Con Francesco il rovesciamento della sussidiarietà
Da un confronto tra quattro encicliche sociali che hanno affrontato il tema della sussidiarietà e quindi del rapporto fra Stato e corpi intermedi, si ricava che la concezione espressa in Fratelli Tutti è diametralmente opposta a quella proposta da Leone XIII, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Trattando i rapporti tra Stato e corpi sociali intermedi (famiglie e gruppi sociali spontaneamente organizzati nella vita civile) il principio di “sussidiarietà” è uno dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa. Con la nascita degli Stati e delle loro articolazioni politiche, fu la necessità storica a spingere la Chiesa a teorizzare i principi generali di tale dottrina, affermando che lo Stato e le sue articolazioni interne sono “sussidiarie” alle società naturali, ma non le dominano né sostituiscono. Ma la formulazione del principio di sussidiarietà contenuta nella recente lettera enciclica “Fratelli Tutti” è differente rispetto a quella che ne hanno dato altre encicliche sociali precedenti, come appare chiaro dal confronto che proponiamo.
Rerum Novarum. Anche senza che compaia la parola “sussidiarietà”, una prima definizione di questo problema si trova nella Rerum Novarum di Leone XIII (1891), che mise in chiaro la posizione della Chiesa nei confronti delle dottrine socialiste emergenti. Al proposito, la Rerum Novarum metteva in guardia dall’eccessiva ingerenza dello Stato: “È dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo talento nel santuario della famiglia. Certo, se qualche famiglia si trova per avventura in si gravi strettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l'intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale.(...) Qui però deve arrestarsi lo Stato; la natura non gli consente di andare oltre. La patria potestà non può lo Stato né annientarla né assorbirla, poiché nasce dalla sorgente stessa della vita umana.”[11].
Inoltre: “Non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto invece che si lasci all'uno e all'altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti.”[28] Non si nega l’importanza dello Stato, anzi, ma si pongono dei chiari limiti “per natura” al suo intervento, che deve essere limitato a quei settori in cui è strettamente necessario per il bene comune.
Pacem in Terris. Il principio di sussidiarietà compare nella Pacem in Terris di San Giovanni XXIII (1963), che ha uno sguardo aperto al mondo, in questi termini: “Come i rapporti tra individui, famiglie, corpi intermedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunità politiche, nell’interno delle medesime, vanno regolati secondo il principio di sussidiarietà, così nella luce dello stesso principio vanno regolati pure i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunità politiche e i poteri pubblici della comunità mondiale. (...) I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza”.[74]. La sussidiarietà è qui intesa come “subsidium”, aiuto della comunità più ampia rispetto a quelle di minori dimensioni, in questo caso dei poteri mondiali (più avanti la stessa enciclica nomina l’ONU che fu fondato nel 1945) rispetto alla sovranità delle singole comunità politiche.
Centesimus Annus. A cento anni dalla Rerum Novarum, Giovanni Paolo II promulgò l’enciclica Centesimus Annus, in cui la sussidiarietà è così menzionata: “Esiste certo una legittima sfera di autonomia dell'agire economico, nella quale lo Stato non deve entrare. Questo ha il compito di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù. (...) Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.”[15] Più avanti precisa: “Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese.”[48] Pare quasi inutile ricordare che Giovanni Paolo II aveva un’esperienza diretta delle “disfunzioni” e dei “difetti” dello Stato assistenziale!
Fratelli Tutti. Nella recente enciclica Fratelli Tutti del 2020 il principio di sussidiarietà è menzionato in tre punti: “Bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta perché è come la causa finale che ci attira verso la pienezza. Al tempo stesso, bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà. Pertanto, la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa.”[142] Qui papa Francesco esprime la sussidiarietà come il “lievito” che la dimensione locale rappresenterebbe per quella “globale”. Un concetto di sussidiarietà apparentemente volto a valorizzare l’armonia tra locale e globale, ma dove la dimensione locale si riduce a una forma di arricchimento della globalità, la quale riscatterebbe dalla “meschinità casalinga”, concetto molto strano, che non è precisato.
Tale veduta si conferma più avanti: “Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato. Molte volte esse portano avanti sforzi lodevoli pensando al bene comune e alcuni dei loro membri arrivano a compiere gesti davvero eroici, che mostrano di quanta bellezza è ancora capace la nostra umanità.” [175]
Qui la “dimensione concreta” della sussidiarietà è ricondotta alla “partecipazione” delle comunità di livello minore, che sostengono l’azione dello Stato, magari con gesti “davvero eroici”. Non è più lo Stato che fa da sussidiario alla società civile, ma il contrario: la società civile aiuta lo stato a svolgere i suoi compiti, là dove esso non riesce ad intervenire. Infine, si trova menzionata la sussidiarietà nel capitolo 187: “Quello che occorre è che ci siano diversi canali di espressione e di partecipazione sociale. L’educazione è al servizio di questo cammino, affinché ogni essere umano possa diventare artefice del proprio destino. Qui mostra il suo valore il principio di sussidiarietà, inseparabile dal principio di solidarietà. [187] Di nuovo, si invertono le parti e la sussidiarietà è ridotta a un “canale di espressione e partecipazione sociale”, con un richiamo poco chiaro all’educazione, che sarebbe “al servizio di questo cammino”.