Da Newman i criteri per un reale sviluppo della dottrina
Permanenza dei princìpi, potere di assimilazione, sequenza logica, anticipazioni indiziali, vigore perenne: nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, che segna il punto più vicino all'approdo alla Chiesa cattolica, John Henry Newman individua quei criteri che separano lo sviluppo dalla corruzione.
L’Essay on the Development of Christian Doctrine è stata la preparazione più prossima all’approdo di John Henry Newman alla Chiesa cattolica. L’anno 1845 fu interamente da lui dedicato allo studio e alla stesura di questa opera, che mostra per quale ragione, alla fine, non era più possibile rimanere nella Chiesa anglicana. La Via Media riposava sulla considerazione che sia il protestantesimo che la Chiesa romana avevano “innovato” e per questo si erano allontanati dalla Chiesa antica. Tuttavia, occupandosi dei concili dei primi secoli, Newman aveva dovuto riconoscere che già allora vi erano state delle “aggiunte”: il modo con cui la Chiesa aveva formulato e riformulato il Credo, con l’esplicita intenzione di custodire e tramandare la fede degli Apostoli, dimostrava a sufficienza che questa conservazione avveniva ricorrendo a formulazioni che rigorosamente apostoliche non erano.
La Chiesa antica mostrava che per custodire occorreva in qualche modo mutare; gli si poneva così davanti agli occhi il fatto di uno sviluppo capace di conservare mentre innovava o, più correttamente, spinto ad innovare per conservare. Uno sviluppo interessava certamente la dottrina, ma anche il rito e i costumi e non si mostrava come il frutto di una deduzione logica fatta a tavolino, ma di una storia fatta di conflitti ed imprevisti. Influenze e minacce esterne si intrecciano con la maturazione di consapevolezze e di modalità concrete della fede vissuta e sfociano in nuove formulazioni, nuovi riti, nuovi costumi. All’attenzione di Newman non sfuggiva nemmeno il giudizio dirimente della Chiesa, riunita in Concilio o “condensata” nel giudizio esplicito del successore di Pietro. In questi sviluppi era in ultimo all’opera lo Spirito Santo, che animava e guidava la sua Chiesa
Il Saggio è stato un’indagine onesta per capire se quelle “innovazioni” che aveva notato nella Chiesa di Roma, non fossero in realtà sviluppi analoghi a quelli della Chiesa antica. La formulazione della dottrina altro non è se non la modalità con cui la Chiesa “traduce” nei termini propri dell’intelligenza aspetti della totalità del Mistero, cui la fede aderisce nella semplicità del suo atto. Queste traduzioni sono parziali, ma non erronee; per questo esse si richiamano l’un l’altra ed in esse è già implicito il germe di nuovi sviluppi.
Durante la crisi modernista, Newman divenne un eroe mitologico e l’Essay venne considerato lo stendardo dietro il quale far avanzare idee distruttrici del principio dogmatico. Con un travisamento tanto singolare quanto disonesto, i modernisti ritenevano che Newman fosse stato l’apripista di una concezione del dogma quale relativizzazione o addirittura falsificazione del Mistero. Newman, al contrario, non aveva mai pensato che il “problema” del dogma stesse nella mancanza di fedeltà alla verità, ma semmai nella sua natura di parzialità. Per questo era necessario uno sviluppo ed un rinvio continuo alla totalità della verità. Altrettanto fuorviante è una comprensione idealista di Newman, quasi che la sua idea di sviluppo possa essere compresa alla stregua dell’avventura dialettica dello spirito hegeliano.
Un non minore travisamento è in corso oggi, allorché Newman viene tirato in ballo – al pari di San Vincenzo di Lérins – per giustificare ogni genere di cambiamento. Ma egli sapeva bene che altro era il cambiamento che si era avuto nel protestantesimo e altro quello che si era verificato, per esempio, nel Concilio di Trento. Non per nulla Newman ha indicato alcuni criteri per capire se ci si trova di fronte ad uno sviluppo della dottrina o ad una sua corruzione. Non si tratta di evitare variazioni, perché può capitare «che si reputi più vera e più conforme una rappresentazione che differisce dall’originale, di un’altra che pretende di essere esatta»; così come «vi sono delle reali perversioni e corruzioni di una dottrina che esteriormente sono meno dissimili dalla dottrina da cui provengono, di quanto non lo siano dei mutamenti che sono con essa compatibili e che sono degli autentici sviluppi».
Dunque la necessaria «permanenza del tipo», a fronte di significative variazioni, necessita di ulteriori criteri a supporto. Come quello della permanenza dei principi, i quali sono la vita della dottrina, e nel contempo quest’ultima è la manifestazione concreta di quella vita. O come il criterio della «sequenza logica»; Newman risponde negativamente alla possibilità che uno sviluppo possa «mai essere qualcosa d’altro che un’operazione logica», ossia che non sia «un ragionamento consapevole che procede da certe premesse ad una conclusione». Un preteso sviluppo che contraddica logicamente le sue premesse dimostra semplicemente la sua falsità. Il carattere logico è condizione necessaria per provare che «il cammino compiuto è stato un vero sviluppo e non già una corruzione o una perversione».
L’autentico sviluppo dimostra inoltre un «potere di assimilazione» in grado di assorbire ed assimilare elementi “esterni”, ossia elementi del contesto storico e culturale, e farli propri, «attraverso un processo di scelta, di conservazione, di assimilazione, di risanamento, di rimodellamento, di unificazione». È questa la prova della vitalità delle dottrine, che non possono essere paragonate a delle suppellettili, ma ad un organismo vivo. Ma ogni organismo seleziona accuratamente ciò che può essergli di nutrimento e ciò che invece può divenirgli fatale. E non di rado, quando introduce sostanze che si rivelano tossiche, le espelle con violenza. Il principio di assimilazione è tutto il contrario che un appiattimento alle mode culturali, un dissolvimento secondo lo spirito del tempo.
Ancora, lo sviluppo autentico mostra ad un tempo di saper anticipare ulteriori sviluppi futuri, precisamente mentre esercita un’azione conservativa sul passato. Poiché lo sviluppo di un’idea avviene secondo la propria natura e secondo la logica universale, «può accadere di trovare fin dagli inizi indizi, per quanto imprecisi e isolati, di uno sviluppo posteriore». Il reperimento di queste anticipazioni indiziali «costituisce una specie di prova che le realizzazioni posteriori e più sistematiche sono in armonia con l’idea originaria». Al contrario, quegli sviluppi «che altro non fanno se non contraddire e sovvertire la dottrina che si è precedentemente sviluppata e da cui essi procedono, sono certamente delle corruzioni». Non è possibile che la premessa vera divenga falsa nel suo sviluppo, o che la virtù si trasformi in vizio. Newman non dà spazio ad equivoci: la conservazione degli sviluppi precedenti avviene «coincidendo realmente con essi ed essendo qualche cosa al di là di essi».
Infine, il criterio del vigore perenne, ossia della durata. Come le bugie, anche le corruzioni della dottrina hanno le gambe corte. E quanto più si manifestano con virulenza, tanto più il loro tempo è breve: si gravis, brevis. È vero che la decadenza può essere un lungo processo, ma nel processo mancano eccessi e imposizione violenta; al contrario, «l’eccesso dell’iniquità è l’indizio di una morte prossima, e per questo i fedeli gridano: “Fino a quando?”, come se la dilazione offendesse la ragione e insieme la facoltà di sopportazione. Infatti, tre anni e mezzo sono fissati perché si compia il regno dell’Anticristo». Il male, la falsità, la corruzione hanno un limite fissato, e questo limite è tanto più prossimo quanto più essi sono divenuti pervasivi e forti; mentre invece il bene, il vero, lo sviluppo, per quanto insidiati e oscurati, hanno una vitalità e una consistenza propria.
Vedremo di far giocare questi criteri, per gettare luce sulla nostra situazione odierna.