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Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
MEDJUGORJE/ La comunità

«Così con la preghiera abbiamo vinto la droga»

È la gratitudine il sentimento prevalente nelle parole degli ospiti del “Padre misericordioso”, la comunità per combattere la dipendenza da droga, alcol e gioco d’azzardo, che si trova a Medjugorje all’interno del Villaggio della Madre, fondato a metà degli anni ’90 da padre Slavko Barbaric per i bambini orfani di guerra.

Ecclesia 02_08_2016
Medjugorje

L’esperienza salvifica della preghiera che riempie il vuoto lasciato dalle cose materiali, la scoperta di avere un Padre che ama tutti al di là di ogni nostro limite e restituisce il centuplo a chi si abbandona fiducioso a Lui. È la gratitudine il sentimento prevalente nelle parole degli ospiti del “Padre misericordioso”, la comunità per combattere la dipendenza da droga, alcol e gioco d’azzardo, che si trova a Medjugorje all’interno del Villaggio della Madre, fondato a metà degli anni ’90 da padre Slavko Barbaric per dare accoglienza ai bambini abbandonati e orfani di guerra (in conseguenza del conflitto in Bosnia ed Erzegovina) e che gradualmente ha esteso la sua opera per aiutare famiglie in difficoltà, ragazze madri, anziani e disabili.

Tutto è vissuto alla luce del vangelo proprio come voleva padre Slavko, un francescano che è sempre stato vicino ai veggenti come direttore spirituale e la cui morte nel 2000 fu come uno squarcio sul mistero del cristianesimo. Verso le 15 di venerdì 24 novembre, dopo aver guidato la Via Crucis sul Krizevac e aver dato la benedizione ai pellegrini, all’inizio della discesa si accasciò a terra per un malore, senza lamentarsi; pochi istanti prima aveva chiesto la protezione della Madonna con queste parole: «Che la Gospa preghi per noi nell’ora della nostra morte». Il giorno dopo, nell’apparizione a Marija, la Santa Vergine disse: «Gioisco con voi e desidero dirvi che il vostro fratello Slavko è nato al cielo e intercede per voi».

I frutti di questa fede incondizionata si possono appunto cogliere limpidamente nei racconti delle persone che stanno seguendo il programma di recupero della comunità del “Padre misericordioso”, per vincere le loro dipendenze da droga e alcol. Sono storie che trasudano di redenzione dopo un buio e una mancanza di senso che hanno attraversato gran parte della loro vita, come testimonia per esempio Goran, 55 anni e da due in comunità: «Quando vivevo a Sarajevo pensavo solo ai soldi, che erano per me il biglietto da visita per certe amicizie sbagliate che si basavano sulle macchine, il denaro e tutto il resto. A quel tempo pensavo che quelle fossero le cose importanti, che fossero un bene. Il benessere mi appariva come la migliore vita possibile, mentre i criminali che stavano sopra di me mi sfruttavano. Poi sono andato a vivere all’estero, ma anche lì avevo una mente malata e il mio migliore amico era il denaro. Non mi interessava nessuno, neanche me stesso: per me il giorno significava spendere, spandere, sfruttare, usare. All’inizio sembrava tutto bellissimo, ma col tempo è emersa la catastrofe, una pena profonda».

In quegli anni Goran comprende che sta scivolando verso il baratro e questo destino gli sembra ineluttabile, perché non trova gli strumenti per riemergere, come se il male dentro di sé avesse oscurato ogni possibilità di luce. «Con la consapevolezza di oggi, posso dire che il diavolo mi ha dato tutte le tentazioni e così a un certo punto non ero più io: ero come una marionetta. Ho cominciato a creare seri problemi alla mia famiglia, che mi stava sempre vicino cercando di aiutarmi. Ma ogni volta scappavo, la dipendenza dalla droga e dall’alcol non mi lasciava in pace». Grazie a delle conoscenze in Germania riesce a trovare un lavoro pulito, cerca di tornare alla normalità e rendersi utile, ma deve subire un’altra caduta perché non riesce a stare lontano dalla bottiglia. «Sapevo che mi faceva male, ne ero cosciente, ma non riuscivo a fermarmi perché non avevo più volontà. Così entrai in crisi fino a volere il suicidio».

È proprio in quel frangente cruciale della sua vita, per lui ormai priva di senso, che avviene l’incontro che lo salva. «Fu allora che parlai con un sacerdote che mi disse: “Vuoi ammazzarti? Significa andare contro la legge di Dio, la tua vita è un dono!”. E poi ha aggiunto: “Riconosci i tuoi peccati e ritorna a Dio”. Prima di allora quel peccato era così nero, così radicato dentro di me che non vedevo via d’uscita, ma parlando con il sacerdote ho sentito per la prima volta una profonda pace, una beatitudine. Io ero un violento, non avevo mai dato amore e non avevo mai cercato di riceverlo perché pensavo di poter comprare tutto. Invece, per la prima volta conobbi l’amore di Dio. Entrai in una cappella, cominciai a piangere di un pianto che non finiva più, ma doveva uscire da me tutta l’amarezza che avevo e iniziai a pregare: Gesù mio, mi sono inginocchiato davanti a te, per favore aiutami e prendi su di te tutti i miei problemi».

È dopo questa esperienza dell’amore di Dio che lenisce tutte le ferite che Goran - il quale aveva  sempre rifiutato di riconoscersi come tossicodipendente, perché l’orgoglio gli impediva di farlo - si rivolge alla comunità del “Padre misericordioso”, per iniziare a camminare sulla Sua strada. «Ho potuto rialzare la testa, mi sono presentato davanti ai miei fratelli della comunità e per la prima volta ho detto il mio nome e cognome. Gli ho detto quello che ero, che ero alcolizzato e drogato, che avevo distrutto tutto quello che avevo. Che tutti mi amavano e volevano aiutarmi, ma io non li amavo. E che desideravo cambiare. Adesso, ogni mattina quando mi sveglio desidero perdonare e desidero amare. Noi qui diciamo che la nostra vita si è indirizzata sulla strada di Dio. Mia moglie è ritornata, mia figlia è ritornata, mia madre è guarita. E io sto bene e, anche se sono il più vecchio del gruppo, ho un’energia, una gioia di vivere che mi spinge a desiderare di aiutare tutti, a condividere questa gioia con i più giovani. Vorrei in qualche modo dare a Dio quello che Lui ha dato a me. Le cose materiali non mi interessano più, ho bisogno solo di un cuore nuovo».

Nel cammino di ritorno alla vita e di conversione di Goran c’è un elemento che è diventato imprescindibile: la preghiera. A differenza di tante altre comunità, qui non ci sono psicologi o psichiatri, la cura dell’anima passa attraverso il rosario quotidiano in gruppo (con la recita di tutti i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi) «perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», e attraverso il digiuno a pane e acqua il mercoledì e il venerdì. «Se due anni fa qualcuno mi avesse detto che sarei arrivato a recitare 150 Ave Maria al giorno lo avrei preso per pazzo. Oggi, invece, non vedo l’ora che arrivi il momento del rosario». 

Nella comunità, che al momento ospita 14 persone, non ci sono nemmeno Tv e computer. Oltre che dalla preghiera in comune, la vita scorre scandita dai tre pasti giornalieri, dagli incontri di comunità per consigliarsi e aiutarsi a vicenda e dall’attività nei laboratori, dove gli ospiti del “Padre misericordioso” realizzano mosaici, rosari, crocifissi e altri oggetti sacri. «Ogni giorno condividiamo le nostre esperienze, ci apriamo l’un l’altro, ci diamo una mano. Prima i nostri problemi li affrontavamo scappando, con la bottiglia, la droga, le slot machines e le altre cose sbagliate: pensavamo che fossero parte della nostra vita e non davamo retta a nessuno. Qui, se uno ci corregge dobbiamo accettarlo. Se non accettiamo i consigli laviamo i piatti tutto il giorno, puliamo i bagni per i pellegrini, ma non si tratta di punizioni bensì di lavori attraverso i quali cresciamo nell’umiltà. E che ci danno equilibrio».

A trovare equilibrio e conforto nell’aiuto di Dio e dei fratelli è anche Miroslav, 38 anni e originario di Mostar, che si è unito alla comunità da alcuni mesi dopo un passato segnato dal consumo di diverse droghe e dei loro derivati, fin dall’adolescenza. Un’adolescenza sconvolta dalla perdita del padre «che per me era un esempio, un uomo molto pulito, ordinato. Dopo la morte di mio padre ho sofferto tanto e ho provato di tutto, finendo per consumare eroina e bucandomi di continuo. Nel 2001 contrassi l’epatite C, poi per circa un anno cercai di staccarmi, ma il desiderio era troppo forte e così rifinii nel vortice. Allora avevo un lavoro, una ragazza, una casa, ma dentro di me ero vuoto. Così cercai aiuto presso un’altra comunità, dove sono stato un anno e prendevo metadone: però mi mancava sempre qualcosa».

Dopo aver fatto altri tentativi con altri gruppi, Miroslav decide di bussare alla porta della comunità di Medjugorje ed è qui che inizia finalmente a trovare una risposta ai suoi bisogni più profondi. «Gli altri centri dove sono stato non erano comunità di preghiera. Ogni volta fisicamente riuscivo a non essere più dipendente, ma dentro di me permaneva comunque quel vuoto. Quando sono arrivato qui ho visto che c’era un aspetto nuovo: la fede. E Dio. Sono nato e cresciuto in una famiglia cattolica, so tutte le cose che sono successe a Medjugorje, ma finora non mi ero interessato più di tanto perché avevo una mia idea. Qui ho capito che Dio è con noi e ci dà una possibilità: e noi questa possibilità possiamo riconoscerla e accoglierla, ma possiamo anche rifiutarla. Attraverso i fratelli che sono qui da più a lungo, sto conoscendo la fede e capisco passo passo come metterla in pratica nella vita. Anche nei piccoli segni di ogni giorno, io ringrazio Dio per questa possibilità e stavolta sento di poter andare fino in fondo».

- LA MIA VITA È CAMBIATA A MEDJUGORJE