Conte, il "cattolico democratico" che vietò le Messe
Conte tratta le Messe al pari di spettacoli teatrali. Decisamente sorprendente per uno che in più di un'occasione ci ha tenuto a definirsi "cattolico democratico" e che non disdegna le ricostruzioni giornalistiche intente a ricordare la sua esperienza a Villa Nazareth. Con qualche omissione, però.
"Ma se aprivamo le chiese avremmo dovuto aprire anche cinema e teatri". Sull'affaire Messe, dopo lo schiaffo dato con la proroga della chiusura nella Fase 2 e la vibrata protesta della Cei rientrata con l'appello all'"obbedienza" del papa, si è detto e scritto tanto in questi giorni ma questo virgolettato, attribuito da Augusto Minzolini a Rocco Casalino, portavoce ed ombra del presidente del Consiglio, fotografa alla perfezione la scarsa sensibilità verso i credenti dimostrata dal Governo e denunciata in questi termini dalla comunità islamica italiana. L'uomo di fiducia del premier, stando a quanto riportato dal notista de Il Giornale, avrebbe giustificato il prolungamento dello stop che ha fatto arrabbiare fedeli (e non) di tutt'Italia, confessando candidamente come il suo capo, in sede decisionale, abbia considerato le cerimonie religiose alla stregua di un film o di uno spettacolo teatrale.
Decisamente sorprendente per uno che in più di un'occasione ci ha tenuto a definirsi "cattolico democratico" e che non disdegna le ricostruzioni giornalistiche intente a ricordare la sua esperienza a Villa Nazareth. La reprimenda dei vescovi italiani sulla questione Messe non deve aver lasciato indifferente un personaggio come Conte, così affezionato a quella narrazione di sé che lo vorrebbe fortemente introdotto ed apprezzato nei Sacri Palazzi. La suscettibilità dell'uomo è ormai nota (la risposta piccata data ad una giornalista a Bergamo sta lì a confermarlo) e non sorprenderebbe, dunque, se fosse vero quanto raccontato sul Corsera dal generalmente ben informato Massimo Franco circa una presunta telefonata fatta a Santa Marta nella mattina successiva all'uscita della nota della Cei.
Un'altra possibile spia dell'irritazione di Conte per l'affondo dei vescovi italiani potrebbe essere un articolo uscito sull'edizione domenicale del La Repubblica a firma di Guido Alpa: sappiamo che l'ex presidente del Consiglio Nazionale Forense è stato il grande mentore del capo del Governo sin dai tempi dell'Università. Ebbene, il famoso avvocato ha dedicato il suo pezzo sul quotidiano di Largo Fochetti alla "laicità non intollerante ma intelligente" del maestro di diritto ecclesiastico Arturo Carlo Jemolo, concludendolo con questa citazione: "La nostra laicità non ha nulla di antireligioso, può essere praticata anche da una popolazione interamente cattolica alla sola condizione che essa accetti l'idea di una distinzione tra funzioni dello Stato e quelle della Chiesa".
All'inizio e alla fine dell'articolo, il maestro di Conte si è lasciato sfuggire un aggancio alle cronache odierne rievocando una citazione indicativa ("la politica, per essere fruttifera, deve avere una tecnica ai suoi servizi") e parlando di "attualità" del pensiero di questo giurista scomparso nel 1981. Jemolo, peraltro, è stato un amico del cardinale Silvestrini, conoscenza risultata piuttosto preziosa - come vedremo più avanti - per il pupillo di Alpa, anche a quasi un anno dalla morte. Un'autorevole ciambella di salvataggio lanciata all'amico in difficoltà il cui ultimo dpcm è finito sotto attacco proprio sul terreno del diritto ecclesiastico (oltre che su quello costituzionale)? Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha sollevato la questione: la pretesa del Governo di decidere quali atti di culto si possono compiere e quale no potrebbe rappresentare una minaccia per la distinzione di competenze tra Stato e Chiesa riconosciuta nell'Accordo di Villa Madama.
I timori per la possibile violazione delle norme concordatarie devono aver agitato la Segreteria di Stato, deputata alla gestione dei rapporti con gli altri Stati, se dalla Terza Loggia del Palazzo Apostolico si è deciso di dare il via libera alla Cei per il duro comunicato di una settimana fa. Uno scenario che ha fatto traballare un'altra narrazione in voga alimentata dai giornali senza che lo zelante portavoce Casalino si sia mai speso per smentirla: quella secondo cui l'ex avvocato del popolo troverebbe nel cardinale Parolin uno sponsor e addirittura un amico in virtù del periodo comune trascorso a Villa Nazareth.
Bisogna fare chiarezza una volta per tutte sull'esperienza dell'attuale premier nell'istituto fondato dal cardinale Domenico Tardini nel Dopoguerra per aiutare nello studio i figli talentosi delle famiglie povere. Conte non è stato uno studente del Collegio Universitario ma fece soltanto il test d'ammissione nel 1983. Era l'anno della riapertura come residenza di universitari dopo lo stop iniziato nel 1969 ed il giovane pugliese venne esaminato da Angela Groppelli, la grande animatrice della proposta educativa ispirata all'esempio tardiniano scomparsa due anni fa. La professoressa, secondo quanto ha raccontato Conte nel 2018 a Panorama, dopo avergli dato la notizia del superamento dell'esame gli avrebbe comunicato che "in quella sessione qualcuno aveva più bisogno economico" di lui. Secondo Paolo Rodari di Repubblica, invece, "effettuò, senza averlo mai superato, solo il test d'ingresso". Lo stesso Collegio, in occasione dell'incarico ricevuto nel maggio 2018, si è limitata a riportare in un comunicato che "il giovane Giuseppe Conte partecipò nel 1983 al concorso di ammissione".
Comunque sia andata, il presidente del Consiglio non ha fatto parte di quella prima generazione post-chiusura accolta nella residenza di Pineta Sacchetti. L'esperienza di Conte a Villa Nazareth è iniziata, in forma di collaborazione volontaria, qualche anno più tardi con la telefonata della Groppelli in spirito di quella gratuità che - come ricordava il cardinale Silvestrini per spiegare il progetto formativo tardiniano - "non è qualità umana ma riflesso dell'amore gratuito di Dio". Dunque, l'ex avvocato del popolo non "si è formato" a Villa Nazareth, come molti scrivono, ma ha iniziato a frequentarla - senza mai risiedervi - dopo essersi laureato ed essere già divenuto assistente universitario. Si è accostato a questa comunità come amico ed ha avuto modo di conoscere da vicino il porporato di Brisighella, dominus dell'istituto e a lungo presidente della Fondazione che la controlla.
Dal 1992, come riportato nel suo discusso curriculum, Conte "ha curato, per il Collegio (...) gli scambi e le relazioni culturali con le università straniere, in particolare, americane" fino al 2013. E' probabilmente in virtù di questa generica collaborazione che il premier ha avuto modo di "incrociare qualche volta" (Parolin dixit) l'attuale Segretario di Stato, direttore dell'istituto ed assistente spirituale degli studenti dal 1996 al 2000. Incalzato sia da Telese su Panorama che da Vespa a Porta a Porta sul suo presunto antico rapporto con Parolin, Conte - di cui è nota la vanità specie nella comunicazione - ha preferito sorvolare e cambiare argomento. Non c'è dubbio che il presidente del Consiglio abbia visto il Segretario di Stato più volte in questi due anni da inquilino a Palazzo Chigi che nei quattro della direzione Parolin a Villa Nazareth, struttura presso la quale Conte non ha mai risieduto. Il premier sarebbe diventato tutor per gli studenti di diritto privato e membro del comitato scientifico della Fondazione Comunità Domenico Tardini Onlus in un periodo successivo alla partenza di Parolin dalla residenza di Pineta Sacchetti.
Tutti elementi che fanno traballare fortemente la narrazione data quasi per scontata ormai dai giornali secondo cui l'ex avvocato del popolo avrebbe il suo principale sponsor in Terza Loggia grazie alla "comune frequentazione" del Collegio, che non è comune ma piuttosto diversificata nei tempi e nei modi.
Osservando la cronologia degli ultimi otto giorni appare piuttosto evidente come, per sbrogliare la matassa che lo stava mettendo in un angolo dando sponde ai suoi oppositori interni ed esterni, per Conte sia stato determinante l'appello all'obbedienza del pontefice regnante. Dopo la nota di rimprovero della Cei, Francesco - che non ama particolarmente l'episcopato italiano - deve aver avocato a sé la pratica Messe, lasciando filtrare da Santa Marta la sua non ostilità verso l'attuale esecutivo e portando i vescovi italiani a ritirare immediatamente il guanto di sfida lanciato domenica scorsa. L'esito di questa partita lo abbiamo visto nella giornata di sabato: le parole del papa interpretabili come filogovernative ("non si cambia cavallo in mezzo al fiume"); l'udienza concessa al presidente Cei dal quale Bassetti è uscito ammettendo de facto all'HuffPost il ruolo decisivo del papa che "in Italia è il capo, è vescovo di Roma e primate"; l'annuncio dell'accordo trovato con il Governo per la riapertura delle Messe senza date e dettagli, ma con un lungo ringraziamento alla presidenza del Consiglio e persino al Comitato Tecnico Scientifico (su cui c'era stato lo scaricabarile del premier).
Nella risoluzione della partita, Conte ha giocato l'asso nella manica: il rapporto diretto con il pontefice regnante. Francesco, infatti, ha sempre dimostrato di apprezzare l'avvocato pugliese sin dai tempi del non certo amato governo gialloverde, avendolo definito "un uomo intelligente che sa di cosa parla" già nel giugno del 2019. E nel giudizio positivo che il papa si è fatto sin da subito può aver influito la figura del cardinale Silvestrini, sponsor dell'argentino già al Conclave del 2005 e buona conoscenza di Giuseppi sin dagli anni Novanta. Il legame di Conte con Villa Nazareth, infatti, non si deve ad un soggiorno-studio nel Collegio ma all'amicizia con l'ex prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, come si legge tra le righe del comunicato pubblicato sul sito dell'istituto ai tempi del primo incarico affidato da Mattarella. Un'amicizia testimoniata anche da una fotografia di gruppo della festa per i 20 anni di episcopato di don Achille nella quale compare anche il giovane avvocato pugliese, non ancora avvezzo alla pochette alla quale preferiva una camicia hawaiana.
Il primo incontro tra Bergoglio e Conte c'è stato due anni prima dell'approdo di quest'ultimo a Palazzo Chigi ed è avvenuto, in compagnia dell'ex moglie e del figlio, nella cornice della residenza di Pineta Sacchetti durante la visita pastorale fatta dal papa il 18 giugno del 2016. Quella fu anche una delle ultime uscite pubbliche del porporato di Brisighella che, già provato nel fisico, aveva accolto con un discorso di benvenuto il pontefice per il quale già da tempo simpatizzava e che ha ricambiato la stima con periodiche telefonate di cortesia al suo appartamento nella Palazzina della Zecca. I dpcm che hanno vietato la partecipazione della Messa ai fedeli considerandola - se è vero quanto Minzolini ha attribuito a Casalino - alla pari di uno show sono in palese contraddizione con quello che il cardinale Silvestrini indicava essere uno dei valori intrinsechi della proposta educativa tardiniana; "il ripudio di ogni prevaricazione".
Riflettendo sul suo operato in questa fase d'emergenza, il "cattolico democratico" Conte dovrebbe prendere esempio dalle parole pronunciate da Benedetto XVI ricevendo in udienza la Comunità di Villa Nazareth che si vanta di aver frequentato: "La fede - disse il papa al cardinal Silvestrini e agli altri membri presenti in Sala Nervi l'11 novembre 2006 - scruta l’invisibile ed è perciò amica della ragione che si pone gli interrogativi essenziali da cui attende senso il nostro cammino quaggiù".