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RUSSIA

Crimea, la persecuzione silenziosa

Di Crimea si parla poco. Eppure, dopo la sua annessione (di fatto, ma non di diritto) alla Federazione Russa, questa regione è diventata un laboratorio, unico nel suo genere, di russificazione forzata. Anche da un punto di vista religioso. Alla fine di questo mese, infatti, tutti i religiosi che non sono ortodossi del Patriarcato di Mosca, rischiano l'espulsione

Esteri 06_12_2014
Piotr Rosochacki

Tempi duri per la libertà di religione in Crimea. La penisola sul Mar Nero, annessa (di fatto, anche se non di diritto) alla Federazione Russa sin dallo scorso marzo, potrebbe espellere tutti i preti e le suore della Chiesa cattolica, e religiosi di altre religioni (compresi gli ortodossi del Patriarcato di Kiev) entro la fine di questo mese.

Di Crimea si parla molto poco, perché i media lavorano in condizioni di censura proibitive, le informazioni sono frammentarie e basate unicamente su testimonianze dal vivo. E soprattutto: non interessa. Perché dopo l’annessione alla Federazione Russa, ha cessato di essere un terreno di scontro. Ora, quando si dice Ucraina, si pensa soprattutto alle province orientali di Donetsk e Luhansk, non più alla Crimea, che ormai è dietro alle linee del fronte. Eppure questa regione si sta rivelano un laboratorio, unico nel suo genere, per capire in cosa consista il processo di “russificazione”, anche da un punto di vista della religione.

Le nuove autorità della Crimea hanno infatti cambiato la legge per il rinnovo dei permessi di soggiorno dei religiosi. In base a questa norma, solo le comunità registrate in Russia possono invitare stranieri. Ma nessuna comunità religiosa della Crimea si è registrata, perché tutte hanno seguito, fino alla scorsa primavera, la legge ucraina. Fino all’annessione di marzo, infatti, la Crimea era a tutti gli effetti una regione dell’Ucraina. Ora, in base alla legge russa, che è entrata in vigore il 1 luglio, tutte le comunità religiose devono sottoporre una ri-registrazione entro il 1 gennaio 2015. Ma non si sa che cosa accadrà per le comunità religiose il cui organismo centrale non è in Crimea, e fra questi La Chiesa Apostolica Armena, il Patriarcato di Mosca, la Chiesa Cattolica romana e il Patriarcato di Kiev. La nuova legge, infatti, permette la registrazione solo ai cittadini russi, dunque solo le religioni basate nella Federazione Russa possono ottenerla. Stando così le cose, se a Mosca non cambiano idea, sono tutti fuori, ortodossi ucraini inclusi.

Il caso più eclatante, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, è quello di Piotr Rosochacki, espulso lo scorso 24 ottobre da Simferopoli. Il sacerdote polacco aveva ricevuto rassicurazioni che tutto sarebbe andato per il meglio dallo stesso primo ministro crimeano Sergei Aksijonov e dalla procuratrice generale russa Natalija Poklonskaja, ma alla fine non è stato risolto il suo caso. Il parroco dell’Assunzione della vergine Maria di Simferopoli, dunque, si è recato all’ufficio immigrazione russo in Crimea, gli è stato risposto che «la richiesta di rinnovo non poteva essere accettata». Poi «mi hanno scritto una lettera dicendomi che il mio caso sarebbe stato trattato in seguito senza darmi spiegazioni». Così dichiarava lui stesso all’agenzia norvegese Forum 18, ad espulsione già avvenuta.

Forum 18 ha poi contattato il capo del dipartimento Affari religiosi della Crimea, Aleksandr Selevko, chiedendogli come procedessero le pratiche di registrazione, solo per sentirsi rispondere: «Non so cosa succederà. Non è un problema mio, se ne occupa Mosca». Una funzionaria del ministero della Giustizia, Irina Demetskaya, ha aggiunto: «Finora solo cinque organizzazioni religiose hanno presentato i documenti per la nuova registrazione e sono tutti stati respinti». La Chiesa cattolica in Crimea ha dodici sacerdoti (otto polacchi e quattro ucraini) e otto suore (cinque ucraine, una lituana e due polacche). Considerando che anche gli ucraini nati in Crimea sono ora considerati “stranieri”, la Chiesa cattolica in Crimea potrebbe scomparire completamente.

Nel frattempo tutte le chiese cristiane locali, che ora risultano straniere, stanno subendo pressioni anche più dirette. Un prete greco cattolico, Bogdan Kostetsky, ha subito un continuo controllo da parte dell’Fsb (il servizio segreto russo antenato del Kgb) che lo ha più volte sottoposto ad interrogatori. Chiese ortodosse del Patriarcato di Kiev sono state chiuse a Sebastopoli, Krasnoperekopsk, Kerch e nel villaggio di Perevalne, dove la chiesa locale è stata soggetta ad una vera e propria incursione armata lo scorso giugno. La procuratrice Poklonskaja, riguardo quel caso, non ha aperto alcuna indagine penale. L’arcivescovo Clemente, del Patriarcato di Kiev a Simferopoli, ha ricevuto pesanti intimidazioni: la sua dacha è stata bruciata e teme per la sua stessa vita.

Altre vittime della nuova repressione sono sicuramente i tatari, la minoranza etnica musulmana della Crimea che costituisce circa il 12% della popolazione. La stessa legge che può comportare l’espulsione di tutti i cattolici “stranieri”, ha già provocato l’espulsione, oltre che di padre Piotr, anche di 18 su 23 imam turchi invitati dalle autorità musulmane locali. Il servizio immigrazione ha rifiutato di prolungare il loro permesso di soggiorno, affermando che ora devono ottenere un visto russo. Ma questo è il meno, perché i tatari della Crimea, con la scusa di un “allarme estremismo” (che per ora non si vede) sono diventati tutti sorvegliati speciali. Le autorità hanno inviato al parlamento di autogoverno dei tatari, il Mejlis, un ammonimento che suona come un avviso di sfratto. L’organismo locale è minacciato di chiusura d’autorità. Le moschee sono continuamente ispezionate da agenti locali e dalle milizie di “autodifesa” a caccia di “droga, armi e letteratura illegale”. Soprattutto “letteratura illegale”, perché le autorità hanno compilato una lista nera di libri da mettere all’indice. Sono ben 18 i tatari scomparsi, rapiti da milizie irregolari, almeno uno dei quali è stato ritrovato impiccato. E la questione dei tatari rischia di diventare un problema etnico di prima grandezza. Finora la comunità si è tenuta ben lontana dal radicalismo islamico (che imperversa, invece, nel Caucaso settentrionale), ma l’inizio di una persecuzione può far scattare anche in Crimea il meccanismo perverso della “solidarietà jihadista”. Cioè l’ingresso a gamba tesa di Al Qaeda e dello Stato Islamico in una crisi locale. Se così dovesse accadere, sarebbe l’esito più nefasto, nel lungo periodo, di tutta la crisi ucraina.

Il problema, però, non è limitato alla sola Crimea. Riguarda l'intera Federazione Russa. La Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca gode dell’alleanza di ferro con lo Stato. Anche ebraismo, buddismo e islam (solo quello riconosciuto dalle autorità) sono considerate come “religioni tradizionali” e tutelate dalla legge. Dall'anno scorso sono anche insegnate in tutte le scuole. Male altre confessioni, specie se hanno il loro fulcro all’estero, sono sotto scacco. La legge sulle Ong, varata a fine 2012, impone alle organizzazioni no profit, che ricevono fondi dall'estero e che svolgono "attività politica", di registrarsi come "agenti stranieri". Pena multe salate e fino a due anni di detenzione. Fra queste Ong rientrano tutte le associazioni religiose cattoliche e protestanti. I Testimoni di Geova iniziano ad essere oggetto di una vera e propria persecuzione. E’ di ieri la notizia, data da Asia News, che la Corte suprema russa ha dichiarato "estremisti" un sito internet e tre libri della comunità dei Testimoni di Geova. Presenti con circa 200mila fedeli, sparsi in tutta la Federazione, sono accusati di settarismo, "estremismo religioso", "incitamento all'isolamento sociale" e a comportamenti che minano l'armonia della società.

Questi e tanti altri esempi di vessazione religiosa spiegano perché la Russia, che solitamente viene conosciuta (specie in quest’ultimo decennio) per la sua rinascita spirituale, per la ricostruzione di chiese e monasteri dopo l’ateismo imposto dal comunismo, sia considerata da Aiuto alla Chiesa che Soffre come un Paese con un “medio grado di violazione della libertà religiosa”. Un po’ meno che in Cina, ma vale anche qui lo stesso principio che nulla è tollerato al di fuori dello Stato. E di ciò che lo Stato esplicitamente approva.