Cina, uiguri rieducati in massa all'ateismo
In Cina, a quanto sembra, è in corso la più massiccia campagna di rieducazione all’ateismo dai tempi di Mao Zedong. A farne le spese, in questi ultimi quattro anni sono soprattutto gli uiguri, minoranza etnica di religione musulmana. La prossima volta toccherà anche ai cristiani?
In Cina, a quanto sembra, è in corso la più massiccia campagna di rieducazione all’ateismo dai tempi di Mao Zedong. A farne le spese, in questi ultimi quattro anni sono soprattutto gli uiguri, minoranza etnica di religione musulmana. La prossima volta toccherà anche ai cristiani?
Un rapporto presentato da esperti e funzionari statunitensi alle Nazioni Unite stima che in circa 1300 campi di rieducazione siano state internate centinaia di migliaia di persone di etnia uigura e di religione musulmana, fino a 1 milione secondo le stime peggiori. Vuol dire che il 7% della popolazione della grande regione occidentale del Xinjiang è internata. A giudicare dalle foto satellitari allegate al rapporto, le dimensioni dei campi sono state più che raddoppiate. Il rapporto è stato presentato a Ginevra, il 10 agosto scorso, al Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali, che si riunisce ogni quattro anni. Della persecuzione degli uiguri avevamo parlato anche su queste colonne: gli Stati Uniti sono in prima fila nel cercare di far conoscere al mondo la loro tragedia e uno dei difensori più attivi è il senatore cattolico Marco Rubio. L’esperto di diritto cinese Jerome Cohen, dopo la pubblicazione del rapporto ha dichiarato che ci troviamo di fronte alla più grande campagna di internamento di massa nella storia cinese degli ultimi 60 anni, dai tempi della purga maoista contro gli “estremisti di destra” (avvenuta dopo la sua vittoria nella guerra civile). Un giornalista del Wall Street Journal riporta che sull’ingresso di uno di questi campi di internamento, a Turpan, si legge la scritta “Prova la gentilezza del Partito, obbedisci alla parola del Partito, segui la guida del Partito”. E secondo gli ex internati, quelli che hanno avuto il coraggio di parlare, al loro interno avviene un vero e proprio processo di lavaggio del cervello. Una fabbrica di ateismo, in cui il pensiero dell’internato viene cambiato a forza di torture psicologiche, per fargli perdere la fede in Dio.
Questa campagna di rieducazione di massa, a quanto risulta, è iniziata nel 2014. Solo quest’anno sta emergendo anche all’estero, perché parlarne, per ex internati e loro cittadini è molto pericoloso. Ad esempio Abdurehim Gheni, un attivista in esilio ad Amsterdam, ha ricevuto telefonate preoccupate dalla sua famiglia (che è ancora in Cina), perché ogni volta che parla, le attenzioni della polizia sui parenti crescono. Suoi contatti locali, nella città di Aksu, gli hanno poi riferito che uno dei suoi fratelli è stato internato, poi non ha più avuto notizie dei suoi parenti. I testimoni che hanno avuto il coraggio di contattare la stampa estera, parlano di un “buco nero”: chi finisce nel nuovo arcipelago dei campi sparisce. Quando riemerge è cambiato per sempre, spesso muore poco dopo. Il numero dei morti è ancora sconosciuto. Le autorità cinesi monitorano attentamente anche i cittadini dello Xinjiang che non sono internati. I passaporti di tutti i cittadini sono stati confiscati. Le onnipresenti telecamere sono dotate di software per il riconoscimento facciale, ogni possessore di auto deve poter essere geolocalizzato e con il pretesto di un generale screening sanitario, le autorità locali stanno costruendo un database del Dna di tutti i cittadini. Gli attivisti temono che si tratti di un primo passo per espiantare gli organi: pratica teoricamente vietata (ma solo negli ultimi anni), che non si sa quanto sia ancora diffusa in Cina.
Ufficialmente la Cina nega tutto. La delegazione presente a Ginevra ha contestato i fatti esposti dal rapporto, il 13 agosto scorso. Secondo la contro-accusa cinese, sono tutte calunnie, i campi sono solo “scuole di avviamento professionale, dedicate al reinserimento nella società di cittadini condannati per piccoli reati”. La stima che parla di 1 milione di internati sarebbe “totalmente infondata”, ma le autorità cinesi non hanno fornito alcuna cifra alternativa. Hu Lianhe, del Fronte Unito del Lavoro, ha difeso anche gli altri provvedimenti sotto accusa. La confisca dei passaporti? “Per prevenire l’ingresso di terroristi ed estremisti stranieri e l’uscita di terroristi ed estremisti locali”. Fra gli uiguri potrebbero essere partiti 5.000 volontari per l’Isis. Gli uiguri sono comunque 8 milioni e mezzo e sono monitorati tutti, dal primo all’ultimo.
Dalle testimonianze raccolte nell’inchiesta del Wall Street Journal, emerge che l’obiettivo primario è la rieducazione all’ateismo, più che la lotta al terrorismo. Un ex internato che si fa chiamare “Ablikim”, di 22 anni, racconta i metodi: sveglia all’alba, marcia con canzoni patriottiche che esaltano il Partito Comunista “Senza il Partito non c’è alcuna Cina”, educazione contro la religione “Ci dicono che non esiste alcuna religione, ci chiedono perché crediamo in Dio, perché non c’è alcun Dio”. Nelle sessioni di educazione politica, gli internati devono studiare i documenti del Partito Comunista e assistere ai discorsi del presidente Xi Jinping. Nell’arco della giornata è vietata la preghiera. Loro, musulmani, anche se da internati lamentano la mancanza di cibo sufficiente, talvolta vengono però obbligati a mangiare carne di maiale.
Oggi tocca agli uiguri musulmani, appunto. E un domani?