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dimissioni

Cottarelli deluso da Elly. Ma anche dal Parlamento

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Dopo soli sette mesi di mandato l'economista eletto con il Pd se ne va, in disaccordo con lo spostamento all'estrema sinistra targato Schlein. Oltre al partito lascia anche lo scranno, a disagio con dinamiche parlamentari che rendono le Camere tanto conflittuali quanto marginali.

Politica 09_05_2023

All’indomani dell’elezione di Elly Schlein alla guida del Pd in molti avevano pronosticato una scissione dell’ala moderata del partito, prevedendo che la nuova guida dem avrebbe spostato progressivamente il baricentro della proposta politica sull’estrema sinistra.

Questa previsione si sta avverando, con la conseguenza che al centro dello schieramento politico si stanno aprendo ampie praterie per una rappresentanza di posizioni riformiste di sinistra, decisamente lontane dal massimalismo ideologico che la Schlein ha abbracciato con profonda ostinazione e intima convinzione.

Appare, quindi, del tutto comprensibile il disagio di quegli esponenti del Partito democratico che tacciono, si guardano intorno e meditano di lasciare il partito perché disapprovano la svolta della Schlein. L’ultimo a dissociarsi – ma la notizia fa più rumore delle altre perché si tratta di un accademico ed economista stimato – è Carlo Cottarelli, che ha comunicato di volersi dimettere da senatore del Pd dopo neppure sette mesi di mandato.

Le ragioni delle sue dimissioni sono le distanze siderali tra il suo pensiero e quello del nuovo segretario Pd. «È innegabile (basta vedere la composizione della nuova Segreteria) – ha spiegato Cottarelli – che l’elezione di Elly Schlein abbia spostato il Pd più lontano dalle idee liberaldemocratiche in cui credo. Ho grande stima di Elly Schlein e non credo sbagli a spostare il Pd verso sinistra. La scelta alle primarie è stata netta e i sondaggi la premiano. Un Pd più a sinistra può trasmettere un messaggio più chiaro agli elettori, cosa essenziale per un partito politico. Ciò detto, mi trovo ora a disagio su diversi temi».

E quali sarebbero questi temi? Anzitutto «il principio del merito», che Cottarelli definisce «molto presente nel documento dei valori del Pd del 2008, l’ultimo disponibile quando decisi di candidarmi», e del tutto assente nella mozione Schlein per le primarie. Ma il dissenso riguarda anche il Jobs Act, l’aumento delle accise sui carburanti, il freno al superbonus, il compenso aggiuntivo agli insegnanti che vivono in aree dove il costo della vita è alto (proposta Valditara), l’utero in affitto, il nucleare e i termovalorizzatori. Insomma, temi sociali, economici ma anche identitari sui quali Cottarelli ha scoperto di essere incompatibile con la nuova segreteria del Pd.

Queste sue schiette dichiarazioni suggeriscono anzitutto una riflessione sul nuovo corso dem, forse capace di riavvicinare alla politica una porzione di giovani estremisti di sinistra, che vedono nella Schlein il loro nuovo faro nella conduzione di battaglie come quelle sui diritti civili, ma del tutto inadeguato a rappresentare il ceto medio e quella borghesia liberale che in nome di un antiberlusconismo preconcetto si è spesso rifugiata sotto l’ombrello protettivo dei postcomunisti.

C’è da prevedere che altri eletti e magari anche quadri dirigenti del Pd sul territorio prenderanno presto le distanze dalla nuova segreteria. Il disorientamento in alcuni casi è davvero assai palpabile. Cottarelli ha preferito non aderire ad altri gruppi politici, che pure gli avrebbero fatto ponti d’oro, come il Terzo polo, e ha deciso di abbandonare Pd, Senato e impegno politico.

Ma il gesto di Cottarelli impone anche alcune considerazioni sul progressivo declassamento che ha subìto il Parlamento negli ultimi anni. Le due Camere, soprattutto quando ci sono numeri chiari e definiti, diventano organi di semplice ratifica di decisioni prese a Palazzo Chigi e altrove e dunque il ruolo di parlamentare appare davvero poco incisivo sulle sorti della nazione. Tra le righe lo lascia trapelare anche il diretto interessato. «Credo sia importante – ha aggiunto – che ognuno faccia al meglio quello che può fare, credo di poter essere più utile al Paese nel mio ruolo di “grillo parlante”, di divulgatore».

E sulle dinamiche parlamentari ha osservato amaramente: «Forse non è stato così in passato, ma c’è in questo momento storico un’estrema conflittualità fra minoranza e opposizione. Ad esempio, è prassi che le minoranze presentino degli emendamenti, io ho visto che sistematicamente sono rigettati. Tanto quanto, spesso le minoranze propongono emendamenti quasi solo per fare ostruzionismo. Mi aspettavo un atteggiamento meno conflittuale».

In una democrazia parlamentare come la nostra tutto dovrebbe passare dalle Camere, per rispettare fino in fondo il principio della sovranità popolare incarnata proprio dal Parlamento. Che un uomo di cultura come Cottarelli scelga il disimpegno per dedicarsi ad altro (andrà a dirigere un progetto dell’Università Cattolica nelle scuole superiori per l’educazione delle scienze sociali ed economiche) è un brutto segnale anche per le istituzioni e la loro autorevolezza.

Il Parlamento viene ormai percepito in alcuni ambienti come un luogo decisamente marginale per la vita del Paese. Una sensazione amara, che si iscrive nel più generale contesto della disaffezione alla vita politica, accentuatasi progressivamente a partire da Tangentopoli.