Comitato Nazarat, da 10 anni per i cristiani perseguitati
Un Rosario in piazza che si ripete ogni 20 del mese dall’estate 2014, segnata dall’incubo dell’Isis, per sostenere la presenza cristiana in Medio Oriente. “Testimonianza per noi e per gli altri”, dice a La Bussola il responsabile Marco Ferrini.
Un Rosario in piazza che si ripete ininterrottamente ogni mese, dal 20 agosto 2014, per sostenere i cristiani perseguitati: è l’iniziativa Appello all’umano del Comitato Nazarat, sorta a Rimini in quell’estate di dieci anni fa, segnata dall’incubo dello Stato Islamico (Isis), e poi diffusa spontaneamente anche in altre città in Italia e all’estero. Dieci anni dopo, il 20 agosto 2024, ci si ritroverà ancora in piazza Tre Martiri a Rimini (alle 20:30), con il vescovo mons. Nicolò Anselmi. In occasione del decennale il Comitato Nazarat ha ricevuto la benedizione e l’incoraggiamento del Papa, oltre alla gratitudine di chi ha vissuto questo dramma sulla propria pelle, come il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignazio Youssef III Younan, e di padre Bahjat Karakach, francescano, della comunità latina di Aleppo: «È un dono prezioso per noi, che spesso ci sentiamo dimenticati dal mondo», scrive padre Bahjat, evidenziando nella sua lunga lettera di aver sperimentato un’accoglienza e una vicinanza che sono «un vero dono di comunione in Cristo».
Un senso di comunione profonda che si percepisce subito parlando con Marco Ferrini, responsabile del Comitato Nazarat, per il quale «è parte di un’esperienza cristiana viva, aver cura di tutto quello che accade intorno a noi»: ed è questo ad aver spinto lui e altri amici a “prendere a cuore” quanto accadeva molto lontano da noi.
Come nacque nel 2014 la preghiera in piazza del Comitato Nazarat?
Era appena accaduta l’invasione dell’Isis a Mosul il 6 agosto 2014 e una sera a casa mia con un gruppo di amici ci siamo interrogati di fronte a questo disastro, nel tentativo di dare un giudizio su quello che stava accadendo in Iraq, nella Piana di Ninive, e di conseguenza ci siamo chiesti cosa fare. La prima reazione, immediata, è stata dire: preghiamo per questi nostri fratelli perseguitati, perché in questo momento non possiamo fare altro, ma che questa preghiera sia un gesto di testimonianza per noi e verso gli altri. Così ci siamo immediatamente riuniti di nuovo per definire meglio i dettagli e abbiamo deciso di andare a pregare ogni mese in piazza, scegliendo una data puramente convenzionale, il 20 del mese. La cosa bella è che questa iniziativa è nata per spinta di alcuni cattolici ma anche di alcuni amici laici – laici ma non laicisti – e poi è proseguita.
Può spiegare il nome e il simbolo che avete scelto?
Abbiamo usato come simbolo la N araba, nun, che era l’iniziale di nazarat, nazareni, con cui furono contrassegnate le case dei cristiani nella Piana di Ninive per indicare dove vivevano le famiglie seguaci del Nazareno, da tassare, impaurire, sottomettere e in molti casi anche da uccidere.
Molte iniziative si disperdono dopo i primi entusiasmi, perché invece voi andate avanti da dieci anni?
Non lo so, per grazia del Signore, non certamente per le nostre forze. Come si dice? Non nobis: non a noi ma al Tuo nome... (Sal 115,1). So soltanto che è impressionante pensare che per 120 volte (una più una più una...) tutto è avvenuto senza soluzione di continuità e lo si fa con la pioggia, col sole, col freddo, con la nebbia... Papa Francesco parla spesso di “Chiesa in uscita”, e questa è realmente in uscita perché è in un luogo pubblico, è una testimonianza fatta da laici che si impegnano nella recita del Rosario e in tutto il resto. Per noi stessi è affermare la Signoria di Cristo, che tutto può su ognuno di noi. Abbiamo capito che la preghiera è lo strumento più potente del cambiamento della storia.
Come è cambiata la presenza nell’arco di dieci anni?
Ci sono momenti in cui si raggiunge il picco e poi si abbassa, dipende anche molto dal tempo, ma c’è un certo turnover dei partecipanti, per cui alla fine il numero è molto alto e il messaggio arriva comunque a tanta gente. Compreso chi si trova a passare in piazza. Alcuni passano oltre, altri si interrogano, chiedono il motivo, i giovani addirittura chiedono "che cos’è il Rosario" o "cos’è l’Ave Maria": segno della scristianizzazione diffusa nella nostra società, ma questo dimostra anche che quando si pone un fatto, diventa evidente a tutti quelli che passano, credenti e non credenti.
Alla preghiera si affiancano anche altre forme di aiuto nei luoghi di persecuzione?
Sì. Siamo ben consapevoli che il nostro contributo è una goccia nel mare, ma tutte le volte chiediamo a chi è presente di lasciare un’offerta, che rispetto al numero delle persone è sempre generosa. Abbiamo sostenuto varie iniziative in Iraq e in Siria, dove abbiamo un collegamento con i francescani della Custodia di Terra Santa, che sono sia a Damasco che ad Aleppo. Anche il terremoto di Aleppo a febbraio 2023 ci ha portato ad aiutare direttamente queste popolazioni. I francescani si sono trovati, vista l’assenza totale dello Stato, a dar da mangiare a duemila persone, e abbiamo mandato anche uno di noi, che è architetto, per un sopralluogo sulle case distrutte, valutando quelle da abbattere e quelle che si potevano riparare. A Damasco ai tempi della guerra e della persecuzione abbiamo aiutato padre Bahjat (ora ad Aleppo) a realizzare un centro culturale a Damasco, che è diventato poi anche una biblioteca: è singolare perché malgrado la miseria totale il tema della cultura era diventato fondamentale per la ripresa della propria identità e quindi di una nuova consapevolezza e di una nuova speranza per ricostruire la presenza in quel Paese.
Questa iniziativa è anche un promemoria della realtà del martirio e della persecuzione dei cristiani: allora c’era l’Isis, oggi quali sono le minacce?Oggi si sta diffondendo sempre più una sorta di persecuzione in Occidente, particolarmente in Europa, dove è in atto un processo di scristianizzazione e laicizzazione e di attacco alla presenza cristiana viva nel continente europeo. Al tempo stesso quella persecuzione che prima era ben individuabile in Iraq e Siria, ora si sta propagando, per esempio in Pakistan, oppure in vari Paesi africani (Nigeria, Centrafrica, Congo, Madagascar), perché la presenza delle forze islamiste si sta sempre più rafforzando. Basti pensare, in Nigeria, a Boko Haram e ai pastori Fulani, che hanno ucciso migliaia di cristiani, perseguitando i sacerdoti e varie realtà non solo cattoliche ma anche protestanti. Il tema del martirio dei cristiani è sempre un tema vivo. Come ha detto il Papa, oggi ci sono più martiri che nei primi secoli del cristianesimo.
Quando è venuto da noi a Rimini un vescovo siro-cattolico di Mosul ci ha detto: “I miei fedeli hanno perso tutto, ma hanno conservato la loro fede”. Ed è incredibile che questi fratelli, pur soffrendo anche difficoltà economiche oltre alla persecuzione, quando chiediamo di cosa hanno bisogno non ci chiedono aiuto materiale ma le nostre preghiere.
I cattolici aumentano in Asia e Africa, dove sono più perseguitati
L'agenzia Fides, per la Giornata missionaria mondiale, ha pubblicato le statistiche aggiornate sul cattolicesimo nel mondo. In calo in Europa e in parte anche in America, il cattolicesimo cresce (anche nelle vocazioni) soprattutto in Asia e Africa.
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Essere discepoli di Cristo comporta imitare il maestro, perciò non meraviglino le persecuzioni. Il martirio, nelle sue varie forme, è la condizione normale per il cristiano, ma soffrire con Cristo e per Cristo è fonte di beatitudine.
5 anni di Rosari in piazza per i cristiani perseguitati
Il 20 agosto di cinque anni fa, al culmine del terrore dell’Isis, centinaia di fedeli riempivano il centro di Rimini per il primo Rosario organizzato dal Comitato Nazarat. Da allora, nella sola Rimini, sono stati raccolti quasi 50.000 euro che hanno aiutato oltre 200 famiglie cristiane perseguitate in Medio Oriente. Diverse città si sono associate all’iniziativa, che si tiene ogni 20 del mese, usando le “armi” cattoliche della fede, della speranza e della carità.
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