Cuba: il referendum di regime impone il gender
Nell’isola la rivoluzione avanza: il “Popolo” approva il nuovo “Codice delle famiglie” che include tutta l’agenda arcobaleno, dall’indottrinamento scolastico alla maternità surrogata, tra le proteste di cattolici ed evangelici. Nulla di nuovo: è la logica conseguenza della distruzione della famiglia e della sessualità insita nell’ideologia comunista.
Il rosso comunismo cubano assorbe l’arcobaleno e, mantenendo la repressione contro religiosi e popolo che chiedono la libertà, approva il nuovo “Codice delle famiglie” secondo i canoni sovietici attuali: matrimoni e adozioni Lgbtqi, educazione gender e maternità surrogata. Con l’illiberale referendum svoltosi a Cuba domenica scorsa, 25 febbraio, il regime comunista dell’isola ha definitivamente imposto l'approvazione della riforma del Codice delle famiglie, deliberato nel dicembre 2021 e poi, in via definita, a luglio 2022 dal Parlamento. Alle urne, circa 4 milioni di voti favorevoli e un milione contrario, su 11 milioni di abitanti.
Il nuovo codice include ideologia gender nell’educazione scolastica, adozioni gay, matrimoni Lgbtqi, maternità surrogata e interventi chirurgici di cambio sesso per i minori senza consenso dei genitori. La discussione sul testo, a seguito delle continue pressioni di Mariela Castro, Presidente del Centro Nacional de Educación Sexual (Cenesex), figlia di Raul Castro e nipote del padre della patria Fidel, erano iniziate nel 2018. Già allora la Conferenza Episcopale Cattolica Cubana (COCC) aveva invitato i cittadini a vigilare contro una riforma che mette in pericolo la famiglia naturale, l’educazione dei ragazzi, l’intera società.
A rallentare la deriva arcobaleno del comunismo cubano ci avevano pensato proprio i movimenti ecclesiali e le chiese dell’isola che nella primavera ed estate dello scorso anno avevano mobilitato decine di migliaia di cittadini con una petizione che chiedeva a governo e parlamento di fermare l'obbrobriosa discussione e rispettare la famiglia naturale e i diritti dei genitori nell'educazione dei figli. Poi, come La Bussola ha ben descritto, le proteste non violente di piazza in centinaia di città dell’isola di un popolo cristiano che chiedeva solo libertà, rispetto per le proprie tradizioni e riforme, vennero represse (dal 11 al 15 luglio) nel sangue e con gli arresti di migliaia di semplici cittadini, con l’inquietante complicità di Europa e Nazioni Unite e censure della stampa liberal mondiale.
Le repressioni contro i dissidenti, colpevoli di esser scesi in piazza pacificamente per chidere libertà e democrazia, avevano costretto solo Human Rights Watch ha denunciare la «brutale e sanguinosa repressione». Il 15 novembre scorso, la nuova marcia per la libertà e la richiesta della liberazione delle migliaia di prigionieri del luglio precedente, il regime si inferocì anche contro la Chiesa e assediò persino l’arcivescovado della capitale. Non furono risparmiati sacerdoti e suore nella repressione, stimata in 1100 azioni di polizia dall'Osservatorio per la Libertà religiosa in Sud America. I capi delle proteste ed i dissidenti, a partire dal Premio Sakarov Guillermo Farinas, sono stati forzosamente esiliati, si trovano in carcere o in ospedali militari da allora, secondo le ultime stime sono almeno 1000 i “dissidenti” in carcere. In questi tre anni, il progetto di “avanzamento” dell’indottrinamento Lgbtqi nelle scuole, le riforme del “Codice delle famiglie”, l’inclusione in tale progetto della maternità surrogata, sono proceduti di pari passo alle proteste e alla repressione di piazza. Anche questa volta, c’è stata una replica delle proteste in piazza, con madri e bimbi in prima fila, sin dai primi giorni di agosto, seguita dall’ennesima una repressione feroce della polizia politica dell’isola.
Il 13 settembre, a due settimane dal referendum, la Conferenza Episcopale cubana non si è sottratta ai suoi doveri e ha denunciato la proposta referendaria del governo comunista, chiedendo ai cittadini di respingerla, sulla stessa linea le chiese evangeliche dell’isola. Il comunismo cubano regredisce, abbraccia nel rosso fuoco della sua rivoluzione anche l’arcobaleno Lgbtqi, la nuova schiavitù della maternità surrogata, le sperimentazioni chirurgiche sul corpo dei bambini, la dottrina ‘gender’, la distruzione della famiglia naturale e del diritto umano fondamentale del bambino di aver suo padre e sua madre.
Nulla di nuovo rispetto alla dottrina distruttiva della famiglia e della sessualità e pudore naturale di Engles, Lenin e del primo Stalin. Tutto questo in nome di una supposta avanzata della “rivoluzione”, una promessa di benessere e felicità per il popolo anche se, ad ogni occasione, quando il popolo ha mostrato in questi anni la sua contrarietà, è stato il popolo ad esser massacrato a sangue e buttato in carceri-gulag. La firma del nuovo “Codice delle famiglie” è stata apposta dal presidente Diaz Canel il 27 settembre, data di entrata in vigore della normativa ma, la sfida al regime, non è per nulla finita, nonostante gli applausi ricevuti dalla stampa illiberale globalista, The Guardian in testa.
Già 20 leader delle più importanti congregazioni evangeliche hanno scritto una lettera aperta al regime cubano nella quale, a costo delle persecuzioni violente che subiranno, si ribadisce che il “Codice delle famiglie” è «totalmente incompatibile» con il «pensiero dei padri della nostra patria»; la famiglia è considerata, «secondo la Parola di Dio», «un'istituzione divina attraverso il matrimonio come unione esclusiva tra un uomo e una donna» e a questo ci atterremo. Né cattolici né evangelici intendono retrocedere di un millimetro davanti alle angherie, minacce, violenze che il regime cubano. Il comunismo a Cuba veste guanti arcobaleno e, con la forza della repressione, fa celebrare un referendum farlocco per ammiccarsi il becero ed illiberale occidente con le riforme “avanzate” (indottrinamento, schiavitù materna, privazione diritti dei bambini). Vergogna stare in silenzio, ancor peggio felicitarsi per ciò che sta accadendo. Papa Francesco ha una relazione umana con Raul Castro? Bene è il momento di chiamarlo e cantargliene di santa ragione.