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I DATI PROVITA

Clandestinità e mortalità: le fake news degli abortisti

Pubblichiamo il documento sulle fake news degli abortisti diffuso da ProVita Onlus in occasione della campagna di sensibilizzazione a 40 anni dall'approvazione della legge 194 sull'aborto. Si tratta di un documento importante per comprendere le bugie sulla mortalità e la clandestinità degli aborti che spesso sono portate come scuse da chi sostiene la causa dell'aborto.  

Vita e bioetica 24_05_2018
I camion vela di ProVita

Pubblichiamo il documento sulle fake news degli abortisti diffuso da ProVita Onlus in occasione della campagna di sensibilizzazione a 40 anni dall'approvazione della legge 194 sull'aborto. Si tratta di un documento importante per comprendere le bugie sulla mortalità e la clandestinità degli aborti che spesso sono portate come scuse da chi sostiene la causa dell'aborto. Lo studio integrale con i grafici si trova qui.

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In occasione dei 40 anni dalla legalizzazione dell’aborto in Italia, offriamo una risposta a due delle argomentazioni più frequenti in tema di legalizzazione dell’aborto. La legalizzazione dell’aborto, si dice:

• avrebbe portato alla riduzione del numero totale di aborti.

• avrebbe migliorato la salute materna e ridotto la mortalità materna, in quanto le donne prima ricorrevano all'aborto clandestino, più pericoloso e insicuro.

LEGALIZZAZIONE E NUMERO DI ABORTI

È falso che la legalizzazione dell’aborto riduce il numero di aborti. Questo mito è generato da:

  • l’esagerazione del numero di aborti clandestini prima della legalizzazione
  • dalla mancata considerazione di altri fattori che possono diminuire il numero totale di aborti chirurgici anni dopo la legalizzazione.

In realtà, la legalizzazione dell’aborto di per sé provoca l’aumento notevole e lineare del numero di aborti per un periodo di tempo lungo. Ciò del resto è totalmente logico.

Se si legalizza l’aborto:

• Si facilita “materialmente” l’accesso all’aborto

• Cadono molte barriere psicologiche, sociali e legali per ricorrere all’aborto.

• Si normalizza il fenomeno nella coscienza sociale.

Tutto ciò porta logicamente ad un aumento del numero di aborti: sia del numero di donne che decidono di ricorrere all’aborto, che del numero medio di aborti praticati per donna. Le cifre sugli aborti clandestini in Italia fornite prima della legalizzazione erano incredibilmente gonfiate. Nel 1971 il Psi presentò una proposta per l’introduzione dell’aborto legale affermando che vi erano tra i 2 e i 3 milioni di aborti annui, e che circa 20.000 donne all’anno morivano a causa di questi interventi. Nel libro Da Erode a Pilato (Marsilio, 1973), di Giuliana Beltrami e Sergio Veneziani, si sostiene che vi sono donne “che hanno abortito già dieci, venti volte”, in modo clandestino e che vi siano nientemeno che “quattro aborti per ogni nascita”. Tali cifre vennero riprese come attendibili da molti giornali (“Espresso”, 26/4/ 1970: tra gli 800.000 e i 3 milioni di aborti clandestini l’anno; “Corriere della sera” del 10/9/’76: da 1,5 a 3 milioni di aborti clandestini l’anno).

L’unico studio serio in quegli anni fu quello dei prof. Bernardo Colombo, Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, demografi e statistici dell’Università di Padova, intitolato La diffusione degli aborti illegali in Italia (1977), con il quale si mostrò la totale infondatezza di tali cifre. Del resto, se l’anno successivo alla legalizzazione gli aborti (“accessibili, legali e sicuri”) furono 187 mila, è realistico ritenere che gli aborti clandestini annuali precedenti – quando si presume fossero più pericolosi, meno accessibili e vietati – fossero solo una frazione di quel numero. L’esagerazione sui numeri degli aborti clandestini non riguarda solo l’Italia: gli studi epidemiologici (si veda ad esempio Koch, Aracena et alii, International Journal of Women’s Health, 2012) mostrano che le cifre fornite dai media, dagli attivisti, ma anche da studi basati su questionari (secondo le metodologie – tra gli altri – del Guttmacher Institute), sugli aborti clandestini in diversi paesi del Sudamerica, sono spesso dieci, venti, e fino a trenta volte più grandi che il numero di aborti clandestini rilevabili in base alle migliori approssimazioni.

Dopo la legalizzazione dell’aborto in uno Stato, l’effetto normale è l’aumento forte e costante del numero di aborti per lungo tempo. Qualche esempio. Nel Distretto della Città del Messico si legalizzò l’aborto nel 2007. Da 4729 aborti in quell’anno si arrivò a circa 12000 nel 2008, e a più di 20200 nel 2011. Più vicina a noi, la Spagna: la legalizzazione dell’aborto avvenne nel 1985; meno di 17 mila aborti nell’87 e 115 mila nel 2008, con una crescita praticamente lineare.

Di solito si osserva una riduzione solo dopo 15 o 20 anni, quando la fertilità è diminuita di molto. Da questo punto di vista l’Italia costituisce una parziale eccezione. La legalizzazione dell’aborto ne ha comunque aumentato il numero (crescendo in modo lineare dal ’78 al ’82) tuttavia l’effetto è stato molto più breve del normale. Le interruzioni di gravidanza sono cresciute notevolmente già subito dopo il 1978: 68.000 aborti nel 1978; 187.752 nel 1979; 220.263 nel 1980, 224.377 nel 1981; 234.377 nel 1982. Fattori diversi – evidentemente indipendenti dalla legalizzazione, considerato quanto appena esposto – hanno contribuito alla diminuzione del numero di aborti dal 1983 in poi. Tra i tanti fattori, in Italia probabilmente l’effetto della riduzione della fertilità è stato più veloce che altrove: l’Italia è uno dei paesi con fertilità più bassa al mondo. Il periodo in cui la diminuzione della fertilità è più forte va da qualche anno prima della legalizzazione (1974) fino alla metà degli anni ’80.

Si può ipotizzare che la tendenza al rialzo del numero di aborti cominciata nell’anno della legalizzazione e finita poi nel 1982 sia stata rapidamente neutralizzata dal crollo della fertilità. Tuttavia, ci sono certamente altri fattori che hanno influito non solo sul numero di aborti in senso assoluto ma anche sulla riduzione dei tassi di abortività: probabilmente una maggiore consapevolezza e conoscenza della vita prenatale, ma anche la diffusione delle varie “pillole”. Le statistiche solitamente si riferiscono agli aborti chirurgici mentre non viene preso in considerazione l’effetto delle pillole anti-nidatorie e micro-abortive, la cui diffusione sempre più massiccia ha caratterizzato gli ultimi decenni. Di norma, invece, l’aumento nel numero di aborti si manifesta per molto più tempo dopo la legalizzazione. Aggiungiamo un'altra osservazione importante: la legalizzazione operata dalla 194 non ha nemmeno portato alla scomparsa degli aborti clandestini in Italia come fenomeno socialmente rilevante. Vengono stimati tutt’ora, secondo l’Istituto superiore della sanità (dati del 2012), circa 15 mila – 20 mila aborti clandestini l’anno… perciò non sappiamo neppure se o di quanto gli aborti clandestini siano diminuiti dagli anni precedenti la legalizzazione al giorno d’oggi! (Senza nemmeno considerare quindi gli aborti legali che si sono aggiunti per effetto della L 194).

Sembra di poter affermare invece che gli aborti clandestini si riducano più efficacemente non con la legalizzazione ma con i programmi di assistenza alle mamme, promossi soprattutto dalle associazioni e dalla società civile. In Cile, ad esempio, paese con una legge molto restrittiva sull’aborto, l’effettività di questi programmi di aiuto rispetto alla diminuzione dell’intenzione di aborto clandestino è dimostrata essere altissima: circa dell’86%, persino nei casi più drammatici, in cui la gravidanza è risultato di uno stupro. È la promozione di questi programmi a livello sociale quindi il miglior strumento di prevenzione per gli aborti clandestini, che potrebbero essere ridotti di oltre l’85%.

LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO E SALUTE MATERNA

È falso che la legalizzazione dell’aborto abbia migliorato la salute materna e ridotto la mortalità materna. Questo mito è generato da due ragionamenti semplicistici:

  • tutte (o quasi) le donne che ricorrono all’aborto legale, ricorrerebbero anche all’aborto clandestino, più insicuro.
  • i paesi dove l’aborto è legale (tendenzialmente occidentali e più ricchi) avrebbero una minore mortalità materna rispetto ai paesi con leggi restrittive (tendenzialmente più poveri).

Il primo ragionamento è falso, come mostrato sopra: sono molte di meno le donne disposte a ricorrere all’aborto illegale, e quelle che ricorrono all’aborto legale, per effetto della legalizzazione, sono via via più numerose negli anni successivi alla legalizzazione, se altri fattori non entrano in gioco per invertire la tendenza. Il secondo ragionamento effettua un paragone errato tra paesi che hanno situazioni sociali molto diverse. In realtà la mortalità materna dipende ampiamente da altri fattori, come il livello di assistenza medica generale e la sua diffusione sul territorio, il livello di istruzione, il livello di povertà, l’accesso all’acqua potabile e così via. A parità di queste condizioni, la legalizzazione dell’aborto non apporta nessun miglioramento della mortalità materna.

Sono stati realizzati due c.d. “esperimenti naturali” sul rapporto tra la legalizzazione dell’aborto e la mortalità materna. Sono i primi studi che hanno valutato l’effetto di un cambiamento di legislazione in tema di aborto su un lungo periodo di tempo, controllando molteplici fattori concorrenti. Il primo è uno studio pubblicato sulla rivista americana PlosOne (2012) sulla situazione in Cile, paese dove vige un sostanziale divieto di aborto dal 1989. In Cile vi è stata una diminuzione del 94% della mortalità materna dal 1957 al 2007, e nel 2008 il Cile era il secondo (migliore) paese per livello di salute materna nel continente americano. Dopo la proibizione dell’aborto nel 1989, la mortalità materna continuò a diminuire rapidamente. La modifica legislativa del 1989 non ebbe effetti statisticamente rilevabili sulla curva della salute e mortalità materna. Attualmente la morte per aborto (anche clandestino) in Cile è un evento rarissimo. Il Cile ha meno morti per aborto – ad esempio – che la Spagna, paese con una legislazione sull’aborto relativamente molto permissiva.

Anzi, negli ultimi anni, in Cile anche gli aborti clandestini sono diminuiti (circa del 33% dal 2001 al 2011 secondo le migliori approssimazioni). Il secondo “esperimento naturale” è stato pubblicato sul British Medical Journal (2015): riguarda la relazione tra mortalità materna e le leggi sull’aborto nei diversi Stati del Messico. Si osservò meno mortalità materna in Stati con leggi meno permissive. Questi Stati tuttavia avevano anche migliori parametri rispetto all’istruzione, assistenza sanitaria, ecc. In realtà le leggi sull’aborto in sé non mostrarono una causalità significativa rispetto alla mortalità (né in positivo né in negativo). Esistono anche casi in cui un aumento della mortalità materna è associata all’avvenuta legalizzazione dell’aborto. In Guyana, quando si legalizzò l’aborto (1995) la mortalità materna aumentò.

Fuori dal Sudamerica, un paese occidentale come l’Irlanda ha notoriamente una bassa mortalità e buona salute materna. Uno studio comparativo del 2013 pubblicato sul Journal of American Physicians and Surgeons mette in rapporto la mortalità materna e la salute neonatale in Irlanda (dove l’aborto è sostanzialmente proibito) con quelle dell’Inghilterra (aborto ampiamente permesso). Lo studio mostra una migliore salute neonatale e materna in Irlanda (mortalità materna 3/100.000) che in Inghilterra (6/100.000), nel decennio 2003 – 2013. Un discorso simile vale anche per la Polonia, tra i migliori paesi al mondo per tassi di mortalità materna eppure tra i più restrittivi riguardo all’aborto.

Secondo i dati dell’OMS riferiti all’anno 2015, il tasso di mortalità materna in Polonia è il più basso al mondo, stimato a 3/100.000, insieme ai tassi riscontrati in Finlandia, Islanda e Grecia. (I dati sono reperibili qui). Aggiungiamo che, se il divieto o la legalizzazione dell’aborto non sembrano avere di per sé un effetto sulla mortalità materna, questo è vero quando si considera la mortalità direttamente causata da complicazioni della gravidanza, del parto o dell’aborto (di solito entro 48 ore). Se invece accettiamo una definizione più comprensiva di mortalità materna e misuriamo la mortalità fino a un anno dopo il termine della gravidanza, o anche dopo dieci anni, allora i più recenti studi finlandesi (2014 e 2016, quest’ultimo su An International Journal of Obstetrics and Gynaecology) e danesi (2012, European Journal of Public Health), basati su registri nazionali, mostrano che l’aborto (legale, in queste ipotesi) è associato a maggiore mortalità per cause indirette e che portare a termine la gravidanza ha un effetto protettivo rispetto ad alcuni fattori di mortalità (ad esempio rispetto al rischio di suicidio).

In conclusione.

Ricordiamo infine che per valutare in modo completo le relazioni tra tassi di mortalità e legalizzazione/divieto di aborto bisognerebbe considerare la “mortalità” a 360°… cioè rispetto a tutti gli esseri umani coinvolti nell’aborto. In questa ipotesi il bilancio della legalizzazione è ancora più impietoso: con l’aborto muore comunque e sempre almeno un essere umano (il figlio o la figlia della madre). La legalizzazione consente tutela e moltiplica questa pratica al 100% mortale.