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LA SCELTA DI FONTANA

Coprifuoco in Lombardia, pessimo segnale

Dalle 23 alle 5, a partire da domani, i lombardi dovranno restare chiusi in casa per effetto della decisione presa dalle autorità regionali. Penalizzati gestori di bar e ristoranti, che protestano. Il coprifuoco è un segnale devastante per la cittadinanza e di cui Fontana pagherà le conseguenze a livello elettorale. E, intanto, De Luca ha deciso di copiarlo in Campania

Editoriali 21_10_2020

La Regione Lombardia gioca d’anticipo per non farsi più travolgere dal Covid e si mette in semiquarantena da sola, puntando sul coprifuoco. Da domani sera alle 23 tutti i lombardi resteranno chiusi in casa, salvo deroghe previste per motivi di lavoro o altre ragioni sufficientemente documentate. Sei ore di lockdown generalizzato dalle 23 alle 5 per poter consentire anche al Covid di andare a letto a riposare prima di tornare ad infettare indiscriminatamente lavoratori, studenti, pendolari, a partire dalle 5 e un minuto e fino alle 22,59.

Ironia a parte, l’idea del coprifuoco è stata presa in considerazione dal Comitato tecnico-scientifico lombardo su pressione dei sindaci e ha subito trovato il gradimento entusiasta del ministro della Salute, Roberto Speranza, che non vedeva l’ora di chiudere la Lombardia e che ha visto premiata la sua linea dura, contrapposta a quella più morbida e “aperturista” del premier Giuseppe Conte. Peraltro il virologo Fabrizio Pregliasco l’ha già bollata come misura insufficiente a frenare l’ondata di contagi che ormai sembra inarrestabile, soprattutto all’ombra della Madonnina. E allora perché dare questo segnale devastante alla cittadinanza, che ora avrà ancora meno voglia di uscire? Perché penalizzare i gestori di ristoranti e bar, costringendoli a chiudere alle 23 (anziché alle 24, come nel resto d’Italia), dopo aver imposto a quelle categorie sacrifici economici pesantissimi per l’adeguamento alle misure anti-Covid?

Dopo le prime proteste di ieri sotto Palazzo Lombardia, i ristoratori ne hanno preannunciate di nuove per domani sera fuori dalla sede della Regione e da Palazzo Marino per chiedere di rivedere il provvedimento, che peraltro dovrebbe restare in vigore per tre settimane. E già ieri abbiamo avuto le prime avvisaglie di questo clima di crescente insofferenza da parte di quelle categorie.

Oltre al coprifuoco è stata decisa anche la chiusura dei centri commerciali (tranne di quelli che vendono prodotti alimentari) durante i weekend, per evitare assembramenti. Facile obiettare che così si penalizza anche la grande distribuzione. Il crollo prevedibile del fatturato dei centri commerciali provocherà tagli occupazionali soprattutto dei lavoratori precari che aspettano il fine settimana per guadagnare qualcosa.

E poi siamo proprio sicuri che gli assembramenti avvengono nei locali e fuori dai locali solo dopo le 23? E prima di quell’ora, durante l’aperitivo? Tutti seduti con mascherina e distanziati? E che senso ha imporre le stesse restrizioni nei quartieri della movida di Milano e nelle periferie di Busto Arsizio o di Cernusco sul Naviglio? Misure inadeguate quelle proposte dal Pirellone e da Palazzo Lombardia e accettate dal governo, che deludono anche i sostenitori del governatore Attilio Fontana e della sua giunta e sembrano un semplice tentativo di voler mettere le mani avanti per poi addurre giustificazioni in caso di nuovo lockdown. «Noi l’avevamo previsto e ci siamo subito autolimitati», potrebbe essere la reazione di Fontana e soci all’eventuale nuovo blocco totale.

Intanto, però, con questa improvvida e inutile mossa, il presidente della Regione Lombardia si è di fatto già contraddetto rispetto all’ordinanza della scorsa settimana, che anticipava a mezzanotte la chiusura dei ristoranti e scongiurava nuove limitazioni, puntando tutto sull’estensione dello smart working, in particolare nel settore pubblico, e sull’ingresso scaglionato nelle scuole. La sua promessa di non chiedere altri sacrifici ai gestori di locali si è rivelata effimera.

Il clamoroso dietrofront è stato motivato con l’allarme sulla possibile impennata di ricoveri (600 in terapia intensiva e 4000 negli altri reparti entro fine mese, sostengono le stime dei virologi lombardi). Sono scelte, quelle della Lombardia, che puntano su nuovi lockdown quando invece bisognerebbe coltivare la visione di una convivenza con il virus senza frenare l’economia e le attività produttive e commerciali. Intensificare i controlli, potenziare i servizi sanitari e di trasporto, assicurare le categorie più fragili e a rischio sono le strade virtuose di chi sa amministrare, mentre chi sceglie la scorciatoia del coprifuoco dimostra la sua incapacità e la sua omologazione all’allarmismo e al disfattismo.

Anche Fontana è stato risucchiato in questo vortice e ne pagherà le conseguenze perché sarà il suo stesso elettorato, rappresentato in prevalenza da piccole e medie imprese, artigiani, commercianti, professionisti, lavoratori autonomi a presentargli il conto.

Peraltro le scelte lombarde costituiscono un precedente. Ieri anche il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha optato per il coprifuoco dalle 23 alle 5, a partire da venerdì, e il Piemonte ha già annunciato che copierà la Lombardia per quanto riguarda la chiusura dei centri commerciali durante i fine settimana. Tutti segnali che terrorizzano l’opinione pubblica, scoraggiano gli investimenti, frenano i consumi. La politica dovrebbe bilanciare gli interessi in gioco, tutelare tutti i diritti, non solo quello alla salute. Libertà di iniziativa economica e diritto al lavoro non possono essere immolati sull’altare di una perenne emergenza. La responsabilità di chi amministra è quella di contemperare tutti i diritti ugualmente meritevoli di tutela. Lasciarsi dominare da un evento, sia pur tragico e di portata planetaria, è un pessimo segnale offerto dalla regione più ricca e prosperosa d’Italia.