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IL VESCOVO GAMBIZZATO IN SUD SUDAN

Christian Carlassare vittima della guerra tribale

Monsignor Carlassare, nuovo vescovo di Rumbek, è stato gambizzato. Alla base dell'attacco c'è un tentativo di intimidazione. È l'etnia maggioritaria Dinka che non vuole un vescovo straniero che ha lavorato assieme all'etnia Nuer. Le due etnie sono in guerra dal 2013, nonostante l'iniziativa di pace dell'arcivescovo Welby e Papa Francesco. 

Libertà religiosa 28_04_2021
Sud Sudan, l'iniziativa di pace di Papa Francesco

Migliorano le condizioni di monsignor Christian Carlassare, il missionario comboniano ferito con più colpi di arma da fuoco alle gambe nella notte del 25 aprile da due individui introdottisi nella sua abitazione, a Rumbek, nel Sudan del Sud. Adesso si trova in un ospedale di Nairobi, capitale del Kenya, dove è stato trasportato per ricevere le cure necessarie.

Il suo racconto di come si è svolta l’aggressione conferma l’ipotesi subito formulata da chi segue le vicende del Paese che si sia trattato di un avvertimento, di un tentativo di spaventarlo e indurlo a rifiutare di assumere la guida della diocesi di Rumbek. L’agenzia Fides ne riporta le dichiarazioni rilasciate a una emittente locale, “Eye Radio”: “ho provato a parlare con loro – ricorda monsignor Carlassare – ma hanno armato la pistola e mi hanno sparato alla gamba. Poi sono fuggiti. Non erano qui per rubare o uccidermi perché mi avrebbero ucciso facilmente”. Il ministro sud sudanese dell’informazione William Kocji ha confermato la dinamica dell’aggressione: “sono andati direttamente alla porta, hanno bussato e hanno iniziato a sparare alla porta finché non si è aperta. Poi lo hanno raggiunto, gli hanno ordinato di sedersi e gli hanno sparato alle gambe”.

Un confratello di monsignor Carlassare, che ha parlato a condizione di mantenere l’anonimato, dà una spiegazione che Fides ha pubblicato: “non hanno rubato nulla – ribadisce – e ciò significa che lo scopo della visita non era la rapina. Crediamo volessero spaventarlo affinché se ne vada da Rumbek. Siamo convinti che vi siano gruppi che non vogliono un Vescovo straniero, ma un Dinka, l’etnia maggioritaria nella zona. Non sappiamo se ci sono membri della Chiesa complici di questa azione o se ci sono persone legate al potere locale. Quello che è certo è che l’alto livello di tribalismo presente nelle contee meridionali del Sud Sudan vede in un Vescovo straniero una minaccia”.

È uno straniero e, peggio ancora, è legato a un’altra etnia, sostiene padre Filippo Ivardi Ganapini, direttore della rivista Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani, in un articolo pubblicato il 26 aprile: “probabilmente a qualcuno non andava giù che un giovane venuto da lontano e che avesse lavorato per quindici anni con l’altro gruppo etnico preponderante nel paese, i Nuer, fosse stato scelto proprio per guidare la Diocesi”.

Può sembrare inverosimile, questa spiegazione, se non si conosce la storia del Sudan del Sud, segnato dal tribalismo e in particolare dall’avversione, dall’antagonismo tra le sue maggiori etnie: i Dinka e i Nuer, appunto, che, per assicurarsi il governo del paese, hanno combattuto una guerra feroce, al limite del genocidio, che ancora non è terminata.

Il Sudan del Sud è il più giovane Stato del mondo. Come qualcuno ricorderà, è diventato indipendente nel 2011. Per decenni le regioni meridionali del Sudan, l’attuale Sudan del Sud, popolate da etnie africane molte della quali di religione cristiana, avevano subito le politiche di islamizzazione imposte dalla leadership arabo islamica concentrata nel nord del Paese. A partire dagli anni 80 del secolo scorso, la rivolta armata guidata dai Dinka aveva peggiorato la situazione per la popolazione civile, decimata da fame, violenze, malattie finché nel 2011, un referendum popolare, concordato con la mediazione delle Nazioni Unite, aveva deciso la secessione. Il nuovo Stato, in macerie, privo di infrastrutture, tutto da costruire aveva però dalla sua il fatto di aver acquisito tre quarti dei giacimenti di petrolio del Sudan: poteva quindi contare su risorse immense, oltre che sulla disponibilità praticamente illimitata di prestiti e aiuti a titolo di dono da parte della comunità internazionale.

Ma a due anni soltanto dall’indipendenza, nell’estate del 2013, il sicuro futuro di pace e progresso è sfumato quando i Dinka, che già detenevano la maggioranza delle cariche politiche e amministrative, hanno cercato di accentrare ulteriormente il potere nelle loro mani, provocando la reazione dei Nuer. Lo scontro politico è rapidamente degenerato in conflitto armato che ha poi coinvolto altre etnie minoritarie. Da tre anni la mediazione internazionale ha ottenuto una sorta di accordo di pace che ancora attende di essere effettivo. Proprio in questi giorni le Nazioni Unite hanno dichiarato che a causa della lentezza con cui l’accordo di pace viene applicato c’è il rischio che riesploda un conflitto su larga scala. Gli scontri armati tra i sostenitori del presidente Dinka, Salva Kiir, e del vicepresidente Nuer, Riek Machar, sono frequenti e la tensione resta alta soprattutto in alcune regioni del paese (confidando nella loro volontà di pace, è davanti a loro che Papa Francesco si è inginocchiato per baciarne i piedi nel 2019, al termine di un ritiro spirituale ideato dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby).

Questo è il delicato contesto in cui si inserisce l’aggressione a monsignor Carlassare. Nell’accettare di diventare vescovo di Rumbek “sento una grande responsabilità – aveva dichiarato consapevole delle difficoltà alle quali andava incontro – ma la gente meritava il mio sì. Dovrò riuscire a far capire quanto tengo a loro, anche se le mie origini sono straniere. Inoltre, dovrò spiegare che non è la mia Chiesa, ma la loro. E con 'loro' intendo tutti. A Rumbek, la maggioranza della popolazione è di etnia Dinka, poi c’è una minoranza nuer, e poi ci sono vari clan. È importante ribadire la dignità di ogni persona perché la tendenza è alla discriminazione delle minoranze”. Alla redazione di Nigrizia aveva confidato: “sogno che i giovani del Sud Sudan possano realizzare i loro sogni, che non siano costretti a darsi alle armi o a lasciare il paese, che possano studiare e trovare un lavoro che costruisca il futuro e dia stabilità al paese. Sogno che le giovani ragazze del Sud Sudan possano emanciparsi e non essere totalmente dipendenti dai loro capi famiglia e che possano fare le proprie scelte in libertà”.

Come reagiranno gli abitanti di Rumbek all’aggressione e, tra un mese, all’insediamento di monsignor Carlassare dirà se il suo sogno ha qualche possibilità di realizzarsi. “Ora si attende una grande risposta popolare nonviolenta dei fedeli – auspica padre Ivardi Ganapini – nel segno dell’autenticità del Vangelo e dell’unità della Chiesa, a dimostrazione del sostegno e dell’affetto verso il loro pastore con l’ ‘odore delle pecore’ come lo vuole Papa Francesco”.