Cuties, un film che è bene non vedere
Nel film Cuties (Mignonnes), diffuso da Netflix, le protagoniste undicenni sono riprese in balli provocanti e atteggiamenti sessuali espliciti. Per la regista il fine è denunciare l’ipersessualizzazione. No, le bambine sono state usate e ritratte in modi degradanti: un male in sé. Se si vuole perseguire un fine buono si educa al bene, dunque alla purezza, per la quale c'è una sola via.
Chi scrive non ha visto il film - acquistato da Netflix - che va sotto il titolo internazionale di “Cuties” (“Carine”, “Mignonnes” nell’originale francese), se si eccettua il minuto e mezzo di trailer e i manifesti per pubblicizzarlo. Più che sufficienti per formarsi un giudizio cristiano, stante il fatto che si tratta di una presentazione intrinsecamente malvagia. La teoria secondo cui “bisogna vedere” tutto il film per giudicare è uno specchietto per le allodole. Cerchiamo di spiegare perché.
Qualcuno sosterrà che la sua visione può offrire un quadro più completo sui significati manifesti o impliciti, le possibili intenzioni (che solo Dio realmente conosce), ecc., di chi ha prodotto il film. Ma la verità è che ci si imbatterebbe in cortine fumogene (intenzionali o meno) simili a quelle che resero l’antico frutto «gradevole agli occhi» (Gn 3, 6). È un po’ come se si sostenesse di dover percorrere un tunnel abbandonato, buio, più volte franato mortalmente addosso a chi lo ha percorso di recente e che, tra l’altro, non porta a nessuna meta (buona), giusto per poter dare un giudizio dettagliato della sua pericolosità…
Il trailer espone delle undicenni in vestiti attillati, si sofferma sul loro fondoschiena, le mostra mentre sculettano, ne fa vedere i balli provocanti, il dito in bocca, ecc. Tutto questo è oggettivo. Delle bambine vi sono state sottoposte concretamente: c’è bisogno di altro per dire che è stata calpestata la loro dignità? Contro di loro è già stata commessa una violenza. E a nulla vale come “giustificazione” che la regista abbia loro comunicato gli scopi del film, perché nel frattempo i loro corpi, i loro volti sono stati usati in modo degradante.
L’uscita del film su Netflix - piattaforma non nuova alla diffusione di contenuti contrari alla morale - ha fatto perdere in borsa al colosso dell’intrattenimento 9 miliardi di dollari in un giorno solo; centinaia di migliaia di utenti hanno promesso di cancellare o hanno già cancellato (Deo gratias) i loro abbonamenti. Di fronte alle accuse di promozione della pedofilia, la regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré ha detto che sta conducendo «la stessa battaglia» di chi la critica. Possiamo anche credere che sia sincera, ma per combattere l’ipersessualizzazione che conduce dritta dritta alla pedofilia legale è necessario riscoprire il senso del pudore. Da alcune foto pubbliche della regista (quantomeno volutamente sensuali, eppure ritenute ormai normali), non ci sembra che ad oggi ne possa essere una testimone credibile. Non certo per l’inversione a U che serve.
Si è detto che immagini di balli provocanti, di adulti e anche di piccolissimi, circolano già su Internet e non poche bambine ne imitano le mosse nella vita quotidiana. Vero. Ma questo non significa che bisogna continuare a moltiplicare questi attacchi all’innocenza. Il fatto che pressoché tutto l’ambiente in cui cresciamo sia ipersessualizzato non significa che il limite debba essere spinto sempre più in là. Anche perché ci sono genitori che cercano - con estrema fatica - di custodire i loro figli, trasmettendo loro princìpi sani, inserendoli in una scuola parentale, preservandoli da uno smartphone in tenera età, ecc.
Qui il male non è stato solamente riprodotto a mo’ di documentario per far aprire gli occhi, mostrando cioè delle immagini già presenti sul web (il che è già di per sé discutibile e richiede la più grande prudenza), ma è stato creato ex nihilo, dal nulla.
Facciamo un esempio: c’è un film avvincente, con un cast eccezionale, una trama intrigante, che vuole trasmettere il messaggio che bisogna essere contro l’uccisione dell’innocente. Piccolo particolare: il copione del film prevede di mettere in scena e compiere, concretamente (per rendere la cosa più realistica, no?), l’omicidio di un innocente. Mettiamo anche che fosse stato informato… sarebbe lecito? No. Tanto più non sarebbe stato lecito se quel consenso informato avesse riguardato un bambino, che gli adulti hanno il dovere di proteggere.
Altro esempio, con le stesse premesse. Un film contro la droga, in cui i protagonisti - magari bambini/ragazzini - sono ripresi mentre effettivamente si drogano. Anche loro informati sulle finalità del film e le sue intenzioni “buone”. Già, ma che cosa rimane di oggettivo? L’innocente ammazzato, i bambini drogati non avrebbero già forse subìto la loro violenza? E, poi, c’è il possibile effetto di imitazione e normalizzazione della cosa. Perché in diverse recensioni non si è notato che la stessa violenza è stata commessa sulle bambine protagoniste di Cuties e sulle circa 700, nel complesso, che hanno partecipato al casting?
Pensiamo ancora a queste piccole. Credere che non saranno oggetto come minimo di battutine e parole offensive da parte di (alcuni) compagni di scuola è un po’ come credere che viviamo su Marte. In che modo le guarderanno? Non sono già state denudate della loro innocenza? Si è tenuto conto che un film di quel tipo è una ferita aperta a quello che dovrebbe essere l’armonico sviluppo di bambine sulla soglia dell’adolescenza? Se può essere messo in scena, con persone in carne e ossa, quello che prima non si sarebbe mai immaginato - bambini in atteggiamenti sessuali espliciti - quale limite rimane perché questo non venga ritenuto lecito, legale, anche al di fuori delle riprese di un film?
Sempre a proposito di prospettiva cristiana. Non solo nel fronte dei media liberal (non tutti) ma perfino in casa cattolica - vedi Avvenire - ci si è lanciati in tentativi di difesa del film, spesso con la voglia di essere controcorrente rispetto a qualcosa di fronte a cui un popolo numeroso (per una volta) si è giustamente indignato. Andrea Fagioli ha addirittura scritto che il film, se «presentato bene», può diventare «educativo». Vi immaginate un educatore, editore e scrittore come san Giovanni Bosco, messo al corrente di un trailer/film così, consigliare la visione ai suoi ragazzi? Il suo più famoso allievo, san Domenico Savio, strappò i giornali osceni portati in oratorio da un fanciullo più grande: non gli consigliò certo di addentrarsi nei testi per capire se fossero educativi. Uno dei più salutari insegnamenti cristiani è la custodia degli occhi. E l’educazione per evitare il male non deve passare mai dal commetterlo (che non è mai lecito) bensì dal presentare il bene.
Disquisire quindi sulla “bontà” della trama (che si può leggere sul web) è irragionevole. Anche perché ci saranno sempre spettatori a cui della trama non fregherà nulla, ma si interesseranno solo a certe immagini, che hanno un potere molto spesso superiore a quello di tante parole e vanno dritte al cuore e alla mente. Nel bene e nel male. Ciò che è già passato con questo film è che è normale, o comunque permesso, mandare in mondovisione delle immagini così.
Se si vuole combattere veramente l’ipersessualizzazione - un peccato gravissimo che ha nei bambini il primo bersaglio - bisogna sapere che la battaglia è contro l’impero delle tenebre. Dunque, non c’è altra via che ritornare a insegnare il pudore (sbeffeggiato dalla cultura del Sessantotto), il valore della purezza. E per riuscirci serve l’aiuto di colei che della Purezza, e di noi tutti, è la Madre: Maria. Insegniamola ai bambini, guidiamoli a consacrarsi a Lei, e li avremo salvati dalle insidie odierne, aprendoli a una Bellezza che questo mondo non conosce più.