Con la separazione delle carriere si frena l’onnipotenza delle toghe
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La separazione delle carriere approvata alla Camera è il primo passo di una riforma che mira a porre un freno al potere straripante e incontrollato di quelle toghe che confondono l’indipendenza con l’onnipotenza e punta a riequilibrare i rapporti tra i poteri.
Due giorni fa la riforma della giustizia ha fatto un importante passo in avanti con la sua prima approvazione a Montecitorio. Si tratta di una riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere per i giudici, un tema che è stato al centro del dibattito politico e giuridico in Italia per molti anni. L’approvazione della riforma è solo il primo di una serie di passaggi legislativi, in quanto per diventare definitiva dovrà essere sottoposta a una doppia approvazione da parte di entrambe le Camere e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza qualificata, dovrà passare per un referendum popolare. La separazione delle carriere rappresenta un cambiamento significativo nel funzionamento del sistema giudiziario italiano e, anche se la riforma non ha ancora raggiunto la sua fase finale, i primi segnali indicano una strada che potrebbe portare a una giustizia più equilibrata, efficiente e meno politicizzata.
La riforma della giustizia prevede la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, una proposta che risale a diversi anni fa, sostenuta da varie forze politiche e figure istituzionali, tra cui l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L'idea alla base di questa separazione è quella di evitare il sovrapporsi di funzioni che, secondo i critici, avrebbe contribuito a rendere il sistema giudiziario italiano inefficiente, politicizzato e suscettibile di pressioni esterne. Con la riforma, dunque, i magistrati che si occupano delle indagini (pubblici ministeri) non potrebbero più passare alla carriera di giudici, creando una netta distinzione tra chi accusa e chi giudica. In questo modo, si cerca di garantire una maggiore imparzialità e indipendenza dei giudici, riducendo il rischio di conflitti di interesse e di eccessiva concentrazione di potere nelle mani di una stessa persona o di una stessa corrente.
Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha sottolineato che la separazione delle carriere rappresenta una necessità per rendere la giustizia più imparziale e meno influenzata da logiche politiche e correntizie. In un’intervista rilasciata poco dopo la prima approvazione della riforma, Nordio ha dichiarato: «Questa riforma è un passo fondamentale per garantire una giustizia più equa e trasparente. Non possiamo più permettere che le carriere dei magistrati siano appannaggio di correnti politiche e logiche di potere che nulla hanno a che fare con l’equità e la giustizia. La separazione delle carriere è una misura che renderà i giudici più indipendenti e meno vulnerabili a pressioni esterne».
Di parere diametralmente opposto l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), che teme che la separazione delle carriere possa compromettere l'autorevolezza e l’autonomia della magistratura, creando divisioni tra giudici e pubblici ministeri. In una nota ufficiale, l’ANM ha affermato: «La separazione delle carriere non risolve i problemi strutturali della giustizia italiana. Anzi, rischia di crearne di nuovi, aumentando la burocrazia e indebolendo la collaborazione tra magistrati. Una riforma di questo tipo, senza una visione complessiva e riforme parallele, non porta ad un miglioramento reale della giustizia».
Invece l’Avvocatura plaude alla riforma. Mario Scialla, coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense (OCF), ha parlato di «bella giornata per la giustizia italiana» perché la riforma «restituisce centralità al giudice nella sua imparzialità e terzietà» ed è «una riforma soft, che rispetta le esigenze di un sistema giuridico più equilibrato senza stravolgere gli equilibri esistenti». La posizione favorevole dell’Avvocatura evidenzia come la separazione delle carriere non vada a intaccare l'indipendenza della magistratura, ma anzi favorisca una maggiore autonomia e specializzazione di ciascun settore, creando un ambiente più sano e trasparente.
Uno dei temi cruciali sollevati dalla riforma è la lotta contro il correntismo esasperato tra i magistrati. Il correntismo, ovvero il fenomeno per cui i magistrati si associano in "correnti" che spesso hanno una forte componente politica, è stato a lungo un problema per il sistema giudiziario italiano. Queste correnti, infatti, hanno spesso influenzato le carriere dei magistrati e le decisioni giudiziarie, creando un sistema in cui il merito e la competenza passano in secondo piano rispetto alla lealtà politica. La riforma della separazione delle carriere mira anche a superare questo fenomeno, garantendo che i giudici possano esercitare la loro funzione senza essere condizionati da appartenenze politiche o da logiche di potere esterne.
In definitiva, questa riforma mira a porre un freno al potere straripante e incontrollato di quelle toghe che confondono l’indipendenza con l’onnipotenza e punta a riequilibrare i rapporti tra i poteri per garantire un’applicazione delle leggi rapida, trasparente, imparziale. Ma la strada è ancora lunga.