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Come avvenne la conversione di sant’Agostino

Dopo essere stato catturato dalle lusinghe del piacere e aver sperimentato la vacuità del manicheismo, Agostino finì a Milano grazie all’appoggio del pagano Simmaco che sperava così di riuscire a contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Ma la Provvidenza aveva altri piani…

Cultura 23_06_2019

Nato a Tagaste (nell’attuale Algeria) nel 354, sant’Agostino ebbe un’educazione cristiana grazie alla madre Monica. Il padre, pagano, decise di inviarlo a Cartagine per favorire la sua preparazione forense e corroborare la sua capacità retorica che già brillava fin dall’adolescenza. Nell’importante città africana Agostino giunse nel 370, ormai già allontanatosi dall’educazione materna, preso e catturato dalle lusinghe del piacere, entusiasta del successo che iniziava a riscuotere. Ivi, Agostino conobbe una ragazza, da cui ebbe un figlio (Adeodato) e con cui convisse per 15 anni.

A Cartagine Agostino iniziò a cogliere i limiti di una preparazione retorica slegata dalla verità, rimase affascinato dalla filosofia e avvinto dall’Hortensius di Cicerone, che lo spronava a ricercare la saggezza.

Nel 373 conobbe il manicheismo, dottrina che risaliva a Mani di Babilonia, che sosteneva la lotta continua tra i due princìpi del bene e del male e negava, al contempo, la libertà dell’uomo attribuendo la responsabilità delle azioni cattive alla forza del male. Agostino promosse questa dottrina con la forza persuasiva delle sue parole e dei suoi scritti, ma rimase sempre solo al livello di uditore, poiché non venne mai iniziato alla setta. Il suo inesausto anelito alla verità non trovava, infatti, conforto nelle parole di Mani. Agostino fu deluso, poi, quando incontrò Fausto, vescovo dei manichei: allora comprese la grande distanza tra la verità e la vuota e saccente retorica di quell’uomo.

A 29 anni Agostino si recò in Italia, prima a Roma e poi a Milano, dove venne inviato grazie all’appoggio del praefectus urbi Simmaco che voleva contrastare la fama sempre più crescente del vescovo Ambrogio. Agostino conobbe così il vescovo di Milano, iniziò ad ascoltare le sue prediche per coglierne i difetti e le aporie, ma nel tempo fu catturato da quell’uomo e dalle sue prediche. Fu la stessa Provvidenza, a detta di Agostino, a indirizzarlo verso Ambrogio, come leggiamo nel V libro delle Confessioni:

La tua mano (di Dio) mi conduceva a lui (Ambrogio) senza che io lo sapessi, per essere condotto, cosciente, da lui a Te. Egli, l’uomo di Dio, mi accolse con bontà paterna: da buon maestro accolse il pellegrino. Presi subito ad amarlo, sulle prime, purtroppo, non come un maestro di quella verità che io non speravo affatto di trovare nella tua Chiesa, ma per la sua bontà verso di me. Ero assiduo ascoltatore delle spiegazioni che teneva al popolo, non con lo scopo con cui avrei dovuto, ma quasi per giudicarne l’eloquenza, se conforme alla fama, […] e pendevo dalle sue labbra, attratto dalle sue parole, ma non interessato, anzi alquanto infastidito dall’argomento. «Lontano dai peccatori è la salvezza», e io ero di quelli. Però andavo avvicinandomi a essa, a poco a poco, senza saperlo.

L’incontro con il vescovo Ambrogio fu l’inizio del cambiamento di un uomo che cercava da anni la verità e che comprese che la verità non è un pensiero, ma una persona: Gesù Cristo. La madre Monica aveva, nel frattempo, raggiunto il figlio a Milano e continuava a pregare per la sua conversione e per la sua felicità.

La circostanza della metànoia (radicale cambiamento e conversione) è da Agostino raccontata nelle Confessioni:

Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: «Prendi e leggi, prendi e leggi». 

Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte.

Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio [sant’Antonio abate, ndr] che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: «Va’, vendi tutte le cose che hai, dalle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi». Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a Te.

Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: «Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze». Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono (Sant’Agostino, Confessiones VII).


L’episodio risale al 386. Agostino aveva trentadue anni. La voce di un bimbo lo aveva esortato ad aprire la Bibbia e a leggere. Il passo su cui era caduto lo sguardo era di san Paolo di Tarso, grande peccatore che divenne poi l’Apostolo delle genti.

Agostino venne battezzato da Ambrogio il Sabato Santo del 387. Nel suo animo rimase la consapevolezza che la verità che lui aveva sempre cercato gli era stata a fianco nella sua vita già dal primo momento:

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con Te. Mi tenevano lontano da Te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di Te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace (Confessioni X, 27,38).


Agostino aveva ben compreso che un uomo è ciò che ama. Se ama la terra, allora sarà terra. Se ama Dio, allora sarà Dio. Nell’incontro con Ambrogio Agostino comprende che Deus caritas est (Dio è carità), caritas in veritate (carità nella verità) e che l’amore è alla radice di ogni bene:

Dilige, et quod vis fac: sive taceas, dilectione taceas; sive clames, dilectione clames; sive emendes, dilectione emendes; sive parcas, dilectione parcas: radix sit intus dilectionis, non potest de ista radice nisi bonum existere.

In traduzione italiana:

Ama, e fa’ ciò che vuoi. Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore; e da questa radice non può derivare se non il bene (Agostino d’Ippona, In litteram Ioannis ad Parthos, discorso VII).

L’anno successivo (388), mentre Agostino era in procinto di imbarcarsi ad Ostia per tornare in Africa, la madre Monica, che tanto aveva pregato per la conversione del figlio, morì. Sarebbe stata più tardi canonizzata: la sua memoria liturgica ricorre il 27 agosto, mentre quella di Agostino il 28 agosto. Per questo Alessandro Manzoni, dopo la conversione, si confessò per la prima volta proprio nel giorno di sant’Agostino.

Tornato a Tagaste, Agostino venne ordinato sacerdote nel 391 e più tardi, nel 395, associato come coadiutore del vescovo di Ippona (Valerio). Fu vescovo di quella città fino alla morte, avvenuta nel 430 a Ippona, assediata dai Vandali di Genserico.