Cristiani divisi nello scontro fra Hezbollah e Israele
Il Libano rischia di cascare di nuovo nel conflitto fra il movimento sciita Hezbollah e Israele. Dopo lo scontro a fuoco del 28 gennaio, in cui è morto anche un casco blu spagnolo della missione Unifil2, i fragili equilibri che hanno retto per 8 anni rischiano di spezzarsi. I cristiani sono tuttora divisi in schieramenti opposti.
Dopo lo scontro di artiglieria fra Israele ed Hezbollah, nel Libano meridionale e in Galilea torna l'incubo del conflitto dopo 8 anni di fragile pace.
Gli eventi sono ormai noti. Le milizie irregolari del movimento sciita Hezbollah hanno lanciato cinque missili anticarro contro un convoglio militare israeliano sulla strada per Kfar Raja, sotto il monte Ar Dov, non lontano dal confine con il Libano. Due jeep israeliane sono state distrutte: due i caduti (il capitano Yohai Klamgel e il sergente Dor Nini) e sette i feriti. Nel furioso scontro di artiglierie che ne è seguito, è rimasto ucciso Francisco Javier Soria Toledo, centrato da un proiettile israeliano. Era un casco blu spagnolo della missione di peacekeeping Unifil2. Il governo israeliano ha immediatamente telefonato a Madrid per esprimere le sue condoglianze per il soldato spagnolo ucciso per errore. L’Onu ha comunque condannato Israele per la morte del peacekeeper.
Il primo aspetto interessante di questo tragico evento riguarda proprio i dubbi sul futuro di Unifil2. La missione internazionale è schierata nel Libano meridionale sin dal 2006, anche per volontà dell’Italia. Dal febbraio del 2014 è comandata dal generale italiano Luciano Portolano e il nostro Paese vi partecipa con un nutrito contingente di 1.104 militari. Ha mantenuto la pace per otto anni. Sotto questo aspetto è considerata la meglio riuscita fra le recenti missioni di interposizione delle Nazioni Unite. Tuttavia, non è riuscita in alcun modo a raggiungere il suo secondo obiettivo: il disarmo delle milizie Hezbollah e la garanzia dell’integrità territoriale del Libano. Hezbollah ha infatti continuato a riarmarsi ed ora dispone, secondo fonti di intelligence pubbliche, di un arsenale superiore rispetto a quello del 2006. Ha infatti continuato a ricevere armi ed equipaggiamento dalla Siria e dall’Iran. Da quando è scoppiata la guerra civile in Siria, dunque dal 2011, il confine orientale libanese è diventato ancor più incontrollabile e il flusso di armamenti è aumentato. Israele ha impedito che il movimento si dotasse di missili a lunga gittata e ha sempre temuto che Hezbollah potesse mettere le mani sugli arsenali chimici della Siria. Per questo l’aviazione israeliana ha colpito, più volte, in territorio siriano, convogli e depositi sospetti. Il movimento sciita, legato a doppio spago all’Iran e al regime di Bashar al Assad in Siria, ha sempre dimostrato di voler compromettere l’integrità territoriale libanese, creando un vero e proprio Stato separato nel Sud e conducendo una sua politica estera. Senza alcun permesso da parte del governo di Beirut, migliaia di miliziani Hezbollah combattono nella guerra civile siriana dalla parte di Assad, affiancati anche dalle Forze Qods iraniane. Da questo punto di vista, dunque, la missione Unifil2 è come se non esistesse neppure. Pur avendo mantenuto la pace fra Israele e Libano, non è più in grado di controllare l’escalation di un conflitto allargato alla Siria.
Che il conflitto siriano possa coinvolgere anche il Libano è dimostrato proprio dalla dinamica di quest’ultima escalation. L’origine è in territorio siriano, quando, il 19 gennaio scorso, l’intelligence israeliana individua a Quneitra, sulle alture del Golan, un convoglio con due leader di Hezbollah, Mohammad Issa e Jihad Mughniyeh (figlio di uno dei più noti comandanti del movimento sciita, già ucciso dagli israeliani). Un elicottero attacca il convoglio e uccide i due leader Hezbollah, assieme ad altri quattro combattenti, fra cui anche un generale iraniano, Mohammad Allahdadi, ulteriore conferma che l’Iran è direttamente coinvolto nel conflitto siriano. La prima risposta arriva una settimana dopo, sempre dalla Siria: lanciarazzi dell’esercito di Bashar al Assad aprono il fuoco su Israele, ottenendo un’immediata risposta delle batterie israeliane. Lo scontro non provoca vittime, ma tanto clamore e un violento scambio di accuse fra i due governi. Damasco dichiara che Israele stia “aiutando Al Qaeda”. Da Gerusalemme, Netanyahu risponde che “chi gioca col fuoco, riceverà il nostro fuoco”. Ma poi, dalla Siria, il conflitto torna al Libano, alla patria di origine di Hezbollah: sempre per vendicare il raid del 19 gennaio, i miliziani sciiti attaccano direttamente in territorio israeliano, puntando a un obiettivo militare. E provocando l’inevitabile reazione dell’altra parte.
Il problema riguarda ora il Libano, una nazione araba in cui i cristiani sono sempre stati una maggioranza, mentre ora sono una minoranza sempre più a rischio di persecuzione. Dopo la lunga Guerra Civile (1975-1990), i cristiani hanno perso la loro influenza politica e ora sono anche divisi al loro interno. Pur avendo sempre combattuto contro i siriani e i loro alleati sciiti libanesi, il generale Michel Aoun è legato alla coalizione 8 Marzo, dominata da Hezbollah e dai partiti filo-siriani. L’altro principale leader cristiano, Samir Geagea, è invece schierato con la coalizione 14 Marzo, prevalentemente musulmana sunnita e riformista. Fra i due si stava delineando un primo accordo politico per la scelta del futuro presidente: a causa di uno stallo politico e della continua minaccia di guerra civile, infatti, il Libano è privo di capo di Stato da otto mesi. A metà gennaio erano avvenuti i primi contatti diretti fra Geagea e Aoun, incoraggiati dalla locale chiesa maronita. Ma questa crisi rischia di spaccare nuovamente il fronte cristiano. La prima reazione di Aoun al raid israeliano di Quneitra è stata una chiara condanna, in solidarietà con i suoi alleati sciiti. Geagea è invece intervenuto con forza ieri, dopo lo scontro fra Hezbollah e Israele, esprimendo una forte condanna nei confronti del movimento filo-iraniano che, a suo dire, “sta espandendo le sue mire territoriali a danno dello Stato libanese”. Il problema dei cristiani in Libano è tanto più grave quanto più si inasprisce il conflitto fra sunniti e sciiti. Entrambi gli schieramenti hanno ali radicali che minacciano di sterminarli. Quasi inutile ricordare che fra i sunniti c’è anche un’ala libanese del fronte Al Nusrah e aumentano le infiltrazioni degli jihadisti dello Stato Islamico. Di fronte a questa minaccia, è comprensibile come tanti cristiani accettino persino l’alleanza con Hezbollah, per proteggersi. Ma Hezbollah è espressione di quell’integralismo islamico sciita che è sempre stato il maggior persecutore dei cristiani in Libano, sin dai tempi della Guerra Civile. Ed è dunque naturale pensare che il grosso del movimento politico cristiano si sia radunato sotto le bandiere del Movimento 14 Marzo, anti-Assad e prevalentemente sunnita.