Dalla crisi del governo, nasce un nuovo bipolarismo
Che si vada al voto o si prosegua con questa legislatura, si assiste comunque alla nascita di un nuovo bipolarismo. La Lega tornerebbe (da partito egemone) nel centrodestra, mentre i 5 Stelle stanno avvicinandosi sempre più al Pd. Nonostante fino a una settimana fa volassero gli stracci.
Quando, nel giugno 2018, nacque il governo Conte, con un asse inedito Lega-Cinque Stelle e un contratto di governo da attuare in cinque anni, i commentatori politici intonarono il de profundis al bipolarismo (che peraltro da tempo era un tripolarismo centrodestra-centrosinistra-Movimento Cinque Stelle) e dissero che si era chiusa una stagione politica. I protagonisti, Lega e 5 Stelle, parlarono fin da subito di “governo del cambiamento”, fondato sul superamento delle tradizionali distinzioni ideologiche destra-sinistra e su un rinnovamento reale e non di facciata dei costumi politici.
In questi giorni, dopo soli 14 mesi, stiamo assistendo alla repentina dissoluzione di quella formula innaturale, basata sull’alleanza tra forze politiche che si erano presentate agli elettori con programmi pressoché antitetici. Il collante, lo si è capito fin da subito, è stato solo la smania di occupare poltrone e gestire potere e incarichi. Ma quel collante non è bastato a trattenere le contraddizioni che inevitabilmente sono esplose all’interno della maggioranza e ora si sta discutendo in Parlamento e fuori su come uscire da questa crisi nel più breve tempo possibile.
Di sicuro le manovre degli ultimi giorni stanno di fatto ricreando le condizioni per un nuovo bipolarismo: da una parte il centrodestra tradizionale, ma a trazione leghista, con Fratelli d’Italia e Forza Italia a rimorchio di una Lega egemone; dall’altra, un cartello Pd-Cinque Stelle, con cespugli di sinistra pronti ad andare in soccorso per far valere il loro peso specifico in una ipotetica competizione elettorale.
Ma mentre il centrodestra ha già governato unito in precedenti legislature, tra Pd e Cinque Stelle, fino a pochi giorni fa, volavano gli stracci. I pentastellati hanno drenato voti dal bacino della sinistra, che non a caso alle politiche del 2018 era uscita con le ossa rotte dalla prova delle urne, ma ora sono sensibilmente “dimagriti” in termini di consensi, dopo la fallimentare (almeno per loro) esperienza di governo con la Lega. Il partito di Matteo Salvini ha raddoppiato i voti in un anno, mentre i Cinque Stelle li hanno dimezzati. Già alle europee del 26 maggio scorso il Pd, in ripresa, arrivò secondo dopo la Lega, staccando abbondantemente i Cinque Stelle. Ora, una ipotetica alleanza tra queste due forze, che pure presentano punti di contatto sul piano programmatico, sarebbe l’ennesimo tradimento degli elettori. In Parlamento i grillini hanno una maggioranza elevata di parlamentari, mentre il Pd ha perso sonoramente le elezioni politiche del 2018, ma nel Paese oggi ha più consensi dei Cinque Stelle. Se si formasse in questa legislatura un esecutivo tra quei due partiti sarebbe un paradosso, in quanto a governare il Paese sarebbero i vincitori e gli sconfitti insieme, mentre almeno nell’inedita coppia Lega-Cinque Stelle ambedue i partiti avevano guadagnato fortemente rispetto alle elezioni precedenti e potevano considerarsi entrambi, in misura diversa, vincitori.
Quella di un’intesa grillini-dem è la trama alla quale stanno lavorando in tanti, da Dario Franceschini a Romano Prodi, con il beneplacito del Quirinale, anche se nelle ultime ore non si esclude una clamorosa ricomposizione della maggioranza gialloverde, con un Conte bis più bilanciato tra Lega e Cinque Stelle, un nuovo programma e nuovi ministri.
La prossima settimana potrebbe essere decisiva perché sarà quella delle dimissioni dell’attuale premier. Il Presidente della Repubblica dovrà decidere quali passi fare, nella direzione della rapida chiusura della legislatura, che a quel punto diventerebbe la più breve della storia della Repubblica, o in quella dell’individuazione di un altro accordo di governo. Il nome di Mario Draghi circola con prudenza e poca convinzione, ma sarebbe l’unico in grado di rassicurare i mercati e le cancellerie europee e, soprattutto, di ottenere consensi ampi e trasversali in Parlamento. Dunque, se si va subito al voto, il bipolarismo potrà rinascere negli schieramenti elettorali e risvegliarsi nel sentiment popolare. Se la legislatura invece prosegue con nuovi governi, sarà il trionfo del trasformismo e della tecnocrazia e la politica con la P maiuscola perderà ancora una volta l’occasione per riaffermare il suo sano primato.