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VITA E GIUDICI

Charlie Gard è solo l'inizio

In Inghilterra è venuto alla luce un nuovo caso in cui i giudici hanno intimato di non rianimare un bambino gravemente cerebroleso. Nome e luogo sconosciuto, per evitare pressioni mediatiche. Ma intanto si moltiplicano i casi di contenziosi tra medici e genitori di bambini gravemente disabili.

Vita e bioetica 09_07_2017
Giudici

Charlie Gard è solo l’inizio. Alle prime luci del 1° luglio, si è svolta sempre in Inghilterra un’udienza last-minute convocata nella notte fonda tra venerdì e sabato. È stata un’udienza di emergenza condotta per tre ore al telefono ascoltando gli avvocati di parte e controparte più un esperto medico indipendente, e testimone un giornalista chiamato ad hoc per riportare al mondo una sentenza di alto interesse pubblico. L'argomento riguardava la richiesta di un ospedale che qualche giorno prima si era chiesto se proseguire o no le cure a un bimbo cerebroleso di tre mesi ricoverato da maggio e quella di un padre che si appellava accorato.

Al termine il giudice Jonathan Leslie Baker della Divisione Famiglia dell’Alta Corte di Giustizia d’Inghilterra e Galles, che ha sede a Londra, ha stabilito che i medici non sono tenuti né a operare ancora il piccolo né a rianimarlo qualora andasse in arresto cardiaco (clicca qui). Un’altra condanna a morte di un innocente, proprio come quella comminata a Charlie. Un altro infanticidio, perché è evidente a tutti che, chi non cerca di risvegliare un infartuato potendolo fare con speranza di successo, è esattamente come se lo strangolasse con le sue mani. Né altre operazioni né la rianimazione sarebbero, dice il giudice Baker, nell’interesse del bimbo. 

Il giudice Baker ha promesso di riconsiderare il caso con un’udienza normale il lunedì successivo, 3 luglio. In realtà aveva già presieduto un’udienza preliminare in vista di un’analisi più approfondita di tutti i dettagli del caso prevista per fine luglio, ma venerdì 30 giugno le condizioni del piccolo sono peggiorate improvvisamente. Per i medici il bimbo avrebbe anche potuto subire un arresto cardiaco nel corso del fine-settimana. Da qui l’idea di consultare le parti nottetempo e la decisione di cogliere al volo l’occasione per zittire per sempre il piccolo.

A proposito, come si chiama il bambino? Per ordine del giudice Baker non è dato saperlo. Si sa che la famiglia viene dall’Africa. Ma sia il nome del bimbo sia quello della struttura ospedaliera dov’è ricoverato sono top-secret. Perché altrimenti finirebbe come per Charlie, la gente si mobiliterebbe, si darebbe da fare, pregherebbe, veglierebbe, Papi e capi di Stato si mobiliterebbero. L’indistinto, invece, aiuta a sedare, a rimuovere, a dimenticare.

Anche il web, sempre prodigo di tutto e il contrario di tutto, resta abbottonato. Il quotidiano britannico che ha dato la notizia, Daily Mail, pure. E così di quella seconda udienza, normale, promessa per il 3 luglio, nessuna traccia. Fino a venerdì 7, quando, stringatissimo, un altro quotidiano britannico, il Jersey Evening Post, un giornale più che locale che si pubblica in una delle isole normanne del Canale della Manica, dice che giovedì 6 il giudice Baker ha deciso in modo “regolare”, ha pure visitato il piccolo innominato nell’ospedale innominato dov’è ricoverato e poi ha confermato la condanna a morte il giorno successivo (clicca qui). Silenzio di tomba, c’è da dirlo.

Siamo nelle mani di giudici che decidono cosa è bene e cosa male, cosa è sofferenza e cosa no, quando vivere e quando morire. Stiamo attenti; quel che a noi potrebbe sembrare un banale raffreddore di stagione potrebbe invece essere interpretato assai diversamente da un pugno di legulei confusi sul diritto e sui diritti, gente che non ha ancora capito che, guarda un po’, prima o poi, tutti si muore e inevitabilmente nella vita tutti si soffre, e che dunque condannare a morte degli innocenti perché comunque debbono morire e altrimenti soffrono è una baggianata colossale. Peggio: un’ipocrisia assassina.

Sì, Charlie Gard è solo l’inizio. Altri 18 bambini versano nelle sue condizioni. Poi ce ne sono molti altri affetti da patologie diverse, come il piccolo innominato africano, e ugualmente pronti per essere soppressi.