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Da Bruxelles nuove regole per frenare l'immigrazione illegale

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Facilitare il rimpatrio dei non aventi diritto e garantire agli Stati membri maggiori possibilità di controllo. Il regolamento UE segna un cambio di paradigma nelle politiche migratorie che potrebbe però scontrarsi con il fiorente business dei ricorsi legali (a spese dello Stato).

Politica 12_03_2025
La Presse (AP Photo/Valeria Ferraro)

L’Unione Europea sta tentando di affrontare il tema della gestione dei flussi migratori con l’introduzione di un nuovo regolamento che prevede l’esternalizzazione dei rimpatri e che consente agli Stati membri di trasferire i richiedenti asilo respinti in Paesi terzi con cui stringere accordi bilaterali. Questa proposta rappresenta una svolta nella politica migratoria dell’UE e sposta il problema dell’accoglienza al di fuori dei confini comunitari cercando di risolvere una delle criticità più evidenti delle politiche europee sull’immigrazione: il basso tasso di rimpatrio effettivo, che negli ultimi anni si è attestato tra il 20 e il 25 per cento.

Il regolamento non stabilisce un programma obbligatorio per la creazione di centri di espulsione, ma pone le basi legali affinché i governi possano attuare questa strategia, lasciando agli Stati la gestione pratica e finanziaria della costruzione di queste strutture. Tra i Paesi che potrebbero adottare per primi questo modello ci sono Italia, Danimarca e Paesi Bassi, con Roma che starebbe valutando la possibilità di riconvertire i centri in Albania in hub di rimpatrio, sebbene il progetto sia attualmente fermo a causa di alcune sentenze della Corte d’Appello di Roma. Il regolamento stabilisce alcuni criteri minimi per i centri di rimpatrio, come la presenza di un organismo indipendente di monitoraggio e l’esenzione per minori e famiglie con bambini, ma non specifica un limite massimo per la detenzione nei centri esternalizzati, lasciando che questo aspetto venga regolato dagli accordi bilaterali con i Paesi ospitanti.

Sul piano politico, questa proposta risponde alle crescenti pressioni da parte dei governi di destra e centrodestra in Europa, che accusano Bruxelles di non avere strumenti efficaci per contrastare l’immigrazione irregolare. Il regolamento introduce anche l’obbligo per i migranti respinti di fornire documenti, dati biometrici e informazioni sui loro transiti, pena la revoca delle prestazioni sociali e il possibile sequestro dei documenti di viaggio. L’obiettivo è aumentare l’efficacia dei rimpatri e ridurre la possibilità per i migranti di sfuggire al controllo delle autorità, una problematica che ha reso di fatto inapplicabili molte decisioni di espulsione negli ultimi anni.

Tuttavia, l’approccio scelto da Bruxelles potrebbe scatenare un’ondata di contenziosi giudiziari, aggravando un fenomeno già molto diffuso e costoso per le casse pubbliche, in particolare per l’Italia, dove il business dei ricorsi legali in materia di immigrazione è diventato un settore fiorente. Il gratuito patrocinio, garantito dallo Stato ai non abbienti, ha infatti alimentato una macchina di ricorsi spesso pretestuosi, che rallentano ulteriormente i processi di espulsione. Tra il 2021 e il 2022, lo Stato ha speso 285 milioni di euro per il gratuito patrocinio in sede civile, di cui il 25 per cento destinato a cittadini stranieri per contestare decisioni in materia di immigrazione. A Milano, questa percentuale arriva quasi al 50 per cento. Il meccanismo è noto: il migrante impugna la decisione di diniego e chiede la sospensione immediata degli effetti, riuscendo così a rimanere in Italia per anni in attesa della sentenza definitiva, mentre le spese legali vengono coperte dallo Stato.

La situazione è aggravata da una giustizia intasata e da avvocati specializzati che presentano decine di ricorsi a nome di clienti diversi, con alcuni professionisti che emergono come veri e propri monopolisti del settore e che accumulano centinaia di cause all’anno. Anche le grandi organizzazioni umanitarie e i patronati legati ai sindacati giocano un ruolo centrale in questo sistema, offrendo supporto legale gratuito e incentivando i migranti a intraprendere vie giudiziarie per ottenere il permesso di soggiorno.

Il fenomeno non riguarda solo il contenzioso civile: nel 2023, il gratuito patrocinio in sede penale ha superato i 400 milioni di euro, con una forte incidenza di imputati stranieri, in particolare nei processi per direttissima, dove la maggior parte degli accusati viene scarcerata rapidamente, spesso senza lasciare traccia. Il risultato è un paradosso in cui lo Stato finanzia la difesa legale di persone che contestano le sue stesse decisioni, con un esborso milionario che grava sulle casse pubbliche e un effetto a cascata che rallenta il funzionamento della giustizia.

Le recenti sentenze della Cassazione, come quella sul caso Diciotti, rischiano di ampliare ulteriormente il contenzioso, introducendo la possibilità per i migranti di chiedere risarcimenti per il trattenimento nei centri di accoglienza, con conseguenti nuove richieste di indennizzo che potrebbero far lievitare ulteriormente i costi per lo Stato.

Il nuovo regolamento UE potrebbe teoricamente ridurre la pressione sui sistemi giudiziari nazionali, accelerando i rimpatri ed evitando che i migranti rimangano sul territorio europeo per anni in attesa di una decisione definitiva. Tuttavia, resta da vedere se questa strategia sarà attuabile e se i Paesi terzi saranno realmente disposti ad accogliere migranti respinti dall’UE in cambio di incentivi economici. Senza contare il rischio di una pioggia di ricorsi contro i trasferimenti forzati, che potrebbero finire davanti alle corti europee con un ulteriore aggravio per gli Stati membri. Sul piano politico, il regolamento potrebbe trovare terreno fertile nei governi nazionali, sempre più orientati a misure restrittive sull’immigrazione, ma dovrà superare l’ostacolo del Parlamento europeo, dove le divisioni su questo tema sono ancora forti.

La proposta di Bruxelles sembra comunque segnare un cambio di paradigma: invece di cercare di integrare i migranti respinti, l’UE punta a ridurne la permanenza sul territorio europeo, cercando soluzioni al di fuori dei propri confini. Una strategia che potrebbe ridisegnare la politica migratoria dell’Unione nei prossimi anni, ma che solleva ancora molte incognite sul piano della fattibilità.



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