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BALCANI IN FERMENTO

Crisi nel Kosovo rientrata, per ora. Le colpe dell'Ue

Crisi del Kosovo rientrata, almeno per ora. Dopo gli appelli della Nato e dell'Ue, la tensione si è smorzata e i serbi hanno rimosso i blocchi stradali sui valichi fra Kosovo e Serbia. Ma è l'Ue che, nel bel mezzo della crisi, ha accettato la proposta del Kosovo (non riconosciuto dalla Serbia) di aderire all'Unione. 

Esteri 02_01_2023
Posto di blocco serbo

A seguito dell’annuncio del presidente serbo Aleksandar Vucic,nella tarda serata di mercoledì scorso, che i serbi kosovari avrebbero tolto i blocchi stradali, nei giorni scorsi è ripresa la circolazione sulle strade del nord Kosovo e tra Kosovo e Serbia. Tutti i valichi sono stati riaperti dopo le minacce di intervento dell’esercito serbo. I manifestanti serbi avevano infatti installato la scorsa settimana più di 10 blocchi stradali nel nord del Kosovo e anche il valico di frontiera di Merdare, una delle strade principali che collegano Serbia e Kosovo, era bloccato.

"Entro 24-48 ore le barricate saranno rimosse", aveva  detto il presidente serbo la scorsa settimana e così è stato ma, aveva aggiunto, “la sfiducia non è stata rimossa". Cosa ha causato le ultime tensioni tra Kosovo e Serbia, in una situazione nei Balcani tutt’altro che calma e che abbiamo descritto la scorsa primavera su LaBussola? Premesso che il Kosovo, sostenuto dai Paesi occidentali e soprattutto dagli Usa, ha dichiarato unilateralmente l'indipendenza dalla Serbia nel 2008 e che la Serbia non la riconosce, l'ultima escalation di tensioni è iniziata a novembre scorso, quando il Kosovo aveva deciso attuare il divieto, a lungo rimandato, delle targhe serbe sulle autovetture dei cittadini del proprio territorio. Le tensioni erano già esplose per la stessa ragione lo scorso agosto, poi si erano sopite, ma il fuoco sotto la cenere era e rimane tutt’altro che spento.

Le proteste della popolazione di etnica serba e di religione cristiana ortodossa sono continuate e riesplose quando un ex poliziotto serbo Dejan Pantić, era stato arrestato il 10 dicembre al valico amministrativo di Jarinje, per rifiutarsi di multare i propri concittadini per le targhe serbe e per aver aggredito alcuni poliziotti kosovari. La scintilla aveva provocato l’ennesima reazione della comunità serba che si sente sempre più insicura nel territorio kosovaro. Dopo che a Natale e S.Stefano le forze armate kosovare avevano minacciato di inviare uomini e mezzi per liberare le strade e catturare i colpevoli serbi dei blocchi, il Presidente serbo Vucic, il 27 dicembre, aveva ordinato all’esercito di tenersi pronto ad intervenire, posizionarsi ai confini del Kosovo e richiesto nuovamente alla KFOR, dopo averlo già fatto il 15 dicembre, di permettere ai propri militari di entrare nella regione del Kosovo e difendere la popolazione di etnia serba e religione cristiana.

Da qui l’invito accorato e preoccupato di Ue, Nato e Usa che con un comunicato invitavano “tutti a esercitare la massima moderazione, a intraprendere azioni immediate per smorzare incondizionatamente la situazione e ad astenersi da provocazioni, minacce o intimidazioni". Giovedì 29 dicembre, dopo il rilascio da parte delle autorità kosovare dell'agente di polizia Dejan Pantić, ora in attesa di processo ai domiciliari, lo stesso Presidente Vucic ha dichiarato la fine della ‘massima allerta’ per l’esercito serbo, altro segno di una crisi grave che stava rientrando.

I Balcani rimangono un campo minato nel quale proprio i Paesi occidentali, in particolare Europa e Stati Uniti, si muovono senza alcuna prudenza e diplomazia. Aver accettato la richiesta ufficiale di adesione alla Ue da parte del Kosovo il 15 dicembre, nel pieno delle tensioni già crescenti tra la popolazione serba ed albanese e tra Kosovo e Serbia, è stato un semplice atto incendiario da parte delle istituzioni europee. Di più, le condanne dei terroristi e carnefici kosovari iniziate al Tribunale dell’Aja la scorsa settimana, il 16 dicembre è stata emessa la condanna a 26 anni di un ex comandante dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck) Salih Mustafa, non faranno che accrescere le tensioni in futuro e riacutizzeranno le ferite di un recente passato terribile e sanguinario. Nei prossimi mesi ci sarà il processo all’ex Presidente del Kosovo e ex Comandante Uck  Hashim Thaçi che rischia pene ben più gravi, con conseguenze anche di ordine pubblico molto pericolose.

Bruxelles e Washington usano lo spettro di Mosca, accusando Belgrado e la Serbia di spalleggiare Putin, pur di evitare una seria assunzione di responsabilità diplomatica e politica nella soluzione dei problemi serbo-kosovari. L'etnia albanese, in maggioranza musulmana, considera il Kosovo come il proprio Paese e, in questo, il sostegno incondizionato dell’occidente alle mire di Pristina e Tirana di una ‘Grande Albania’ che includa il Kosovo, è un suicidio culturale ed identitario totale per l’Europa, un passo inacettabile per la Serbia cristiana ortodossa. Avanti così e questa manifesta ignoranza e inadeguatezza politica occidentale ci porterà alla guerra nei Balcani, non solo tra Serbia e Kosovo, ma anche all’interno della Bosnia Erzegovina tra le diverse regioni ed etnie.

Nelle ultime ore si è aggravata la perdurante crisi politica, parlamentare ed istituzionale in Montenegro, altro Paese con una forte presenza di popolazione di etnia serba, dove il premier eletto dal Parlamento, dopo mesi di stallo, non ha ottenuto la conferma a parte del presidente della Repubblica ed  una serie di Procuratori generali sono stati arrestati per  abuso d’ufficio o legami con cartelli della droga.

Si è evitata una guerra nei Balcani ma, come ha avvisato il presidente serbo Vucic, nel messaggio di fine anno, chiedendo chiarimenti per la metàà di gennaio da Ue e Usa e promettendo che “combatteremo per il nostro popolo e per il Kosovo e Metochia. Finora non sono riusciti a rompere un dito della nostra mano sinistra, per non parlare della nostra spina dorsale". Rulli di tamburi tacciono, ma le armi si affilano, Usa ed Ue soffiano sulla fucina.