Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico
VIVERE LIBERI

Come il beato Franz riuscì a rimanere fedele alla Verità

Franz Jägerstätter, beatificato nel 2007, sapendo che il nazismo era incompatibile col cattolicesimo, rifiutò il giuramento al Führer, gli assegni familiari e l’indennizzo di Stato. La popolarità di cui godeva si mutò in ostilità, tutti gli si rivoltarono contro, anche il parroco e il vescovo. A sostenerlo furono solo la Bibbia e la moglie, pur sapendo che la fattoria sarebbe andata in malora e che lei e le figlie sarebbero state marchiate per sempre. 

Cultura 21_05_2020 English Español

Hidden Life, «vita nascosta» è il titolo dell’ultimo film  di Terrence Malick, regista di culto talmente perfetto e ricercato da sfornare mediamente un film ogni dieci anni. Pur essendo non credente, questa volta si è voluto cimentare con la figura di Franz Jägerstätter, che la Chiesa cattolica venera come Beato. Come sappiamo si tratta di un martire del nazismo, giustiziato perché aveva rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà a Hitler.

Innanzitutto rimarchiamo la singolarità di un autore hollywoodiano che, anziché fare il miliardesimo film sulla Shoà, si ricorda che il nazismo fece anche altre vittime. È pur sempre un film sul «silenzio di Dio», ma (come acutamente osservato dalla nostra Frigerio) sembra una specie di risposta a Silence di Martin Scorsese: là due gesuiti, sotto pressione nel Giappone del XVII secolo, apostatano; qui un contadino padre di famiglia sceglie di non sottomettersi. E veniamo al protagonista, la cui figura il regista sottovaluta per concentrarsi sul dilemma interiore (così che allo spettatore può rimanere il dubbio se sia un fanatico o un santo).

È austriaco, nato nel borgo contadino di Sankt Radegund nel 1907 da una ragazza madre. Fa il contadino in Baviera e il minatore nella Stiria. Nel 1933 torna al paese e si fa notare per l’allegra scapestrataggine, le risse, le baldorie. Bello, ardente e corteggiato, visto che c’è, mette incinta una servetta. Due anni dopo, l’incontro della sua vita con Franziska, che lo sposa e gli fa mettere la testa a posto. Franziska è tutta preghiera, con lei Franz comincia a leggere la Bibbia tutti i giorni. In breve diventa fervente e si offre come sacrestano in chiesa. Franziska gli dà tre bambine, una dietro l’altra.

Franz è trasfigurato, la scoperta della fede gli dà una gioia mai provata prima, il lavoro nei suoi campi va bene, la famiglia è per lui un paradiso. Ma è troppo bello per durare. Nel 1938 con l’Anschluss l’Austria passa sotto la Germania hitleriana. Franz, che si è informato bene, sa che il nazismo è incompatibile col cattolicesimo e comincia a comportarsi di conseguenza: declina l’offerta di fare il borgomastro, rifiuta gli assegni familiari e perfino l’indennizzo di Stato che gli spetterebbe per i danni di una grandinata. Poco a poco la popolarità di cui gode in paese si muta in sorda ostilità. Gli danno del fanatico, del fissato, del piantagrane che finirà con l’attirare la malevola attenzione del regime su Sankt Radegund.

Anche sua moglie subisce l’ostracismo, perfino le figliolette, con le quali nessun bambino vuole più giocare. Tutti gli si rivoltano contro, anche il parroco gli consiglia di cedere, addirittura il vescovo di Linz. Tutti, tranne sua moglie, colei a cui deve la sua conversione. Franziska è disperata per la situazione, ma pur tra le lacrime sta col marito e lo incoraggia a perseverare in ciò che ritiene giusto. Sa bene che senza di lui la loro fattoria andrà in malora e che lei e le figlie saranno marchiate per sempre come familiari di un traditore. Ma, anche se non capisce del tutto la sua decisione, si schiera con lui. Una moglie così è una enorme grazia: tutta la nostra invidia.

Poi le cose precipitano: la Germania entra in guerra col mondo e Franz viene chiamato alle armi. Lui, che non vuole contribuire alle conquiste di Hitler, si presenta ma, all’ora del giuramento personale al Führer, non ne vuole sapere. Carcere, angherie, interrogatori. Ma non cede. Per non creare un imbarazzante precedente gli offrono il servizio  alternativo nella sanità. Domanda: dovrò giurare fedeltà a Hitler? Risposta: sì. Replica: allora non se ne fa nulla. Lo spediscono a Berlino, per comparire davanti  a un tribunale del Reich come renitente ma anche, ed è peggio, come dissidente. Quelli che lo visitano, e pure il suo avvocato, lo pongono di fronte al ricatto morale: non pensi alle tue bambine? che ti costa fingere di giurare? La pena prevista è la morte, lascerai la tua famiglia alla fame e segnata per sempre; sei sicuro che la tua posizione non derivi da orgoglio che tu confondi con la coerenza alla fede religiosa?

Ma lui, tra le letture quotidiane della Bibbia, ha presente quell’anziano ebreo che rifiuta di mangiare carne di maiale al tempo della persecuzione di Antioco: anche a lui avevano suggerito di far finta per salvarsi la vita, ma lui aveva pensato al cattivo esempio che avrebbe dato ai giovani se avesse ceduto. La pena di morte nel Reich era somministrata tramite ghigliottina, retaggio dell’occupazione napoleonica. Franz Jägerstätter vi mise il collo il 9 agosto 1943 nel quartiere berlinese di  Brandeburgo. È stato beatificato nel 2007. Martirio subìto in odio alla fede. Franz era terziario francescano e aveva perfino fatto il suo bravo servizio militare nell’esercito austriaco. Ma all’ora del referendum sull’unione dell’Austria alla Germania era stato l’unico in tutta Sankt Radegund a votare no. No al nazismo pagano e, poi, no alla guerra che questo aveva scatenato.

Il film di Malick dura tre ore e reca lo stile inconfondibile dell’autore, che porta lo spettatore a chiedersi che cosa induca un giovane la cui vita è completamente felice a giocarsi tutto in nome della fedeltà a un principio. Molte scene sono dedicate al tormento di un credente che, come il biblico Giobbe, è circondato da «consolatori» che lo spronano a cedere, che lo colpevolizzano per la sua caparbietà e per la sua insensibilità nei confronti della moglie e delle figliolette, la cui sorte, per colpa sua, sarebbe stata amara. Nel film compare anche, in un «cameo», il famoso attore tedesco Bruno Ganz recentemente scomparso: interpreta un anziano ufficiale che, unico, sembra comprendere il dilemma di Franz, ma che alla fine lo abbandona, pur a malincuore, alla sua sorte. È un omaggio a quegli uomini dell’esercito tedesco, vecchio stampo, che non avevano alcuna simpatia per Hitler ma che obbedirono alla Patria (anche se questa era finita in mani discutibili).

Molti dialoghi nel film sono rimasti in lingua originale, cosa che ne aumenta il pathos. In quelli tradotti, tuttavia, emergono chicche come questa frase detta a Franz che il regista mette in bocca a un compagno di cella: «Arriveranno tempi oscuri quando gli uomini saranno più intelligenti; non combatteranno la verità, la ignoreranno». Non pensava al nazismo, già oscuro di suo. Pensava al dopo.