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Charlie a Roma, le motivazioni legali non reggono

Mentre il Bambin Gesù annuncia di aver trovato un protocollo sperimentale su cui lavorare e del caso di Charlie si stanno occupando il premier britannico May e il ministro degli Interni Alfano, tiene banco il rifiuto del Gosh di trasferire il piccolo a Roma per "problemi legali". Ma la sentenza autorizza e non ordina il nosocomio a staccare il ventilatore. 

Vita e bioetica 06_07_2017

In queste ore si susseguono freneticamente le notizie sul caso di Charlie Gard, il bambino inglese di undici mesi affetto da sindrome di deplezione del Dna mitocondriale, al quale i medici del Great Ormond Street Hospital (Gosh) potrebbero staccare il supporto vitale da un momento all’altro, forti dell’autorizzazione ottenuta dai giudici contro la volontà dei genitori Chris e Connie. Ma la mobilitazione dal basso a difesa della vita del piccolo sta dando i suoi frutti, intanto nel ritardare il distacco del ventilatore che causerebbe la morte per soffocamento di Charlie e nel coinvolgere personalità che si sono dette disponibili ad aiutare il bambino e la sua famiglia.

Tra i fatti più rilevanti di ieri rientrano certamente le dichiarazioni di Mariella Enoc, presidente dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù. “Un nostro ricercatore è stato contattato da medici di varie parti del mondo perché c’è un protocollo di cura internazionale e sperimentale che si potrebbe applicare al bambino dove si vuole: a Londra, a Roma, a New York. Quindi, si sta stendendo una nota sulla base di questo protocollo e la mamma è in contatto con noi. Lei è informata su tutto e molto determinata, è una persona che indubbiamente ha fatto verifiche”. La notizia apre scenari di speranza anche perché l’ospedale londinese e il Regno Unito in generale, se non lasciassero libero Charlie nemmeno alla luce di questo protocollo, dovrebbero giustificare l’ennesimo abuso commesso in questa vicenda. “I nostri ricercatori sono disponibili - ha aggiunto la Enoc -, stanno lavorando per proporre l’applicazione di questo protocollo internazionale per una cura sperimentale”.

Sempre la Enoc ha dato conto di una risposta inquietante ricevuta dal Gosh: la struttura di Londra afferma di non poter far trasferire Charlie in un altro ospedale, a meno che quest’ultimo non si impegni a staccare il ventilatore al bambino, secondo “il suo miglior interesse” stabilito dai medici inglesi e dai tribunali. Come dire: se lo uccidete voi, facciamo trasferire il bambino. “È ovvio che a questo abbiamo risposto di no, che noi non intendiamo farlo”, ha spiegato la presidente del Bambin Gesù. Rimane comunque la strada del protocollo di cura internazionale.

LO SPIRAGLIO LASCIATO DA THERESA MAY

Nel rispondere a un’interrogazione presentata dalla parlamentare Seema Malhotra, la premier britannica Theresa May ha pronunciato delle parole che lasciano aperto uno spiraglio per il trasferimento-liberazione di Charlie in un ospedale pronto a garantirgli le cure di base e un eventuale trattamento sperimentale. “Ogni genitore in queste circostanze vorrebbe fare tutto il possibile e valutare ogni opzione per il proprio bambino gravemente malato”, ha detto la May. “Sono fiduciosa che il Great Ormond Street Hospital abbia considerato e continuerà a considerare tutte le offerte o le nuove informazioni che sono state avanzate”. Insomma, il primo ministro, pur non sbilanciandosi, quantomeno lascia aperte le porte. E questo è un segnale che va valutato positivamente.

37 EUROPARLAMENTARI DIFENDONO LA VITA DI CHARLIE

Un altro fatto politico incoraggiante è la lettera aperta firmata da trentasette parlamentari europei, di cui otto italiani, che esprimono il loro “pieno supporto” a Charlie e ai suoi genitori. “Ci riteniamo obbligati a esprimere le nostre più profonde preoccupazioni per l’esito ignobile del caso di Charlie, che viola i valori fondamentali dell’Europa, in particolare il diritto alla vita, il diritto alla dignità umana e all’integrità personale”. Gli europarlamentari ricordano che lo Stato e tutte le autorità pubbliche hanno il dovere di proteggere i propri cittadini. “Com’è possibile allora che perfino oggi, nel XXI secolo, in tempi in cui noi stessi definiamo la nostra epoca come quella che rispetta i valori fondamentali della vita e della dignità umana, il Regno Unito non agisca nel miglior interesse dei suoi cittadini? È veramente la strada che vogliamo percorrere?”. La conclusione degli europarlamentari è decisa: “Intendiamo rispondere con un chiaro NO e condanniamo fermamente la vergognosa condotta che minaccia i valori della nostra società civile”.

Queste le firme per Charlie e la sua famiglia di cui finora siamo a conoscenza:

Miroslav Mikolasik, Luigi Morgano, Laurentiu Rebega, Laima Andrikiene, Elisabetta Gardini, Ivan Stefanec, Laura Comi, Marijana Petir, Lorenzo Fontana, Nicola Caputo, Tunne Kelam, Marek Jurek, Beatrix von Storch, Franc Bogovic, Patricija Sulin, Pavel Svoboda, Gyorgy Holvenyi, Michal Boni, Jan Olbrycht, Zbigniew Kuzmiuk, Jadwiga Wisniewska, Thomas Mann, Annie Schreijer-Pierik, Daniela Aiuto, Alojz Peterle, Branislav Skripek, Enrico Gasbarra, Anna Zaborska, Arne Gericke, Steven Woolfe, Mylene Troszczynski, Lars Adaktusson, Remo Sernagiotto, Jozsef Nagy, Pal Csaky, Marek Plura, Robert Jaroslaw Iwaszkiewicz.

IL COLLOQUIO ALFANO-JOHNSON E IL PARADOSSO DELLE “RAGIONI LEGALI”

Prima che arrivassero le ultime buone notizie sul protocollo di cura internazionale e sperimentale, si era concluso con un nulla di fatto il colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, e il suo omologo inglese Boris Johnson. Il titolare della Farnesina aveva ricordato al collega la disponibilità del Bambin Gesù ad accogliere Charlie, ma Johnson ha opposto presunte ragioni legali che impedirebbero al Regno Unito di accettare l’offerta italiana. L’ex sindaco di Londra appoggia così la linea dei responsabili del Gosh, che hanno affermato di avere “le mani legate, non possono permettere che Charlie sia trasferito a Roma perché ci sono due sentenze che lo impediscono”.

Un’affermazione paradossale. Basta ricordare come è iniziato tutto. La battaglia giudiziaria si è avviata proprio perché i medici avevano deciso che fosse nel miglior interesse di Charlie staccargli il supporto vitale, decisione alla quale i genitori si sono giustamente opposti, facendo ricorso al tribunale. La giustizia britannica ha poi nominato un tutore per rappresentare gli interessi di Charlie, privando arbitrariamente i genitori di una loro prerogativa. Il punto è che si considera accanimento terapeutico quella che è una semplice cura di base come la ventilazione: tutto si basa su un falso argomento. Il tutore ha poi ripetutamente chiesto di far morire il bambino.

Se consideriamo che in questa vicenda è stato calpestato ogni basilare diritto di Charlie e della sua famiglia, parlare adesso di “ragioni legali” è perciò pazzesco, anche perché se i medici del Gosh cambiassero idea – riconoscendo che il vero interesse del piccolo è poter continuare a vivere e che la ventilazione non costituisce affatto accanimento – tutto si potrebbe riaprire. La stessa sentenza di primo grado, confermata di fatto nei gradi successivi, non si esprime in termini perentori: non obbliga cioè l’ospedale a interrompere la ventilazione assistita, bensì asserisce che è “legale” e “nel miglior interesse di Charlie” rimuovere la ventilazione. Cioè il giudice autorizza il Gosh a fare quello che lo stesso Gosh aveva chiesto di poter fare, in contrasto con la volontà dei genitori. Lo autorizza ma non lo obbliga. Questo è quanto recita la sentenza.

Allo stesso modo non ci sono ragioni per opporsi a un trasferimento di Charlie in un altro ospedale. Lo spiega tra gli altri il presidente di Scienza & Vita, Alberto Gambino, giurista e ordinario di diritto privato: “Non comprendo quali siano le motivazioni legali addotte dal Great Ormond Street Hospital di Londra per non trasportare il piccolo Charlie in Italia presso il Bambin Gesù”. Al punto 22 della sentenza di primo grado si dice espressamente che “trasportare Charlie negli Usa sarebbe problematico, ma possibile”. Conclude Gambino: “Ciò indica inequivocabilmente che come è tecnicamente possibile il trasferimento di Charlie negli Usa, così lo può essere anche in Italia nella struttura ospedaliera del Bambino Gesù”.