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IL CASO

Chiesa italiana, la sindrome di Giuda

C'è sconcerto per le lettere che denunciano malaffare in Vaticano.
La miseria umana non scandalizzi; però va posto rimedio subito.

Editoriali 30_01_2012
mons. Carlo Maria Viganò
In questi giorni in molti avranno provato sconcerto nel leggere documenti che parlano di furti e corruzione in Vaticano sullo sfondo di una battaglia tra vescovi per controllare posizioni di potere. Parliamo soprattutto di due lettere inviate nei primi mesi del 2011 al segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, da monsignor Carlo Maria Viganò, allora segretario del Governatorato della Città del Vaticano, in cui vengono forniti dati e nomi di personaggi vaticani responsabili di un malaffare che ha provocato alle finanze vaticane ammanchi per decine e decine di milioni di euro. Monsignor Viganò è stato poi “promosso” a nunzio apostolico a Washington.

Il quadro che emerge – tra furti, tendenze sessuali varie e losche trame – è senza dubbio desolante: se si considera che in meno di un anno – dal 2009 al 2010 – monsignor Viganò ha portato le finanze del Governatorato da un passivo di 9 milioni di euro a un attivo di circa 30 milioni, si può avere l’idea di quanto denaro è finito in precedenza nelle tasche di personaggi che certamente non avevano a cuore la missione universale della Chiesa.

Eppure, per quanto sia dolorosa, questa situazione non deve scandalizzare: il limite, la miseria umana, il peccato sono esperienza condivisa di tutti gli uomini, anche se occupano importanti posizioni nella Chiesa. Non solo, sappiamo che è attraverso la nostra debolezza che si manifesta la potenza di Cristo, come avverte San Paolo (2 Cor 12, 7-10). Il nostro limite, dunque, non è un ostacolo ma lo strumento necessario perché risalti la potenza di Dio.

Questo non deve essere in alcun modo inteso come un tentativo di giustificare il furto e l’avidità di potere, ma è uno sguardo realistico sulla realtà della Chiesa. Giustamente tempo fa, a un giornalista che gli chiedeva di queste cose, il cardinale Attilio Nicora ricordava che addirittura il primo “economo” della Chiesa, era un ladro, come dice l’evangelista Giovanni a proposito di Giuda Iscariota: «”Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12, 5-6). Questo peraltro dovrebbe mettere in guardia da tanti moralizzatori che parlano in nome dei poveri.

Detto questo, però, è chiaro che non si può restare indifferenti e tirare avanti come se niente fosse o, peggio, con una sorta di fatalismo. Ha certo ragione il portavoce vaticano padre Federico Lombardi quando dice che il programma tv che si è occupato della vicenda ha messo in rilievo soltanto la parte negativa dell’amministrazione vaticana, dandone così un’immagine fuorviante; ma allo stesso tempo non si può sminuire la gravità di quanto accaduto. E bisogna porvi rimedio, perché i milioni di euro “spariti” sono tutte risorse tolte alla missione evangelizzatrice della Chiesa e non è tollerabile che questo andazzo continui come se niente fosse.

Padre Lombardi ha affermato che la "promozione" di monsignor Viganò – le cui lettere hanno provocato immediatamente una inchiesta interna, già conclusa – non ha fermato l’opera di risanamento del Governatorato e questo è certamente un dato positivo.

Ma il problema non è soltanto economico: è evidente che sono sempre attuali le tensioni profonde tra diverse “cordate” in Vaticano, di cui anche l’episodio della pubblicazione delle lettere di monsignor Viganò è un esempio. E sono un ostacolo oggettivo per il Papa, anche lui vittima in questi anni di incidenti causati dal protagonismo di alcuni collaboratori, più attenti alle loro carriere che non alla missione della Chiesa.

Qual è la strada per uscire da questa situazione? Difficile dirlo, e non tocca a noi, ma un brano letto in questi giorni offre uno spunto. E’ tratto dal libro di Jan Dobraczynski, L’invincibile armata, ambientato alla fine del 1500 quando il re di Spagna Filippo II si appresta a lanciare l’attacco contro l’Inghilterra. Un giovane gesuita, incaricato di una missione difficile che lo angustia, a un certo punto ricorda ciò che il suo venerando insegnante aveva detto una volta e che gli era rimasto particolarmente impresso: “Il cattolicesimo oggi deve lottare così disperatamente contro le eresie, perché ha troppo pochi santi. I santi, soltanto i santi sono decisivi per la vittoria!”.