pregare per l'inizio del Ramadan. Occasione propizia sarebbe stata, secondo lui, la preghiera dei fedeli durante le SS. Messe della IV domenica di Quaresima. Lo stralunato scopo di tale orazione sarebbe la «realizzazione continua di tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore e di crescita continua nel dialogo tra i popoli e le diverse fedi». Il sottofondo del documento di Abu Dhabi è più che riconoscibile.

Don Rizzi, con l'avallo del suo vescovo, ça va sans dire, mons. Francesco Beschi, ha lanciato anche la proposta «di vivere momenti di incontro durante il mese di Ramadan, come l’Ifṭār condiviso, iniziativa che da anni l’Ufficio Dialogo interreligioso sostiene, momento di condivisione della rottura del quotidiano digiuno. Organizzato da Associazioni o Centri Culturali musulmani, in collaborazione con le Parrocchie e gli Oratori, penso possa favorire la reciproca conoscenza e collaborazione tra i fedeli cristiani e musulmani». Un'iniziativa curiosa, dal momento che si partecipa alla festa islamica della rottura del digiuno... senza aver digiunato. Nemmeno durante la Quaresima, dal momento che per noi cattolici ormai né il digiuno né l'astinenza per tutti i quaranta giorni sono più obbligatori.

Siccome non c'è molta speranza che vescovi e preti capiscano, dobbiamo auspicare che sia un fratello musulmano a mettere alla porta i fratelli cattolici, accorsi per festeggiare, con un bel “No fasting? No party”.



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