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DOVE VA LA CHIESA

Ci sta a cuore la fede o la politica?

La confusione nella Chiesa è ben lungi dall'essere corretta. Due casi emblematici: il dibattito sulla pena di morte e la prevista beatificazione del vescovo argentino Angelelli. Sembra che in certe tendenze abbia la meglio la voglia di allinearsi al pensiero comune.

Editoriali 08_08_2018
Monsignor Luigi Negri

Ci sono eventi recenti della vita della Chiesa che danno la sensazione che la confusione sia ben lungi dall’essere dominata o corretta. Cito due fatti: il primo riguarda la grande enfasi con cui si parla del superamento della condanna alla pena di morte che ha trovato registrazione nel Catechismo.

In realtà nel suo magistero la Chiesa non ha mai fatto una scelta per la pena di morte né per il contrario. Nel suo dialogo con la società la Chiesa ha preso atto della struttura e dei principi che governavano di volta in volta la vita sociale. Certamente non si è distanziata dall'affermazione - pratica più che teorica - che la società poteva difendere la propria identità e il suo benessere anche sopprimendo la vita di coloro che avevano gravemente offeso la vita sociale e non garantivano che non l'avrebbero ripetuto. Questo è il punto.

Per questo non si riesce a comprendere la necessità di fare un'affermazione di carattere dogmatico per dire che la pena di morte è sempre inammissibile. C'è già tutto un orientamento delle autorità civili di gran parte degli Stati che, soprattutto per le pressioni di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno avviato dei processi che portano al rifiuto della pena di morte. Nessuno si permette di contestare le iniziative che il Papa può prendere in assoluta libertà e autonomia, ma certo si fatica a vedere le condizioni oggettive che rendono questo gesto necessario.

Un secondo fatto emblematico riguarda la causa di beatificazione del vescovo argentino Enrique Angelelli (clicca qui), su cui il mondo cattolico argentino si era sempre diviso. La maggior parte non riconosce a questo vescovo il merito di una grande, significativa e continuativa difesa della fede, e nutre più di un dubbio sul fatto che la sua morte, avvenuta per un incidente stradale, fosse in realtà una morte procurata da chi voleva eliminare un coraggioso protagonista della vita ecclesiale. Forse le cose sono molto più semplici se è vero che la maggior parte del mondo ecclesiale argentino ritiene che si sia trattato veramente di un incidente stradale nel quale l'odium fidei è difficilmente rintracciabile. Dicono alcuni analisti argentini che la proclamazione insistente e continuativa della fede – condizione necessaria perché ci possa essere un odium fidei - non sembra essere stata una caratteristica del vescovo in questione.

Ma questo caso fa nascere una domanda, ovvero se avvenimenti importanti come la beatificazione e la canonizzazione nella quale la Chiesa esprime il massimo della sua autorevolezza, rispondano a preoccupazioni di difesa e di promozione della fede oppure ad altri criteri più politici e ideologici. E questa preoccupazione si identifica con le ragioni di un disagio più ampio che tanti cattolici sentono in questo momento nella Chiesa.  

Il problema che non può mai essere aggirato e su cui si deve esercitare la preoccupazione costante e inderogabile della Chiesa è se viene custodita la fede. Se la fede viene custodita da ogni attacco, anche interno; se viene difesa la vita di carità del popolo cristiano. Se, in sostanza, la Chiesa ama e difende la fede più che se stessa. Purtroppo in tanti atteggiamenti di ecclesiastici sembra che l’orizzonte non sia occupato dalla preoccupazione per la fede ma dal desiderio di allinearsi con la mentalità comune.

Certamente all'inizio di questo pontificato è stata denunciata coraggiosamente l’imponenza del pensiero unico dominante, ma molte, troppe, delle iniziative della Chiesa di oggi si inseriscono senza colpo ferire nel pensiero unico dominante. E questo è certamente un fattore di preoccupazione.

* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio