Così l’unione gay sarà parificata al matrimonio
Non è facile, per un ordinamento di famiglia e per un ordinamento anagrafico che ruotano da sempre attorno al matrimonio, rimodulare i numerosi istituti chiamati in causa dalla nuova legge Cirinnà sulle unioni civili. Ma il tentativo è arrivare in sede di attuazione della legge a una parificazione fra matrimonio e unione same sex non solo sostanziale - quale già è - ma pure formale. Il ruolo decisivo dei sindaci. Ecco perché.
L’attuazione della legge Cirinnà si muove fra spinte ideologiche e difficoltà concrete. Esaminando il testo approvato si sono più volte sottolineati, insieme con i profili di principio inaccettabili, le storture e le disarmonie di sistema; il documento critico redatto dal Centro studi Livatino - consultabile su www.centrostudilivatino.it - le elenca in modo completo: si rinvia a esso per i dettagli.
Non è facile, per un ordinamento di famiglia e per un ordinamento anagrafico che ruotano da sempre attorno al matrimonio, rimodulare i numerosi istituti chiamati in causa alla stregua della nuova disciplina: dal regime delle iscrizione e delle annotazioni al diritto internazionale, senza escludere il coordinamento con le numerose e variegate leggi che trattano di famiglia. La materia è di grande delicatezza, perché interessa lo status e i diritti delle persone, per cui non sono ammesse imprecisioni o grossolanità. Il compito degli uffici dei ministeri con la più estesa competenza sul tema è ancora più complicato se vanno fatti i conti con il tentativo in atto di giungere in sede di attuazione della legge a una parificazione fra matrimonio e unione same sex non solo sostanziale - quale già è - ma pure formale. Alla fine, i soggetti in maggiore difficoltà sono quei sindaci - non pochi, grazie a Dio - che vorrebbero tenere distinte le unioni civili dai matrimoni.
I decreti attuativi sono previsti con una duplice tempistica: quelli destinati a valere nel tempo vanno adottati entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge, e quindi per il 5 dicembre 2016; quelli che, in attesa di sciogliere i nodi più intricati, devono comunque permettere la quasi immediata operatività della legge, per i quali il termine era il 5 luglio scorso: sono prossimi alla pubblicazione, con qualche giorno di slittamento. La legge - lo si ripete - è quella che tutti conosciamo. Ogni persona che ne ha esaminato la lettera, dopo aver seguito i lavori parlamentari e con una conoscenza minima del contesto giurisprudenziale italiano ed europeo, sa che con la “Cirinnà” è stato di fatto introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso; sa che molto presto l’unione civile verrà chiamata col suo nome proprio di matrimonio, come è accaduto in nazioni che hanno seguito il medesimo percorso; sa, come ha avuto modo di ricordare la 1^ sezione civile della Cassazione con la recente sentenza sulla step child adoption, che il nuovo regime include quest’ultima.
Con buona pace di chi, al momento del voto, facendo parte della maggioranza ha sostenuto che ogni tipo di adozione restava precluso; e di chi, in area cattolica, sostiene che parlare di regime parificato fra unioni civili e matrimonio favorirebbe la parificazione: come se la modifica introdotta con questa legge nell’ordinamento famigliare italiano fosse meno grave della compiuta descrizione di quel è accaduto! La bozza del decreto attuativo che è in questo momento all’esame del Consiglio di Stato per il parere si muove nel solco di un’applicazione della “Cirinnà” non formalmente debordante. Si pone i problemi derivanti dall’assenza per la registrazione dell’unione civile di forme previste per il matrimonio, come le pubblicazioni, a garanzia della mancanza di impedimenti, e prevede verifiche a cura del funzionario dell’anagrafe. Evita di imitare il matrimonio al momento della registrazione dell’unione civile, poiché mentre per il matrimonio è stabilita la lettura degli articoli 143- 144 e 147 del codice civile, per le unioni civili è sufficiente la semplice menzione del contenuti dei commi che richiamano quegli articoli con riferimento alle stesse unioni civili.
Rinvia a un decreto del ministro dell’Interno per l’indicazione delle formule per la registrazione, che non sembrano sovrapponibili a quelle che si usano per il matrimonio. Il punto che potrà creare problemi nella pratica è quello riguardante la trascrizione in Italia delle unioni civili contratte all’estero, ovvero di matrimoni same sex, la cui trascrizione in Italia segue il regime delle unioni civili: la difficoltà sta nel fatto che nell’ordinamento dello stato civile le regole sulla trascrizione presuppongono che prima sia chiaro quali sono gli istituti dello Stato estero riconoscibili in Itala, e quindi esigono una ridefinizione delle regole del diritto internazionale privato. Farlo subito - come prova il decreto attuativo in corso di approvazione - con una disciplina transitoria che potrebbe mutare profondamente a regime rischia di far trascrivere unioni che poi andrebbero cancellate. É il caso?
Resta in sospeso il ruolo del sindaco. Se costui intende evitare per fondate ragioni di coscienza di registrare una unione nella sostanza è un matrimonio same sex può delegare, come già accade per la celebrazione dei matrimoni. I pasdaran del matrimonio fra persone dello stesso sesso evocano l’obbligo di osservare e di far osservare la legge Cirinnà, che non dovrebbe avere deroghe, non essendovi una previsione espressa di obiezione di coscienza. Questa posizione non tiene conto che l’istituto della delega non è in alcun modo toccato dalla nuova disciplina. Il delegato, a sua volta, potrà chiedere di essere esonerato e la delega ben può essere conferita ad altri: vale per analogia il sistema di garanzia che nella legge 194 è a carico non del singolo medico ma del sistema sanitario a che comunque qualcuno pratichi l’aborto richiesto.
Poiché la partita in questo momento si gioca a sovrapporre soprattutto nei dettagli esteriori l’unione civile al matrimonio, il sindaco, oltre a delegare ad altri - se lo ritiene - il compito di procedere alla registrazione, può certamente, meglio se coperto da una delibera di giunta, distinguere il luogo della registrazione da quello del matrimonio; e poi potrebbe disporre che il delegato non indossi la fascia tricolore. Vi è obbligo di adoperare quest’ultima, in base all’art. 70 dell’ordinamento dello stato civile, se si celebra il matrimonio, e tale obbligo riguarda genericamente “l’ufficiale dello stato civile”, quindi sindaco e consigliere o funzionario delegati. Se però - come ci è stato detto durante la discussione in Parlamento - matrimonio e unione civile sono due cose distinte, l’assenza di una disposizione specifica in tal senso permette al sindaco di precludere l’uso della fascia al delegato.
Ben poca cosa rispetto al mutamento radicale e sostanziale introdotto; è più che fondato sostenere che il passaggio dall’etichetta unione civile a quella matrimonio sia solo questione di tempo. Ma poiché ogni giorno ha il suo affanno, interessarsi oggi di quelli che appaiono dettagli - dopo i temi ben più pesanti affrontati al momento dell’esame della riforma - è quello che è dato fare, avendo chiare le proporzioni. Giusto per non essere presi in giro. É evidente che la battaglia culturale e politica per riconoscere a matrimonio e famiglia non solo le briciole di cui si è detto finora: deve continuare con attenzione prioritaria alla sostanza e con vigore ancora più forte.