Con le scuole chiuse a causa della pandemia aumenta la malnutrizione tra i bambini
Il Programma alimentare mondiale teme soprattutto nei paesi più poveri le conseguenze negative per i bambini della chiusura delle scuole e quindi anche delle mense scolastiche
Con le scuole chiuse anche le mense scolastiche non funzionano. Per milioni di bambini, non soltanto nei paesi poveri, questo vuol dire essere più esposti al rischio di denutrizione e malnutrizione. Per le loro famiglie comporta un aggravio di spesa proprio mentre la pandemia ne aumenta le difficoltà economiche. Le mense scolastiche svolgono due funzioni per le famiglie povere, spiega il direttore dell’alimentazione scolastica per il Programma alimentare mondiale Carmen Burbano: la prima, sanitaria, è far sì che i bambini mangino bene, almeno un buon pasto al giorno durante il periodo scolastico; la seconda, economica, è ridurre la spesa alimentare per i loro genitori. In media le famiglie povere spendono per mangiare il 10 per cento del loro reddito: se un bambino non può consumare un pasto a scuola, le spese domestiche aumentano, senza per questo garantire che mangerà bene e a sufficienza. Il Pam finanzia le mense scolastiche in 51 paesi in cui adesso le scuole sono chiuse. Di conseguenza 12 milioni di bambini non ricevono più assistenza. Un ulteriore motivo di preoccupazione è che la malnutrizione quando diventa grave riduce notevolmente le difese immunitarie rendendo più vulnerabile chi ne soffre ai batteri e ai virus. Sono i paesi a basso reddito a preoccupare di più, soprattutto quelli in cui sono in corso conflitti e quelli già assistiti dalla comunità internazionale. A peggiorare il quadro, c’è il fatto che la chiusura delle frontiere rende difficile il trasporto dei generi alimentari e questo può ridurne la disponibilità. Il Pam sta cercando di rimediare provando ad assistere i bambini diversamente. A tale scopo ha chiesto ai donatori di anticipare circa 1,9 miliardi di dollari per poter acquistare scorte di viveri e disporre di riserve di denaro in caso di necessità per un periodo di tre mesi. Ma i paesi donatori tradizionali in questo momento hanno bisogno di dedicare i fondi di cui dispongono a risolvere i problemi creati dal virus: “devono affrontare enormi spese per potenziare il loro sistemi sanitari – dice Burbano intervistata dall’agenzia The New Humanitarian – e questo deve avere la priorità. Tutti i paesi devono pensare prima di tutto alla loto risposta sanitaria alla crisi. Assisteremo probabilmente a un aumento della povertà, del numero delle persone malnutrite, affamate e vulnerabili e con questo dovremo misurarci”.