Chi muore in Cristo non conoscerà morte
In un dipinto di El Greco, La sepoltura del conte di Orgaz, c'è tutto il senso della festività odierna: la morte ha il respiro grande di chi possiede già la garanzia della Resurrezione.
Lutero, il 31 ottobre del 1517, affisse a Wittenberg le sue 95 tesi mediante le quali, fra le altre verità della fede, colpiva mortalmente il culto cattolico dei Santi. Nel Medioevo si riteneva che il 1 novembre tutti i Santi salissero in Paradiso per rendere omaggio alla Trinità. Così fin d’allora la Chiesa invitava i bambini a vestire i panni del proprio Santo Patrono e a recarsi processionalmente in Cattedrale per ricevere la Benedizione del Vescovo. Non è un caso che proprio il 31 di ottobre, dunque, prese piede quella festa (Halloween) che, celebrando un certo culto dei morti, vorrebbe vanificare la fede cristiana nel destino ultimo dell’uomo che i Santi comprovano e significano.
La morte, in realtà, è da sempre celebrata nella Chiesa, ma con il respiro grande di chi possiede già la garanzia della risurrezione. Fra le pale che testimoniano questa fede ce n’è una, forse poco nota, ma straordinaria per il suo significato simbolico. Si tratta di un dipinto di El Greco dal titolo El entierra del Conde de Orgaz, ovvero La sepoltura del Conte di Orgaz. La tela è divisa in due settori corrispondenti simbolicamente al cielo, la parte alta, e alla terra, la parte bassa, luogo in cui il pittore, con grande sensibilità spirituale, ha immaginato la morte come un parto.
Al centro della scena inferiore si trova il corpo mortale di Gonzalo Ruiz di Toledo, conte di Orgaz che, posto nel sepolcro, pare un feto pronto a nascere a nuova vita. Prova ne è il fatto che assistono a questo straordinario parto due santi: sant’Agostino che sorregge il capo di Gonzalo e Santo Stefano. Molte persone concorrono alle onoranze funebri eppure nessuna di queste vide da vicino il defunto.
Il conte di Orgaz, notaio maggiore di Castiglia, discendente indiretto della famiglia imperiale di Costantinopoli, intorno all’anno 1300 fece restaurare a proprie spese la chiesa toledana di Santo Tomè. Si distinse per molte opere di carità fatte verso i religiosi, agostiniani e francescani, e, alla sua morte, destinò alla medesima parrocchia un lascito quale testimonianza della sua fede. In realtà la santità di quest’uomo fu tale che quando il suo corpo venne traslato nel 1327 (era morto nel 1323) per essere sepolto nella parrocchia toledana, apparvero per seppellirlo Sant’Agostino e Santo Stefano accompagnati da una voce misteriosa che diceva: «Riceva questa ricompensa chi serve Dio ed i suoi Santi». Un miracolo che venne ufficialmente riconosciuto nel 1583.
Qualche decennio prima (1564), il parroco della parrocchia di San Tommaso, don Andrés Nuñez Madrid, vedendo che le volontà del defunto non furono rispettate dagli eredi, chiese giustizia e la ottenne. La tela di El Greco immortala quest’evento di grazia.
Don Andrés compare al margine destro della tela, mentre celebra idealmente il rito funebre, i fedeli che assistono al rito sono tutti contemporanei del prelato e di El Greco, il cui ritratto spicca proprio dietro la mano del personaggio che sta estatico davanti al corpo del defunto. All’estrema sinistra della tela vi sono alcuni religiosi, ideali testimoni della carità di Gonzalo.
Il cielo che si apre è quello maestoso della gloria che attende le anime sante.
Molti i santi presenti: Davide, con la cetra, a sinistra in alto, poi Mosè, Noè, San Pietro, con le chiavi. Accanto al Battista, san Giacomo, san Paolo, san Sisto V, vestito di giallo, e san Tommaso con in mano la sega, strumento del suo martirio.
Ma al centro di tutto questo, portata da un angelo, accolta dalla vergine Maria, dal Battista e diretta verso Cristo stesso, ecco l’anima innocente, e dunque giovanissima, del Conte Gonzalo che entra nell’eternità della vita.
La tela, benché rappresenti un evento drammatico come la sepoltura e la morte, esprime una solennità grata e luminosa, lontanissima da certe rappresentazioni funeree e punteggiate di teschi e di ossa aride cui certa moda ci abitua.
La Chiesa venera dunque i santi e i morti, nella certezza che quanti vivono sulla terra nella ricerca costante del Bene e del Vero e nella testimonianza del Vangelo di Cristo, non conosceranno la morte e potranno essere per gli altri (anche a distanza di secoli come il buon Gonzalo) via alla salvezza e alla vita che non muore.