«Chi ha ascoltato questa musica come fa a rimanere cattivo?»
In un’epoca che ha abbandonato il valore del bello, dimostrando come l’imperversare del brutto e del cattivo gusto siano la cifra del relativismo, c’è un film, intitolato Le vite degli altri (2006), che permette di riflettere sul potere che la bellezza ha di cambiare l’uomo. Siamo a Berlino Est, nel tempo della DDR…
In un’epoca che ha abbandonato il valore del bello, dimostrando come l’imperversare del brutto e del cattivo gusto siano la cifra di un tempo che degrada nel relativismo, c’è un film di rara intensità intitolato Le vite degli altri (2006) che permette di riflettere sul potere che la bellezza ha di cambiare l’uomo. La regia è di Florian Henckel von Donnersmarck.
Siamo a Berlino Est, nell’autunno del 1984. Il sistema totalitario idolatra lo Stato e il partito, subordinando l’uomo al potere e all’ideologia. Nella Germania Democratica (DDR) fino al 1989 (caduta del muro di Berlino) e al 1990 (unificazione della Germania) un esercito di centomila poliziotti (la Stasi) e di duecentomila collaboratori, al servizio del Partito comunista, controllava la vita di tutti.
Il drammaturgo Georg Dreyman viene spiato dal capitano della Stasi, Gerd Wiesler, attraverso microspie posizionate nella casa. Il ministro della cultura Bruno Hempf vuole diventare l’amante della compagna del letterato, l’attrice Christa-Maria Sieland: questo è il vero motivo per cui desidera trovare dei capi d’accusa contro l’artista.
Inviso al potere comunista, il regista Jerska non può più dirigere nei teatri della Germania Democratica e si sfoga con Dreyman: «Io sono sepolto vivo […]. Che resta ad un regista di teatro che non può più lavorare?». Il Ministro della cultura Hempf continua, però, ad asserire che il divieto di lavoro non esiste nella DDR e si pavoneggia con frasi che attribuisce a Stalin: «Lo scrittore è l’ingegnere dell’anima».
Nella varietà dei personaggi che sembrerebbero appartenere alle due opposte fazioni dei favorevoli al sistema comunista e degli oppositori, lo spettatore può verificare come poche siano le figure che davvero credano nei loro ideali e offrano tutta la loro vita per essi.
Tra coloro che non sono favorevoli al sistema alcuni cercano di opporsi in maniera categorica e senza compromessi, ma soccombono (Jerska ne è un chiaro esempio), altri hanno all’inizio un atteggiamento accondiscendente nei confronti del partito o non si oppongono expressis verbis per poter continuare a lavorare e a scrivere o, forse, perché non hanno ancora preso reale consapevolezza della natura del regime, come Dreyman, che è provocato dall’amico Paul Hauser:
Vuoi fare l’idealista benpensante solo perché ti conviene! Chi ha distrutto il povero Jerska? Gente come Schwalber! Spie, approfittatori, vermi! Prima o poi dovrai prendere una posizione, se sei uomo! Se decidi di tentare qualcosa, puoi rivolgerti a me, altrimenti è inutile che ci vediamo!
Tra quanti hanno aderito al partito, in realtà, vi è chi ha ambizioni personali di carriera, chi approfitta del potere per interessi o obiettivi personali, chi è un semplice gregario e obbedisce in maniera acritica. Pochi sono mossi dalla reale convinzione nell’ideologia in una maniera potremmo dire pura, incondizionata, scevra di secondi obiettivi o ragioni.
Nella storia brilla la figura del capitano Wiesler (l’agente HGW XX/7), che vive per un ideale (si muove per qualcosa in cui crede davvero), che nel tempo comprende inconsistente. Spiando l’artista Dreyman, l’agente incontra una diversità umana e una bellezza. Rimane colpito dalla poesia (porta via con sé il libro di poesie di B. Brecht e lo legge di nascosto), dalla musica, dalla profondità dell’amore. Coglie l’immensa distanza tra il suo modo di concepire il rapporto sessuale e il sentimento che lega il drammaturgo all’attrice.
In questo incontro l’agente inizia a cambiare. I segni dell’inizio del cambiamento si colgono quando il capitano della Stasi s’imbatte in un bambino che parla male della Stasi e vorrebbe chiedere il nome del padre, ma poi desiste. Assaporiamone il dialogo:
Bambino: Davvero tu sei della Stasi?
Gerd Wiesler: Ma lo sai che cos’è, la Stasi?
Bambino: Sì, papà dice che sono degli uomini tanto cattivi che mettono la gente in prigione.
Gerd Wiesler: Davvero... E come si chiama?
Bambino: Come si chiama chi?
Gerd Wiesler: La tua palla. Il nome della tua palla.
Bambino: Ma che domande... Le palle non ce l’hanno un nome!
Attenzione, però! Il capitano non è il solo personaggio che cambia nel film. Anche l’artista è chiamato a prendere posizione, a decidere di schierarsi e di appartenere: la posizione di compromesso da lui tenuta non è vera ed autentica e l’artista lo comprende solo dopo una circostanza tragica, quando l’amico letterato Jerska, che da tempo non può lavorare nel campo artistico per l’interdizione del partito, si suicida.
Alla funerea notizia Dreyman suona lo spartito musicale che Jerska gli ha regalato per il compleanno: il titolo è Die Sonate vom guten Menschen, ovvero «la sonata degli uomini buoni». Non appena lo suona, il drammaturgo si chiede: «Ma come fa chi ha ascoltato questa musica, ma veramente ascoltato, a rimanere cattivo?».
Dopo il suicidio dell’amico Jerska, Dreyman comprende che deve attivarsi per comunicare la verità del regime al mondo. Scriverà con altri amici un articolo sui suicidi nella DDR:
E un altro se n’è andato. Il Dipartimento Centrale di Statistica della DDR in Hans-Beimler-Straße registra tutto, sa tutto. Quante paia di scarpe compriamo ogni anno (2,3), quanti libri leggiamo ogni anno (3,2) e quanti studenti superano brillantemente ogni anno gli esami di maturità (6347). Ma c’è una cifra che non viene aggiornata, forse perché anche ai burocrati fa impressione: quella del numero di suicidi. A chi telefonasse in Beimler-Straße per chiedere quante persone la disperazione ha indotto a togliersi la vita tra l’Elba e l’Oder, tra il Mar Baltico e la frontiera meridionale, l’oracolo delle statistiche non risponderebbe. Ma probabilmente passerebbe subito il nome dell’incauto che ha chiamato alla Stasi, il Servizio Segreto di Stato che tutela la sicurezza e la felicità dei cittadini della DDR. Nel 1977 il nostro Paese ha smesso di conteggiare i suicidi. A che serve sapere quante persone giungono a perdere ogni barlume di speranza in un presente più accettabile, in un domani più accettabile e decidono di farla finita, di darsi la morte, di commettere suicidio? Questa è la formula ufficiale: «commettere suicidio». Quando nove anni fa abbiamo smesso di aggiornare il conteggio in Europa, c’era un solo Paese che avesse più suicidi della DDR: l’Ungheria. Subito dopo venivamo noi, seguiti da vicino dalla culla del socialismo reale, l’Unione Sovietica.
Non raccontiamo più oltre la storia, che diventa sempre più avvincente nella seconda parte e ci convince del fatto che la bellezza è anche buona e vera. Il bello, il vero e il buono coincidono, come afferma san Tommaso. Per questo l’uomo non può vivere senza bellezza, sostiene il grande romanziere russo Dostoevskij:
Ma io dichiaro – strillò Stepàn Trofimovic, al massimo grado del furore – ma io dichiaro che Shakespeare e Raffaello stanno più in alto della liberazione dei contadini, più in alto dello spirito popolare, più in alto del socialismo, più in alto della giovane generazione, più in alto della chimica, quasi più in alto dell’umanità intera, giacché sono già un frutto, il vero frutto dell’umanità intera e, forse, il frutto più alto che mai possa essere! È già stata conseguita la forma di bellezza senza il cui conseguimento non acconsentirei nemmeno a vivere […]. Ma sapete, sapete voi che senza l’inglese l’umanità può ancora vivere, può vivere senza la Germania, può vivere anche troppo facilmente senza i russi, può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non si potrebbe vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo?
Così, un personaggio de I demoni attribuisce alla bellezza stessa il merito di essere l’esito più alto che noi possiamo concepire. Ecco perché il più grande delitto che si potrebbe compiere sarebbe eliminare «Shakespeare e Raffaello», ovvero togliere all’uomo una tensione ideale e, nel contempo, modelli di persone pienamente realizzate.
La bellezza è la scaturigine di ogni umano moto e conoscenza, perché ci educa a cogliere la realtà per quella che è, per il suo valore estrinseco. Ancora, in un altro romanzo, intitolato L’idiota, Dostoevskij afferma che la bellezza ha il potere di salvare il mondo.
Nella Lettera agli artisti (1999) san Giovanni Paolo II commenta che la bellezza salva il mondo, perché essa comunica e trasmette sempre lo stupore e l’entusiasmo che permettono all’uomo di ripartire. Interrogandosi sulla questione della felicità, nella poesia Alla sua donna, Leopardi intuisce che se l’uomo incontrasse la bellezza (quella vera, autentica, ideale), allora vivrebbe il Paradiso sulla terra e la sua vita sarebbe felice.
San Giustino, filosofo e martire, spiega che il cristianesimo è stato la manifestazione totale del Logos, per cui a noi cristiani interessa qualsiasi forma di bellezza, che è seme del Logos disseminato nel mondo.