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GUERRA PER LE "BRICIOLE"

Centrodestra teso, ma a sinistra volano i coltelli

I media puntano sulle tensioni interne al centrodestra, all'unisono con le "cassandre" dell'opposizione. Sono tensioni reali, emerse con il caso Ronzulli (che non ha impedito l'elezione di La Russa a presidente del Senato), ma gli avversari dovrebbero guardare in casa propria, dove ci si scanna su ciò che resta, dal Copasir alla guida del Pd.

Politica 14_10_2022
XIX legislatura

Ieri i principali quotidiani, quasi all’unisono, denunciavano le divisioni nel centrodestra e profetizzavano sventure per il nascente governo Meloni, esasperando quella che è una normale dialettica tra partiti che hanno stravinto le elezioni e si preparano a guidare il Paese. Non avevano certamente torto, visto quello che è successo a Palazzo Madama, con l’elezione di Ignazio La Russa alla Presidenza del Senato grazie ai voti delle opposizioni e senza quelli di Forza Italia. Tuttavia, sarebbe scorretto strumentalizzare le divisioni nel centrodestra per coprire quelle, ben più profonde, nelle opposizioni.

È vero che ieri l’esponente di Fratelli d’Italia, senza il soccorso di 16 voti provenienti dai banchi delle opposizioni (si vocifera 9 del Pd e 7 del Terzo Polo) non ce l’avrebbe fatta ad essere eletto alla prima votazione. I senatori di Forza Italia, infatti, non hanno partecipato al voto, tranne Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati, che erano in aula regolarmente. Motivo: i veti della Meloni sul nome di Licia Ronzulli, pupilla del Cavaliere, che la vorrebbe al Ministero della Salute o in un altro Ministero di peso e che invece, con ogni probabilità, dovrà accontentarla con il ruolo di capogruppo dei senatori forzisti. Praticamente gli azzurri ieri a Palazzo Madama avrebbero boicottato l’elezione di La Russa perché scontenti dell’atteggiamento di chiusura che la premier in pectore sta mostrando nelle ultime ore nei confronti della Ronzulli.

Tuttavia, La Russa è stato eletto ugualmente alla prima votazione, con 116 voti. Inevitabile chiedersi grazie a chi. I sospetti si appuntano su Matteo Renzi e i suoi, che non vedono l’ora di sganciarsi da Carlo Calenda e che non hanno nessuna voglia di stare per cinque anni all’opposizione. Questo loro gesto di apertura alla maggioranza potrebbe preludere ad altre mosse a sorpresa che possano rendere ininfluenti i voti di Berlusconi a Palazzo Madama, dove i numeri in favore del centrodestra sono più risicati. Ma Renzi ha smentito perentoriamente, mentre Enrico Letta, proprio per fugare i sospetti di voti dem per La Russa, ha puntato il dito sul Terzo Polo.

Si vedrà se oggi alla Camera si ripeterà il copione e se la candidatura del leghista Lorenzo Fontana, che sembra prendere piede con forza, si impantanerà nelle secche dei veti incrociati e delle vendette tra i partiti della coalizione di maggioranza. Il suo sarebbe comunque un buon nome per quanti hanno a cuore i principi non negoziabili, che Fontana ha dimostrato di difendere con convinzione negli ultimi anni.

Ma la partita è tutta politica e si intreccia con quella della scelta dei ministri. La Meloni punta a fare presto e punta a costituire un esecutivo coeso e con ministri competenti, lo ha ribadito a più riprese. Le caselle più delicate, come Esteri, Economia, Interni, Sviluppo Economico, Giustizia e Salute, sono ancora oggetto di trattative serrate e la quadra non è ancora stata trovata. C’è un accordo di massima sul numero dei ministeri spettanti a ciascun partito della coalizione, ma non sull’identità dei designati.

Tutto questo, però, non deve far dimenticare due particolari tutt’altro che trascurabili. Dopo le elezioni del 2018 ci vollero ben tre mesi per dar vita a un governo, peraltro di compromesso, tra Lega e Movimento Cinque Stelle. Oggi la Meloni sta rispettando la tabella di marcia imposta dai tempi costituzionali, e se riuscirà a formare il governo e ad ottenere la fiducia delle Camere entro fine mese, certamente potrà dirsi soddisfatta. Sarebbe la dimostrazione che quando scelgono i cittadini, cioè quando un chiaro orientamento elettorale viene premiato con una formale designazione da parte del Quirinale, tutto si sblocca più in fretta e, dunque, i governi politici possono operare nel pieno delle loro funzioni con una inequivocabile investitura popolare.

Il secondo elemento che anche i media dovrebbero tener presente, per non scadere nella faziosità e nella lettura unilaterale delle vicende politiche, è che le opposizioni sono assai più spaccate di quanto non lo sia il centrodestra, nonostante non debbano spartirsi nulla o quasi. In questo caso non sono proprio briciole, perché ci sono in ballo le presidenze delle commissioni di garanzia. Per quanto riguarda il Copasir, si parla di Enrico Borghi, del Pd, mentre è battaglia sulla presidenza della commissione di vigilanza Rai, che i grillini rivendicano per sé e che invece il Terzo polo vorrebbe affidare alla renziana Maria Elena Boschi. Dentro il Terzo Polo ci sono le due bande rivali dei renziani e dei calendiani che sono praticamente separati in casa. Senza dimenticare le rivalità tra i dem, che si preparano a un congresso davvero complicato.

Ci sono già 4 candidati, pronti a scannarsi per prendere le redini del Pd dopo la disastrosa gestione Letta: il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, la sua vice Elly Schlein, il sindaco di Firenze, Dario Nardella, il ministro del lavoro uscente, Andrea Orlando. E chissà che gli altri capicorrente come Dario Franceschini o Lorenzo Guerini non tirino fuori dal cilindro altri pretendenti. Ciliegina sulla torta, grillini e dem continuano a scannarsi anche dopo la batosta elettorale e fanno sapere che non ci pensano proprio a tornare insieme, perché Giuseppe Conte punta a fare con il Pd quello che Matteo Salvini fece con i grillini all’inizio della legislatura scorsa: drenare voti dal serbatoio pentastellato.

Con questi chiari di luna, dunque, le accuse che la sinistra e gran parte della stampa italiana rivolgono alle forze di centrodestra, tacciandole di essere un’armata Brancaleone incapace di governare, andrebbero rispedite al mittente. Sembra proprio la favola della volpe e dell’uva, visto che la sinistra non vince le elezioni dal 2006 ma è riuscita sempre e comunque a governare negli ultimi anni. In questa legislatura, però, sembra davvero arduo che possa riuscirci.